Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 149

Testo di pubblico dominio

a te pel primo. — (Meno male!) — Seppi alla porta dei Frumier che tu eri ancora a Venezia e dove abitavi; ed adesso eccomi in tua balìa senza paura e senza riguardo, perché a dirla schietta io ho voluto proprio bene a te solo e se tu non me ne vuoi più per le stranezze e per le scioccaggini che commisi, la colpa il danno il dispiacere sarà tutto mio. Una buona parte peraltro ne toccherà anche a te, perché ad ogni modo, in virtù della nostra antica amicizia, commoda o incommoda, piacevole o noiosa, io mi ti pianto alle coste e non mi movo più. Se tuo padre volesse darti ancora la Contarini, ch'egli te la dia pure in santa pace; ma le converrà alla sposina sopportar con pazienza questa pillola amara d'avere almeno almeno una cognata fra i piedi... Ciò dicendo la Pisana si diede a saltacchiare sul divano quasi per confermarvi la sua parte di padronanza; e ad averla udita due minuti prima e ad osservarla allora, non sembrava più certamente la stessa persona. La repubblicana spiritata, la filosofessa greca e romana erasi convertita in una donnetta spensierata e burbanzosa, tantoché lo schiaffo del povero Ascanio poteva anche credersi non meritato. Tuttavia quelle due persone così diverse e compenetrate in una sola pensavano, parlavano, operavano coll'uguale sincerità, cadauna nel suo giro di tempo. La prima, ne son sicuro, avrebbe disprezzato la seconda, come la seconda non si ricordava guari della prima; e così vivevano fra loro in buonissima armonia come il sole e la luna. Ma il caso più strano si era il mio, che mi trovava innamorato di tutte due non sapendo a cui dare la preferenza. L'una per copia di vita, per altezza di sentimenti, per facondia di parola, l'altra per tenerezza, per confidenza, per avvenenza mi portava via il cuore: insomma, o a dritto o a ragione era innamorato fradicio; ma ognuno de' miei lettori trovandosi nei miei panni sarebbe stato altrettanto. Soltanto quelle due brune pupille che mi guardavano tra supplici pietose e spaventate di mezzo alle sopracciglia, lasciando arieggiare sotto esse il bianco azzurrognolo dell'occhio, avrebbero vinto la causa. Senza contare il resto, che ce n'era da far belle una dozzina di morlacche. D'altronde, se quella parte tragica sostenuta con tanta veemenza dalla Pisana mi dava soggezione, ci aveva anche argomenti da consolarmene. Era effetto di troppe letture abborracciate avidamente in un cervello volubile e impetuoso; quel fuoco di paglia si sarebbe svampato; sarebbe rimasta quella scintilla di generosità che l'aveva acceso, e con essa io vivrei di buonissimo accordo, come una mia antica conoscenza che la era. Di più la sfogata eloquenza e la pompa classica di quelle parlate mi assicuravano ch'ella sarebbe stata un bel pezzo senza batter becco. Così si argomentava durante la sua infanzia; e sovente la Faustina, per consolarsi d'una domenica irrequieta e rabbiosa, diceva fra sé: “Oggi la signorina ha la lingua fuori dei denti, e il pepe nel sangue! Buon per noi che ci lascerà in pace per tutto il resto della settimana!” Infatti così avveniva. Né io ebbi a sbagliar mai anche più tardi, mettendo in opera il ragionamento della Faustina. Io risposi adunque di tutto cuore alla Pisana che la era la benvenuta in mia casa; e fattole prima osservare il grave passo che la arrischiava, ed il danno che massime nella riputazione le ne poteva derivare, vedendola ciononostante ferma nel suo proposito, mi limitai a dirle che la era dessa la padrona di sé, di me, e delle cose mie. La conosceva troppo per credere che ella si sarebbe ritratta dalle sue idee per le mie obbiezioni; fors'anco l'amava troppo per tentarlo, ma questo è null'altro che un dubbio, non già una confessione. Accettato ch'io ebbi così all'ingrosso e senza tanti scrupoli il suo disegno, si venne a metterlo in pratica; allora nel minuto mi si opposero parecchie difficoltà. Prima di tutto poteva io assumere una specie di tutela sopra di lei, incerto com'era di fermarmi a Venezia, anzi sicuro per le date promesse e per legge d'onore di