Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 33

Testo di pubblico dominio

zampilli!... Cos'hai fatto? sei forse caduto o hai dato in qualche spino? — No, non fu nulla... è stato contro la merletta della porta — risposi io. — Bene, bene; comunque la sia, lascia far a me a guarirti — soggiunse la Pisana. E mi mise la bocca sulla ferita baciandomela e succiandomela, come facevano le buone sorelle d'una volta sul petto dei loro fratelli crociati; e io le veniva dicendo: — Basta, basta, Pisana: ora sto benissimo! non mi accorgo nemmeno più d'essermi fatto male! — No, esce ancora un poco di sangue — rispondeva ella, e mi teneva ancora la bocca sulla fronte, serrata con tal forza che non pareva una bambina di otto anni. Finalmente il sangue fu stagnato, e la vanerella insuperbiva di vedermi tanto beato come era di quelle sue carezze. — Sono venuta su allo scuro tastando le muraglie — la mi disse — ma dabasso sono a cena, e non avea paura che mi scoprissero. Ora poi che ti ho guarito, mi tocca scender ancora perché non mi trovino per le scale. — E se ti trovassero? — Oh bella! faccio le viste di sognare! — Sì; ma mi dispiace quasi, che tu arrischi così di buscarti dalla mamma qualche castigo. — Se dispiace a te, a me non importa, anzi mi piace — ella rispose con un atto di vezzosa superbietta, squassando la testa all'indietro per liberarsi la fronte dai capelli disciolti che la avevano ingombra. — Vedi! tu mi piaci più di tutto, e quando poi non hai indosso quella giubbaccia, come sei ora il mio Carlino, che ti veggo proprio tal qual sei, mi piaci tre volte tanto!... Oh! perché non ti mettono le belle cose che aveva oggi intorno mio cugino Augusto!... — Oh me ne procurerò di quelle belle cose! — io sclamai. — Le voglio ad ogni costo! — E dove le prenderai? — mi chiese di rimando. — Dove, dove!... lavorerò per guadagnar danari, è coi danari, dice Germano, che si può aver tutto. — Sì, sì, lavora! lavora! — mi disse la Pisana. — Io allora ti vorrò bene sempre più! Ma perché non ridi ora?... Eri tanto allegro poco fa! — Vedi un po' se rido? — soggiunsi io giungendo la mia bocca alla sua. — No, così non ti posso vedere!... Via, lasciami! Voglio guardarti se ridi. Hai capito che ho detto di volerti guardare. Io la accontentai e feci anche prova di riderle colle labbra, ma giù nel cuore andava pensando qual bene la m'avrebbe voluto intantoché io mi fossi guadagnati quegli arredi da signore. — Ora sei carino, che mi dai piacere — riprese la Pisana canticchiando con quella sua vocina che mi par ancora di sentirla e mi diletta le orecchie fin dalla memoria. — Addio Carlino; io ti saluto, e vado dabasso prima che non ritorni la Faustina! — Voglio farti lume io! — No, no; — soggiunse ella saltando giù dal letto e impedendomi di far lo stesso con una delle sue mani — son venuta allo scuro e tornerò giù come sono venuta. — Ed io ripeto che non voglio che ti faccia male, e che ti farò lume fin sulla scala. — Guai a te se ti movi! — la mi disse allora cambiando modo di voce, e lasciandomi libero di movermi, come sicura che il suo cenno avrebbe bastato a farmi star quatto — mi fai andar in collera; ti dico che voglio scendere senza lume! io son coraggiosa, io non ho paura di nulla! io voglio andare come voglio io! — E se poi ti succede di inciampare, o di perderti pei corritoi! — Io inciampare o perdermi?... Sei matto?... Non son mica nata ieri!... Addio, addio Carlino. Ringraziami perché sono stata buona di venirti a trovare. — Oh sì, ti ringrazio, ti ringrazio! — le dissi io, col cuore slargato dalla consolazione. — E lascia che io ringrazi te; — la soggiunse, inginocchiandomisi vicino e baciuzzandomi la mano — perché seguiti a volermi bene anche quando son cattiva. Ah sì! tu sei proprio il fanciullo più buono e più bello di quanti me ne vengono dintorno, e non capisco come non mi castighi mai di quelle malegrazie che ti faccio qualche volta. — Castigarti? perché mai, Pisana? — io le andava dicendo. — Levati su piuttosto, e lascia che ti faccia lume, che così al