Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 138

Testo di pubblico dominio

Agostino Frumier non comparve, benché sottovoce me ne avesse dato promessa un'ora prima; mancava il Barzoni che dopo un pubblico alterco con Villetard, s'era imbarcato per Malta proponendosi di pubblicar colà un giornale antifrancese: non vidi Giulio Del Ponte e ne sospettai il perché. Lucilio passeggiava come il solito su e giù per la sala col volto imperturbato e la tempesta nel cuore: Amilcare gridava gesticolava contro il Direttorio, contro Bonaparte, contro tutti; egli diceva che bisognava vivere per vendicarci; Ugo Foscolo sedeva da un canto colle prime parole del suo Jacopo Ortis scolpite sulla fronte. Io per me non so cosa avessi nell'anima, o mostrassi nel volto. Mi sentiva nullo affatto, come chi soffre senza comprendere. Udii la maggior parte essere propensa a cercare ricovero nel territorio della Cisalpina, ove sarebbe sempre durata qualche speranza per Venezia; anch'io trovava giusto un tale partito, come quello che rendeva onorevole e attivo l'esiglio, menandolo in paese fraterno e già quasi italiano. La permalosa alterigia di taluno che sdegnava affidarsi ad una ospitalità offerta in nome di Francia, e dalla Francia stessa guarentita, sconveniva troppo a quei momenti necessitosi e supremi. Ci demmo la posta per Milano dove o nel governo o nell'esercito o colla parola o colla penna o colla mano si sperava di potersi adoperare per la salute comune. S'avvicendavano così frequenti i trabalzi e i rivolgimenti di fortuna in quel tempo che la speranza si ravvivava dalla stessa disperazione, più fiduciosa più intemperante che mai. Ad ogni modo si voleva dare un esempio della costanza e della dignità veneziana contro quelle terribili accuse che i fatti ci scagliavano. Ora l'uno ora l'altro partiva per dar qualche ordine alle cose sue, e metter insieme qualche roba prima di avviarsi all'esiglio. Chi correva a baciare la madre, chi la sorella o l'amante; chi si stringeva al cuore i bambini innocenti, chi consumava dolorosamente quell'ultima notte contemplando dalla Riva di Piazzetta il Palazzo Ducale, le cupole di San Marco, le Procuratie, queste sembianze venerabili e contaminate dell'antica regina dei mari. Le lagrime scorrevano da quelle ciglia devote, e furono le ultime liberamente sparse, gloriosamente commemorate. Io era restato solo col dottor Lucilio perché non aveva la forza di muovermi, quando salì per la scala un rumore frettoloso di passi, e Giulio Del Ponte coi colori della morte sul volto si precipitò nella stanza. Il dottore, che avea parlato pochissimo fino allora, gli si volse contro con molta veemenza a domandargli cosa avesse e perché tanto s'era attardato. Giulio non rispose nulla, aveva gli occhi smarriti, la lingua aderente al palato e pareva incapace di capire quanto gli dicevano. Lucilio rabbuffò con una mano i suoi neri capelli tra i quali traluceva già qualche filo d'argento, strinse il braccio del giovane e lo trasse a forza in cospetto della lucerna. — Giulio, te lo dirò cos'hai; — diss'egli con voce sommessa ma ricisa, — tu muori per un dolor tuo, quando non è lecito morire che pel dolore di tutti!... Tu ti arrendi vilmente alla tisi che ti consuma quando dovresti salire con animo forte al martirio!... Io son medico, Giulio; non voglio ingannarti. Una passione mista di rabbia d'orgoglio d'ambizione ti divora lentamente; il suo morso avvelenato è incurabile. Soccomberai senza dubbio. Ma credi tu che l'anima non possa sollevarsi sulle malattie del corpo, e prescrivere a se stessa un fine grande, glorioso?... Giulio si sfregolava smarrito gli occhi, le guance, la fronte. Tremava da capo a piedi, tossiva di tratto in tratto e non poteva articolar parola. — Credi tu — riprese Lucilio — credi tu che sotto questa mia scorza dura e ghiacciata non si celino tali tormenti che mi farebbero preferire l'inferno, nonché il sepolcro, alla fatica di vivere? Or bene; io non voglio morire piangendo me, compassionando a me, badando solo a me, come il pecoro sgozzato!... Quando le membra saranno consunte, l'anima fuggirà da esse libera