Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 152

Testo di pubblico dominio

ne sono adesso invasate, tantoché le migliori casate si rovinano alle tavole di gioco. Non ci capisco nulla!... tutte si rovinano e nessuna si ristora! — Gli è — soggiunsi io — per quell'antico proverbio, che farina del diavolo non dà buon pane. Chi arrischia al faraone la fortuna dei proprii figliuoli, non diverrà certo così previdente domani da investire i guadagni al cinque per cento. Si consumano tutti in vani dispendi, e resta netto solo il guadagno delle perdite. Ma tua madre fu più inescusabile delle altre quando per accontentare i proprii capricci non si vergognò del metter a repentaglio la fama della figlia!... — Oh cosa dici mai! — sclamò la Pisana — io la compatisco anche di questo! Era quella ghiotta di Rosa che le ne dava ad intendere, e per me credo che si mangiasse ella la buona metà dei regali... Eppoi giacché l'avea prima chiesto a suo nome, la poteva pur chiedere anche al mio. Non l'è poi mia madre per niente! — Sai, Pisana, che la tua bontà trascende in eccesso!... Non voglio che tu ti avvezzi a ragionare in questo modo, se no tutto si scusa, tutto si perdona, e tra il male ed il bene scompariscono i confini. L'indulgenza è un'ottima cosa, ma sia verso sé che verso gli altri bisogna ch'ella vada innanzi cogli occhi in testa. Perdoniamo le colpe sì, quando sono perdonabili; ma chiamiamole colpe. Se le si mettono a mazzo coi meriti, si perde affatto ogni regola! La Pisana sorrise, dicendo ch'io era troppo severo, e scherzando soggiunse che se scusava tutto, gli era appunto perché altri scusasse lei dei suoi difettucci. Per allora non la ne aveva neppure uno, se non forse quello di farsi amar troppo, il quale era più difetto mio che suo; ed io le misi la mano sulla bocca sclamando: — Taci, non vendicarti ora della mia ingiusta severità d'una volta!... Dopo qualche settimana di vita tutta casa ed amore, pensai che fosse tempo di andare dagli Apostulos a prendervi notizie di mio padre. Mi rimordeva di averlo dimenticato anche troppo, e voleva compensare questa dimenticanza con una premura che, attesa la strettezza del tempo, doveva certo riuscir inutile. Ma quando vogliamo persuaderci di non aver fallato non si bada a ragionevolezza. Giacché usciva, la Pisana mi pregò di volerla condurre fino al monastero di Santa Teresa per visitarvi sua sorella. Io acconsentii, e andammo fuori a braccetto: io col cappello sugli occhi, ella col velo fin sotto il mento, guardandoci attorno sospettosamente per ischivare, se era possibile, le fermate dei conoscenti. Infatti io vidi alla lontana Raimondo Venchieredo e il Partistagno ma mi riuscì di scantonare a tempo, e lasciai la mia compagna alla porta del convento; indi mi volsi alla casa dei banchieri greci. Come ben potete immaginarvi, in così breve tempo mio padre non poteva esser giunto a Costantinopoli e aver mandato notizia di colà. Si maravigliarono tutti, massimamente Spiro, di vedermi ancora a Venezia; laonde io risposi arrossendo che non era partito per alcuni gravissimi negozi che mi trattenevano, e che del resto mi conveniva sfidare moltissimi rischi a rimanere, pei sospetti che si avevano di me. Non arrischiai nemmeno di aggiungere chi poteva avere questi cotali sospetti, perché ignorava quali fossero di certo i padroni di Venezia, e mi immaginava che i Francesi fossero partiti, ma non ne aveva prove sicure. L'Aglaura mi domandò allora ove contassi rivolgermi quando fossero terminati questi miei negozi, ed io risposi balbettando che probabilmente a Milano. La giovinetta chinò gli occhi rabbrividendo, e suo fratello le mandò di traverso un'occhiata fulminante. Io avea ben altro pel capo che di badare al significato di questa pantomima, e presi congedo assicurandoli che ci saremmo veduti prima della partenza. Tornai indi in istrada, ma aveva più paura di prima di esser veduto; anzi ci aveva vergogna per giunta alla paura. Mi importava moltissimo di non esser osservato, perché la perfetta libertà da ogni molestia nella quale eravamo rimasti fin'allora io e la Pisana mi persuadeva che i suoi parenti