freddo puoi ammalarti! — Eh! — sclamò la piccoletta. — Sai pure che io non mi ammalo mai! Prima di andar via voglio proprio che tu mi castighi, e che mi strappi ben bene i capelli per le cattiverie che ho commesse contro di te. — E la mi prendeva le mani mettendomele sulla sua testolina. — Ohibò! — diceva io ritraendole — piuttosto ti bacerei! — Voglio che tu mi strappi i capelli! — soggiunse ella riprendendomi le mani. — Ed io invece non voglio! — risposi ancora. — Come non vuoi? ed io ti dico che vorrai! — la si mise a strillare. — Strappami i capelli, strappami i capelli, se no grido tanto che verranno qua sopra e mi farò pestare dalla mamma. Io per acchetarla presi con due dita una ciocca delle sue treccie e me la attorcigliai intorno alla mano, giocarellando. — Tira dunque, via; tirami i capelli — ella soggiunse un po' stizzita, ritraendo di furia la testa in modo che la mia mano dovette seguirla per non farle troppo male. — Ti dico che voglio esser castigata! — continuò pestando i suoi piedini e le ginocchia contro il pavimento che era di pietre tutte sconnesse. — Non far così, Pisana, che ti guasterai tutta. — Or dunque strappami i capelli! Io tirai pian piano quella ciocca che aveva fra le dita. — Più forte, più forte! — disse la pazzerella. — Così dunque — diss'io facendo un po' più di forza. — No così! più forte ancora — riprese ella con atto di rabbia. E mentre io non sapeva che fare, la dimenò il capo con tanto impeto e così improvvisamente che quella ciocca de' suoi capelli mi rimase divelta fra le dita. — Vedi? — aggiunse allora tutta contenta. — Così voglio esser castigata quando lo voglio!... e a rivederci dimani, Carlino; e non moverti di là se no non vengo più a spasso con te. Io mi stetti attonito ed immobile con quella ciocca fra le dita mentr'ella guizzò dalla porta e richiuse l'uscio: e poi feci per correrle dietro col lume ma la era già scomparsa dal corritoio. Scommetto che se la sua mamma nel castigarla le avesse strappato uno di quei capelli, ella ne avrebbe strepitato tanto da metter sottosopra la casa ed anche ora mi maraviglia che la sopportasse quel dolore senza batter palpebra; tanto potevano in lei la volontà e la bizzarria infin da bambina. Io poi non so se quei momenti mi fossero più di piacere o di rammarico. Quell'eroismo della Pisana di venirmi a trovare a traverso gli andirivieni di quella buia casaccia, e ad onta delle punizioni che ne poteano capitarle, m'avea fatto salire al settimo cielo; poscia la sua caparbietà s'era intromessa a tosarmi di molto le ali perché sentiva (dico sentiva, perché a nove o dieci anni certe cose non si capiscono ancora) sentiva, ripeto, che l'immaginativa, e la vanagloria di mostrare un piccolo portento di prodezza, c'entravano più assai dell'affetto in un tale eroismo. M'era dunque raumiliato d'alquanto dal primo bollore d'entusiasmo, e quei capelli che m'erano rimasti testimoniavano piuttosto della mia servitù che del suo buon cuore verso di me. Tuttavia fin da fanciullo i segni materiali delle mie gioie de' miei dolori e delle mie varie vicende mi furono sempre carissimi; e quei capelli non li avrei dati allora per tutti i bei bottoni d'oro e di mosaico e per le altre dovizie che sfoggiava sulla persona il signor Conte nei giorni solenni. Per me la memoria fu sempre un libro, e gli oggetti che la richiamano a certi tratti de' suoi annali mi somigliano quei nastri che si mettono nel libro alle pagine più interessanti. Essi ti cascano sott'occhio di subito; e senza sfogliazzar le carte, per trovare quel punto del racconto o quella sentenza che ti ha meglio colpito, non hai che a fidarti di loro. Io mi portai sempre dietro per lunghissimi anni un museo di minutaglie, di capelli, di sassolini, di fiori secchi, di fronzoli, di anelli rotti, di pezzuoli di carta, di vasettini, e perfino d'abiti e di pezzuole da

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Argomenti: tanto impeto,    star quatto,    grido tanto,    piccolo portento

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