Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 57

Testo di pubblico dominio

Fossalta incontro alla signora Contessa come costuma; e impedita di rientrare in castello dai bravacci che lo guardavano da tutte le parti, io stesso ebbi l'onore di menarla in salvo nel mulino della prateria. Quei bravacci che attorniavano il castello d'ogni lato guastarono assai la buona impressione che dovea esser prodotta dalle notizie della Clara. Tutti sorrisero colle labbra al colombo della buona nuova, ma negli occhi lo sgomento durava peggio che mai e non sorrideva per nulla. — Ma dunque siam proprio assediati come se fossero Turchi coloro! — sclamò la Contessa giungendo disperatamente le mani. — Si consoli che l'assedio non è poi tanto rigoroso se io ho potuto penetrare fin qui; — soggiunse Lucilio — gli è vero che il merito è tutto del Carlino, e che se non lo avessi incontrato lui, difficilmente avrei potuto orientarmi così presto e farmi gettar la tavola da Marchetto. Gli occhi della brigata si volsero allora tutti verso di me con qualche segno di rispetto. Alla fine capivano che io era buono ad altro che a girare l'arrosto, ed io godetti dignitosamente di quel piccolo trionfo. — Sei anche stato all'osteria? — mi chiese il fattore. — Vi dirà tutto il signor Lucilio — risposi modestamente. — Egli ne sa più di me perché ha avuto che fare, credo, con quei signori. — Ah! e cosa dicono? pensano d'andarsene? — domandò ansiosamente il Conte. — Pensano di rimanere; — rispose Lucilio — per ora almeno non c'è speranza che levino il campo, e bisognerà ricorrere al Vice–capitano di Portogruaro per deciderli a metter la coda fra le gambe. Monsignor Orlando mandò un'altra e più espressiva occhiata alla cuoca; il canonico di Sant'Andrea si accomodò il collare con un leggero sbadiglio: in ambidue i reverendi i bisogni del corpo cominciavano a gridar più forte delle afflizioni dello spirito. Se questo è segno di coraggio, essi furono in quella circostanza i cuori più animosi del castello. — Ma cosa ne dice lei? cos'è il suo parere in questa urgenza? — chiese con non minor ansietà di prima il signor Conte. — Dei pareri non ce n'è che uno — soggiunse Lucilio. — Son ben munite le mura? sono sprangate le porte e le finestre? ci sono moschetti e spingarde alle feritoie? V'ha per questa notte gente sufficiente per vegliare alla difesa? — A voi, a voi, Capitano! — strillò la Contessa invelenita pel contegno poco sicuro dello schiavone. — Rispondete dunque al signor Lucilio! Avete disposto le cose in maniera che si possa credersi al sicuro? — Cioè; — barbugliò il Capitano — io non ho che quattro uomini compresi Marchetto e Germano; ma i moschetti e le spingarde sono all'ordine; e ho anche distribuito la polvere... In difetto poi di palle, ho messo in opera la mia munizione da caccia. — Benissimo! credete che quei manigoldi siano passerotti! — gridò il Conte. — Freschi staremo a difendercene coi pallini! — Via, per cinque o sei ore anche i pallini basteranno; — riprese Lucilio — e quando loro signorie sappiano tener a freno quegli assassini fino a giorno, io credo che le milizie del Vice–capitano avranno campo di intervenire. — Fino a giorno! come si fa a difenderci fino a giorno, se quei temerari si mettono in capo di darci l'assalto!? — urlò il Conte strappandosi a ciocche la perrucca. — Ne uccideremo uno, agli altri il sangue andrà alla testa, e saremo tutti fritti prima che il signor Vice–capitano pensi a mettersi le ciabatte! — Non veda, no, le cose tanto scure; — replicò Lucilio — castigatone uno, creda a me che gli altri faranno giudizio. Non ci si perde mai a mostrar i denti; e giacché il signor capitano Sandracca non sembra del suo umor solito, io solo voglio incaricarmene; e dichiaro e guarentisco che io solo basterò a difendere il castello, e a mettere in iscompiglio al menomo atto tutti quei spaccamonti di fuori! — Bravo signor Lucilio! Ci salvi lei! Siamo nelle sue mani! — sclamò la Contessa. Infatti il giovane parlava con tal sicurezza che a tutti si rimise un po' di fiato