Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 36

Testo di pubblico dominio

l'uomo sopra ogni influsso di astri o di comete; ma gli astri e le comete gravitano sopra di noi molto tempo innanzi che la filosofia ci insegni a difendercene. È spesso la sola fortuna che viene apparecchiando i nutrimenti alla ragione prima ancora che questa non sia nata. E così le circostanze dell'infanzia, se non governano l'intero tenore della vita, educano sovente a modo loro quelle opinioni che formate una volta diventano per sempre gli incentivi delle opere nostre. Perciò badate ai fanciulli, amici miei; badate sempre ai fanciulli, se vi sta a cuore di averne degli uomini. Che le occasioni non diano mala piega alle loro passioncelle; che una sprovveduta condiscendenza, o una soverchia durezza, o una micidiale trascuranza non li lascino in bilico di creder giusto ciò che piace, e abbominevole quello che dispiace. Aiutateli, sorreggeteli, guidateli. Preparate loro col maggior accorgimento occasioni da trovar bella, santa, piacevole la virtù; e brutto e spiacevole il vizio. Un grano di buona esperienza a nove anni val più assai che un corso di morale a venti. Il coraggio, l'incorruttibilità, l'amor della famiglia e della patria, questi due grandi amori che fanno legittimi tutti gli altri, somigliano allo studio delle lingue. La prima età vi si presta assai; ma guai a chi non li apprende. Guai a loro, e peggio che peggio a chi avrà che fare con loro, od alla famiglia ed al paese che da essi attende aiuto decoro e salvamento. Il germoglio è nel seme, e la pianta nel germoglio; non mi stancherò mai nel ripeterlo; perché l'esperienza della mia vita confermò sempre in me ed in tanti altri la verità di questa antica osservazione. Sparta, la dominatrice degli uomini, e Roma, la regina del mondo, educavano dalla culla il guerriero e il cittadino: perciò ebbero popoli di cittadini e di guerrieri. Noi che vediamo nei bimbi i vezzosi e i gaudenti, abbiamo plebaglie di gaudenti e di vezzosi. Ora sarò forse allucinato dall'amor proprio, ma pur non veggo nel mio passato memoria che più mi sia confortevole e buona, di quel primo castigo così valorosamente sfidato per mantenere un segreto raccomandatomi e per mostrarmi grato d'un beneficio ricevuto. Credo che dappoi moltissime volte mi sia condotto colla stessa regola, per la vergogna che altrimenti avrei provato di mostrarmi uomo più dappoco che stato non lo fossi da ragazzo. Ecco in qual modo le circostanze fanno sovente l'opinione. Io era salito; e non volli più scendere. Se precipitai in qualche occorrenza, fu pronto il pentimento; ma non iscrivo per iscusarmene, e la mia penna sarà sempre pronta a riprovare come a benedire le mie azioni secondo il merito. Tanto più colpevole alle volte, in quanto non doveva esserlo né per abitudine né per coscienza. Però chi è puro affatto tra noi mortali? — Mi conforta la parabola dell'adultera e la sublime parola di Cristo: Chi non ha peccato scagli la prima pietra! Quel dopopranzo, come vi diceva, mia prima cura fu di andar in traccia della Pisana, ma con sommo mio rammarico non mi venne fatto di trovarla in nessun luogo. Ne domandai alle cameriere, le quali, siccome colte in fallo per la loro sprovvedutezza verso la fanciulla, si svelenirono contro la mia petulanza. Germano, Gregorio e Martino a' quali ne chiesi conto del pari, non mi seppero dare nessun ragguaglio, e finalmente scorrucciato passai oltre le scuderie e interrogai l'ortolano se non l'avesse veduta uscire da quelle bande. Mi rispose che l'aveva veduta in fatti prender verso la campagna col figliuoletto dello speziale, ma che la cosa era vecchia di due ore e probabilmente la padroncina doveva esser rientrata, perché il sole scottava assai e il farsi abbrustolire non le piaceva. Io però, conoscendo l'umor balzano della fanciulla, non mi fidai di questa conghiettura, ed uscii io pure nei campi. Il sole mi dardeggiava cocentissimo sul capo, la terra mi si sfregolava sotto i piedi per la grande arsura, ed io di nulla mi accorgeva per la grande ambascia che mi tumultuava dentro. Trovai in riva d'un fosso un