dovermene allontanare? E cosa ne avrebbe detto la sua famiglia, e Sua Eccellenza Navagero più di tutti, il marito vecchio e geloso? Non si avrebbe trovato a mezzo loro qualche pretesto per darmi il bando? E a me si stava di farmi complice dell'ingiuria che la Pisana scagliava sopra di loro? E non bastava; c'era l'ultimo scrupolo, l'impiccio più grosso, la difficoltà capitale. Come doveva io coonestare agli occhi del mondo e alla lunga alla lunga anche alla mia coscienza quella vita intrinseca e comune con una bella giovane che amava, e dalla quale aveva tutte le ragioni per credermi amato? — Doveva io dire che aspettavamo così meno noiosamente la morte del marito? — Peggiore la rappezzatura che il buco, si dice da noi. — E tutti questi impicci mi saltavano agli occhi, mi affaticavano inutilmente la mente, intantoché la Pisana si consolava, cantando e ballando, della racquistata libertà, e non si dava un fastidio al mondo di quello che potrebbe mormorarne la gente. Ella si fece condurre per tutta la casa dalla cantina alla soffitta, trovò di suo grado i tappeti i divani e perfino le pipe; m'assicurò che noi staremmo là dentro come due principi, e non si prendeva cura né delle apparenze né della modestia. Sapete bene che quando una donna non si sgomenta di certe coserelle, sgomentirsene non tocca a noi; più che ridicolaggine di chietineria, sarebbe un'offesa alla sua delicatezza, e non vanno lodati quei confessori che suggeriscono i peccati alle penitenti. Tutto ad un tratto mentr'io ammirava l'allegra e sfrontata spensieratezza della Pisana, non sapendo se dovessi ascriverla a sincero amore per me, a scioltezza di costumi, o a pura levità di cervello, ella si fermò colle braccia in croce nel mezzo della sala: levò gli occhi un po' turbata nei miei dicendo: — E tuo padre? Allora solo mi saltò in mente ch'ella non sapea nulla della sua partenza; e mi maravigliai a tre doppi della sua franchezza nel venirsi a stabilire presso di me, mentreché ci vedeva nello stesso tempo meno trascurato il pudor femminile. Quando c'è un padre di mezzo, due giovani son più sicuri dalle tentazioni, e dalle chiacchiere dei vicini. Insieme a questo pensiero me ne balenò alla mente un altro, ch'ella si spaventasse di trovarmi solo e si ritraesse dalla sua eccessiva confidenza. Poco prima mi doleva di doverla credere noncurante del proprio onore e delle convenienze sociali, allora avrei voluto che la fosse anche più svergognata d'una sgualdrina purché la stesse contenta della mia compagnia. Guardate come siam fatti! — Peraltro il desiderio grandissimo che nutriva di averla meco non andò tant'oltre da mettermi in bocca delle menzogne. Le raccontai dunque schiettamente la partenza di mio padre, e come io abitassi soletto quella casa senza neppure una serva che scopasse i ragnateli. — Meglio, meglio! — gridò ella con un salto battendo le mani. — Tuo padre mi dava soggezione, e chi sa se mi avrebbe veduto di buon occhio. Ma dopo questo scoppio di giocondità s'impensierì tutto d'un colpo, e non ebbe fiato di andar innanzi. Le si strinsero le labbra come per voglia di piangere, e le sue belle guance si scolorarono. — Che hai, Pisana? — le chiesi — che hai ora che t'ingrugni tanto? Hai paura di me, o di trovarti con me solo? — Non ho nulla — rispose ella un po' stizzita, ma più contro sé stessa, mi parve, che contro nessuno. E poi fece un paio di giri per la stanza guardandosi le punte dei piedi. Io aspettava la mia sentenza col tremito d'un innocente che ha una discreta paura di esser condannato; ma la sospensione della Pisana mi blandiva soavemente il cuore, come quella che mi dava a conoscere che io era proprio amato come voleva io. Finallora quella sua sicurezza a tutta prova e quella soverchia confidenza mi avevano un sapore affatto fraterno che non mi solleticava punto il palato. — Dove mi metterai a dormire? — uscì ella a chiedere di sbalzo con

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Argomenti: bella giovane,    sincero amore,    udita due,    cervello volubile,    marito vecchio

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