ignorassero la mia presenza in Venezia. Se fosse stato altrimenti, oh non era facile l'immaginarsi che ella si fosse rifuggita presso di me? Non mi figurava allora che la scena della Pisana col tenente Minato avesse fatto gran chiasso e che soltanto per timore di compromettersi il Navagero e la Contessa non ne chiedessero conto. Allo svoltar d'una calle mi trovai faccia a faccia con Agostino Frumier più fresco e rubicondo del solito. Ambidue per scambievole consenso finsimo di non ci riconoscere: ma egli si maravigliò di me più ch'io non mi maravigliassi di lui, e la vergogna fu maggiore dal mio canto. Finalmente giunsi al convento che le pietre mi scottavano sotto i piedi e mi pentiva ad ogni passo di non aver aspettato la notte per quella passeggiata. Ben mi prefiggeva fra me di aprir l'animo mio alla Pisana alla prima occasione e di dimostrarle come la felicità di cui ella m'inebbriava fosse tutta a carico dell'onor mio, e come il rispetto alla patria, la fede agli amici, l'osservanza dei giuramenti mi stringessero a partire. In cotali pensieri entrai nel parlatorio senza pensare che la reverenda poteva maravigliarsi di veder sua sorella in mia compagnia; ma non ci avea pensato la Pisana ed io pure non ci badai. Era la prima volta che vedeva la Clara dopo i suoi voti. La trovai pallida e consunta da far pietà, colla trasparenza di quei vasi d'alabastro nei quali si mette ad ardere un lumicino: un po' anche incurvata quasi per lunga abitudine d'ubbidienza e d'orazione. Sulle sue labbra, all'indulgente sorriso d'una volta era succeduta la fredda rigidità monastica: oramai si vedeva che l'isolamento dalle cose terrene, tanto sospirato dalla madre Redenta, lo aveva anch'essa raggiunto; non solo disprezzava e dimenticava, ma non comprendeva più il mondo. Infatti la non si maravigliò punto della mia dimestichezza colla Pisana, come io aveva temuto: diede a me ed a lei saggi consigli in buon dato; non nominò mai il passato se non per raccapricciarne, ed una sola volta vidi rammollirsi la piega ritta e sottile delle sue labbra quand'io le nominai la sua ottima nonna. Quanti pensieri in quel mezzo sorriso!... Ma se ne pentì tosto, e riprese la solita freddezza che era il vestimento forzato dell'anima sua, come la nera tonaca dovea vestirle invariabilmente le membra. Io credetti che in quel momento anche Lucilio le balenasse al pensiero; ma che fuggisse spaventata da quella memoria. Dov'era infatti allora Lucilio? Che faceva egli? — Questa terribile incertezza doveva entrarle talora nell'anima col succhiello invisibile ma profondo del rimorso. Ella durò infatti qualche fatica a tornar marmorea e severa come prima; le sue pupille non erano più tanto immobili, né la sua voce così tranquilla e monotona. — Ohimè! — diss'ella ad un tratto — io promisi alla buon'anima di mia nonna di suffragarla con cento messe, e non fui ancora in grado di compiere il voto. Ecco l'unica spina che ho adesso nel cuore!... La Pisana si affrettò a rispondere colla solita bontà spensierata che quello spino poteva cavarselo dal cuore a sua posta, e che l'avrebbe aiutata a ciò, e che avrebbe fatto celebrar quelle messe ella stessa secondo le intenzioni di lei. — Oh grazie! grazie, sorella mia in Cristo! — sclamò la reverenda. — Portami la scheda del sacerdote che le avrà celebrate e tu avrai acquisito un diritto grandissimo alle mie orazioni ed un merito ancor maggiore presso Dio. Io non mi trovava bene in cotali discorsi, e mi sorprendeva fra me della facilità con cui la Pisana intonava i proprii sentimenti sopra il tenore degli altrui. Ma buona come la era, e maestra finitissima di bugie, doveva anzi maravigliarmi se l'avesse adoperato altrimenti. Intanto, salutata ch'ebbimo la Clara, e tornati in istrada, mi riprese la paura che fossimo veduti assieme e proposi alla Pisana di andarcene a casa scompagnati, ognuno per una strada diversa. Infatti così

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Argomenti: breve tempo,    terribile incertezza,    resta netto,    scambievole consenso,    succhiello invisibile

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