legacciolo da scarpe. L'era della Pisana, ed io seguitai oltre persuaso che il gran desiderio me l'avrebbe fatta trovare in qualunque luogo. Spiava le macchie, i rivali, e le ombre dove eravamo usati posare nelle nostre scorrerie: gli occhi miei correvano d'ogni lato sferzati dalla gelosia, e se mi fosse capitato alle mani quel figliuoletto dello speziale, credo che l'avrei unto ben bene senza darmene un perché. Quanto alla Pisana, la conosceva a fondo, mi ci era avvezzato stupidamente, ed avea cominciato quasi ad amarla in ragione de' difetti, come appunto l'eccellente cavallerizzo predilige fra' suoi cavalli quello che più s'impenna e resiste agli speroni ed alle redini. Non è qualità che tanto renda pregevole e cara alcuna cosa, come quella di vederla pronta a sfuggirci; e se cotal abitudine di timore e di sforzo affatica gli animi deboli, essa arma e ribadisce i costanti. Si direbbe che la Pisana m'avesse stregato, se la ragione dello stregamento io non la leggessi chiara nell'orgoglio in me continuamente stuzzicato a volerla spuntare sugli altri pretendenti. Mi vedeva il preferito più di sovente e sopra tutti; voleva esserlo sempre. Quanto al sentimento che mi portava a voler ciò, era amore del più schietto; amore che crebbe poi, che mutò anche tempra e colore, ma che fin d'allora mi occupava l'anima con ogni sua pazzia. E l'amore a dieci anni è tanto eccessivo come ogni altra voglia in quella età fiduciosa che non conobbe ancora dove stia di casa l'impossibile. Sempre d'accordo che qui la carestia delle parole mi fa dir amore in vece di quell'altro qualunque vocabolo che si dovrebbe adoperare; perché una passione tanto varia, che abbraccia le sommità più pure dell'anima e i più bassi movimenti corporali, e che sa inchinar quelle a questi, o sollevar questi a quelle, e confonder tutto talvolta in un'estasi quasi divina e tal altra in una convulsione affatto bestiale, meriterebbe venti nomi proprii invece d'un solo generico, sospetto in bene o in male a seconda dei casi, e scelto si può dire apposta per sbigottire i pudorati e scusare gli indegni. Dissi dunque amore e non potea dir altro; ma ogniqualvolta mi avverrà di usare un tal vocabolo nel decorso della mia storia, mi terrò obbligato ad aggiungere una riga di commento per supplire al vocabolario. A quel tempo pertanto io amava nella Pisana la compagna de' miei trastulli; e poiché a quell'età i trastulli son tutto, ciò vien a dire che la voleva tutta per me; il che se non costituisce amore e di quel pretto, come notava più sopra, prendetevela coi vocabolaristi. Ad onta peraltro del mio furore a cercarla, ella quel dopopranzo non si lasciava trovare; e cerca di qua e guarda di là, e corri e salta e cammina, io presi senza avvedermene la piega che m'avea menato così lontano il giorno prima. Quando m'accorsi di ciò, mi trovava appunto in un crocicchio di strade campestri, dove sur un muricciuolo scalcinato un povero san Rocco mostrava la piaga della sua gamba ai devoti passeggieri. Il fido cane gli stava a fianco colla coda bassa e il muso innalzato, quasi per osservare cos'egli stesse facendo. — Tutto questo io vidi nella prima alzata d'occhi; ma nel ritirarli poi, m'addiedi d'una vecchia curva e pezzente, che pregava con gran fervore davanti a quel san Rocco. E la mi sembrò la Martinella, una povera accattona così chiamata in quel contado, che soleva fermarsi a prender una presa dalla scatola di Germano, ogniqualvolta la passasse dinanzi al ponte di Fratta. Me le accostai allora con qualche soggezione, perché i racconti di Marchetto mi avevano messo tutte le vecchie in sospetto di streghe; ma la conoscenza e il bisogno mi spronavano a non dar addietro. Ella mi si volse incontro con una cera fastidiosa, benché fosse per costume la poveretta più paziente e affabile di quante ne giravano: e mi chiese borbottando cosa facessi io in quel luogo ed a quell'ora. Le risposi che andava in cerca

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Argomenti: due ore,    san rocco,    fido cane,    micidiale trascuranza,    sublime parola

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