forte beata piucchemai!... Giulio, lascia morire il tuo corpo, ma difendi contro la viltà, contro l'abbiezione un'intelligenza immortale!... Io guardava meravigliando il gruppo di quelle due figure, l'una delle quali pareva infondere all'altra il coraggio e la vita. Alle parole, al contatto del dottore, Giulio si drizzava della persona e si rianimava negli occhi; la vergogna gli ottenebrava nobilmente la fronte, ma l'anima ridestata a un grande sentimento coloriva i segni della prossima morte d'un sublime splendore. Non tossiva, non tremava più; il sudore dell'entusiasmo succedeva a quello della malattia; la sua bocca balbettava ancora parole tronche e confuse, ma solo per impazienza di pentimento e di generosità. Fu un vero miracolo. — Avete ragione — rispose egli alla fine con voce calma e profonda. — Fui un vile finora; non lo sarò più. Morire debbo certamente, ma morrò da forte e dallo sfacelo del corpo andrà salva l'anima mia!... Vi ringrazio Lucilio!... Venni qui a caso per abitudine per disperazione; venni desolato avvilito infermo; partirò con voi, sicuro dignitoso e guarito! Dite dove s'ha da andare, io son pronto!... — Partiremo domattina per Milano; — riprese Lucilio — là vi sarà un fucile per ciascuno di noi; ad un soldato non si domanda se è malato o sano, ma se ha forza d'animo e di volontà!... Giulio, te lo accerto, non morrai tremando di paura e desiderando la vita. Abbandoneremo insieme questo secolo di illusioni e di vigliaccherie per ricoverarci contenti in seno dell'eternità!... — Oh io pure — esclamai — io pure partirò con voi!... — Strinsi la mano al dottore, e buttai le braccia al collo di Giulio come ad un fratello. Era così sorpreso e commosso che nessuna sorte vedeva migliore di quella di morire con tali compagni. — No, tu non devi partire per ora; — soggiunse dolcemente Lucilio — tuo padre ha altri disegni; ti consulterai con essolui, ché ne hai stretto dovere. Quanto al mio, ricevetti oggi stesso l'annunzio della sua morte. Vedete bene che son solo oggimai; nudo affatto di quegli affetti che racchiudono una gran parte di nostra vita fra le pareti domestiche. Per me gli orizzonti si allargano sempre più; dall'Alpi alla Sicilia, è tutta una casa. L'abito con un solo sentimento che non morrà mai neppure colla mia morte. Una memoria del monastero di Santa Teresa attraversò come un lampo gli occhi di Lucilio mentre proferiva queste parole; ma non commosse punto il suono tranquillo della sua voce, né lasciò orma alcuna sulle sembianze di melanconia o di sconforto. Ogni affanno scompariva in quella superba sicurezza d'uno spirito che sente in sé qualche parte d'eterno. Ci separammo allora; i commiati severi senza rimpianti senza lagrime. Negli ultimi nostri discorsi non trovarono posto i nomi della Clara e della Pisana. E sì che a tutti e tre, anche a Lucilio, ne sono certo, un amore sventuratissimo dilaniava le viscere. Essi n'andarono verso l'ospitale, divisando mettersi in viaggio il mattino all'alba; io mi avviai curvo e frettoloso in cerca di mio padre. Non sapeva quali fossero i suoi disegni, perché Lucilio non aveva voluto dirmene di più, e mi tardava l'ora di conoscerli per iscaricarmi poi dei miei dolori privati in qualche grande e non inutile sacrifizio, come il povero Giulio me ne dava l'esempio. CAPITOLO DECIMOTERZO Un Jacopo Ortis e un Machiavelli veneziano. Finalmente imparo a conoscere mia madre vent'anni dopo la sua morte. Venezia fra due storie. Una famiglia greca a San Zaccaria. Mio padre a Costantinopoli. Spiro ed Aglaura Apostulos. In casa non trovai mio padre; e la vecchia fantesca maomettana si espresse con tanti segni e gesti negativi che io mi persuasi la mi volesse dire che non sapeva nemmeno quando sarebbe tornato. Divisava fra me di aspettarlo, quand'ella mi consegnò un polizzino facendomi motto a cenni che era cosa di gran premura. Credeva quasi fosse una memorietta di

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Argomenti: povero giulio,    rumore frettoloso,    animo forte,    pubblico alterco,    volto imperturbato

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