in corpo; la vita tornò a muoversi in quelle figure, sbalordite dallo spavento, e la cuoca s'avviò alla credenza con gran conforto di Monsignore. Lucilio si fece raccontar brevemente l'andamento di tutto l'affare; giudicò con miglior fondamento che fosse una gherminella del castellano di Venchieredo per tagliar a mezzo il processo con un colpo di mano sulla cancelleria, e per primo atto della sua autorità fece trasportare in un salotto interno le carte e i protocolli di quella faccenda. Esaminò poi diligentemente le fosse le porte e le finestre; appostò Marchetto con Germano dietro la saracinesca; il fattore lo mise alla vedetta dalla parte della scuderia; altre due Cernide che erano il nerbo della guarnigione le dispose alle feritoie che guardavano il ponte; distribuì le cariche e comandò che irremissibilmente fosse ammazzato chi primo osasse tentare il valico della fossa. Il capitano Sandracca stava sempre alle calcagna del giovine mentre egli attendeva a questi provvedimenti; ma non aveva coraggio di fare il brutto muso, anzi gli facevano mestieri i cenni gli urtoni e gli incoraggiamenti della moglie per non accusare il mal di ventre e ritirarsi in granaio. — Cosa le pare, Capitano? — gli disse Lucilio con un ghignetto alquanto beffardo. — Avrebbe fatto anche lei quello che ho fatto io?... — Sissignore... lo aveva già fatto; — balbettò il Capitano — ma mi sento lo stomaco... — Poveretto! — lo interruppe la signora Veronica. — Egli ha faticato fin adesso; ed è suo merito se i manigoldi non son già penetrati in castello. Ma non è più tanto giovane, la fatica è fatica, e le forze non corrispondono alla buona volontà! — Ho bisogno di riposo — mormorò il Capitano. — Sì, sì, riposi con suo comodo; — soggiunse Lucilio — il suo zelo lo ha provato bastevolmente; e ormai può mettersi sotto la piega colla coscienza tranquilla. Il veterano di Candia non se lo fece dire due volte; infilò la scala volando come un angelo, e per quanto la moglie gli stesse a' panni gridando di guardarsi bene e di non precipitarsi! in quattro salti fu nella sua stanza ben inchiavata e puntellata. Quel dover passare vicino alle feritoie gli avea dato il capogiro; e gli parve di stare assai meglio fra la coltre e il materasso. Ai pericoli futuri Dio avrebbe provveduto; egli temeva più di tutto i presenti. La signora Veronica poi si sfogava, rimproverandogli sommessamente la sua dappocaggine; ed egli rispondeva che non era il suo mestiero quello di affrontare i ladri, ma che se si fosse trattato di vera guerra guerreggiata lo avrebbero veduto al suo posto. — Giovinastri, giovinastri! — sclamò il valentuomo stirandosi le gambe. — La trinciano da eroi perché hanno l'imprudenza di sfidar una palla facendo capolino dai merli. Eh, mio Dio, ci vuol altro!... Veronica, non uscir mica di camera sai!... Io voglio difenderti come il più gran tesoro che abbia! — Grazie, — rispose la donna — ma perché non vi siete svestito? — Svestirmi! vorresti che mi svestissi con quella giuggiola di tempesta che abbiamo alle spalle!... Veronica, sta' sempre vicina a me... Chi vorrà offenderti dovrà prima calpestare il mio cadavere. Costei si gettò anch'essa, vestita com'era, sul letto; e da coraggiosa donna avrebbe anche pigliato sonno, se il marito ad ogni mosca che volava non fosse sobbalzato tant'alto, domandandole se aveva udito nulla, ed esortandola a confidare in lui, e a non allontanarsi dal suo legittimo difensore. Intanto da basso una discreta cena improvvisata con ova e bragiuole avea calmato gli spasimi dei due monsignori, e rimessili con tutta l'anima alla paura, s'interrogavan l'un l'altro sul numero e sulla qualità degli assalitori: eran cento, eran trecento, eran mille; tutti capi da galera, il miglior de' quali era fuggito al capestro per indulgenza del boia. Se gridavan al contrabbando, si era per trovar pretesto ad un saccheggio; a

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Argomenti: sei ore,    gente sufficiente,    salotto interno

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