Intrichi d'amore di Torquato Tasso

Testo di pubblico dominio

Licenzia che fa Leandro. LEANDRO Signori e Signore, ecco l'intrichi districati nel fine. S'intricò Cornelia nell'amor di Camillo, e Camillo nell'amor di lei; ma resistendo prudentemente all'amorose passioni, districati da quelle godeno insieme l'amor di madre e figlio: essempio, a noi altri che dovemo resistere alle tentazioni, che dal Cielo ne piovono sempre grazie. S'intricò Alessandro nel frenetico della gelosia, con pericolo d'onore e della vita; ma ricercando l'aiuto di sopra, lo districò felicemente, con il ritrovo della sua prima moglie: essempio pur a noi che non dovemo usar questi termini con le mogli; ma quando occorre ricorriamo al Signore, che può e sa provedere a ogni cosa. S'intricò Lavinia nel vano amore di Giovan Luigi; ma rivolta al Cielo, se gli offerse occasione d'aver il suo Flavio in forma di molinaro, il quale intricato onestamente nell'amore di lei, si districa nell'ultimo, e ottiene l'onesto suo desiderio: essempio pur a noi che, lasciando le cose vane, otterremo sempre l'oneste. S'intricò Ersilia nell'amor di Camillo; ma coprendolo accortamente ha discoperto in quello l'amor fraterno di Flaminio; e districata da lui, ottiene l'amato suo Camillo: essempio pur a noi che dovemo celare i privati appetiti, per non dar scandalo al popolo, perchè da così buon principio ne risulta sempre ottimo fine. S'intricò Giovan Luigi nelle superbe pretendenze di personaggi grandi; ma districato da quelli si abbassa con Pasquina fantescuola, la quale abbassandosi viene essaltata nel fine: essempio pur a noi che li superbi vengono abbassati e gli umili essaltati. Ma dove io vado, Signori? Io ero qui per districarvi col fine della commedia, e pur intrigo di nuovo col ri<e>pilogo de gli stessi intrichi e districhi. Orsù, questi Signori Comici si sono dalla promessa districati, e vi rendono infinite grazie che vi sete degnati di aspettare il fine de gli Amorosi Intrichi; notificandovi col maggior affetto che si può che gl'intricati sempre sono al servizio vostro. E per conoscer se vi è piacciuto l'Intrico d'Amore, datene segno con allegro segno di voci, e suon di mani con esse. Atto I Scena 1 LEANDRO Oh che dolore, oh che pietà che m'han dato e danno tuttavia queste povere donne, le quali, intesa la repentina morte del Signor Alessandro da me, oltre l'aversi vestite tutte di negro e annegrito ancora con i panni le mura della casa, han prima con basse e poi con alte voci così dirottamente pianto, che sarebbe ben di pietra chi non piangesse, come ho pianto anch'io, con tutto che sappia questa morte non esser vera, ma supposita, e finta da esso Alessandro per alcuni suoi capricci. Io son stato l'imbasciatore di sì trista novella: se ben l'imbasciatore non deve portar pena, non però mi pare che alcuni mi mirano con occhi storti, e alcuni mostrano di non poter comportare che io dimori più in quella casa. Onde son risoluto di uscir fuori, così per tema di qualche disordine, come per trovare il detto Signor Alessandro mio padrone, e persuaderli che lasci questi vestiti d'astrologo con li quali intende chiarirsi se Cornelia e Camillo sono fedeli: poi che cognosco in una affetto smisurato di moglie, e nell'altro sincerità grande di servo. CORNELIA O marito! ERSILIA O padre! CAMILLO O padron mio! LEANDRO Ma senti che pur piangono. LAVINIA Olà, quel giovane! LEANDRO Chi mi chiama? LAVINIA Che gridi e che pianti son quelli che si fanno in casa della Signora Cornelia? FLAMINIO Ditemi, di grazia, perchè si piange in casa del Signor Alessandro? PASQUINA Olà, ferma, che la padrona desidera sapere che romore è in casa della nostra vicina. LEANDRO Che cosa è questa? Come posso in un tratto rispondere a tanti, e a tempo? Ho da far altro, nè so quel che cercate; se volete, lo potrete saper da esse, chè io vado per li fatti miei e non curo saper gli altrui. PASQUINA Oh, come è fantastico! Andrò a dire alla padrona che ho veduto un uomo a guisa di lampo, che parve e disparve in un tratto. FLAMINIO Mi piace che l'uno e l'altro si è partito, dandomi loco di vedere e contemplar colei per cui nascondo me stesso a me stesso. LAVINIA Ma ecco Cosmo, il moro di colui che è veramente più che barbaro, crudele. FLAMINIO Ma ecco che in sua presenzia perdo quelle parole che in assenzia dico mille volte l'ora. LAVINIA Cosmo, che fai qui? Che cerchi? E dove è il tuo e mio Signore? FLAMINIO Cerco chi trovo e non trovo chi mi cerca, perchè, conforme a quel che voglio, sotto altre forme cerco chi trovo sempre contraria al mio volere. Ma tu che sei qui ora, perchè di novo cerchi quel che non volesti mai; nè mai, cercando altrove, trovasti meglio, ch'al tuo voler corrispondesse? LAVINIA Tu non rispondi a proposito, se pur non vorrai dire che fanno molto a proposito mio le tue prime parole, perchè cerco colui che trovo sempre contrario al voler mio: e se ben lo cerco di novo, non è come tu t'imagini, che non lo volesse mai, sapendo che non desidero altro che l'amato, ma non amante tuo padrone... Che segni sono quelli che fai col capo e con le mani? FLAMINIO Ahimè! LAVINIA Tu sospiri, e perchè? Ti dispiace forse che 'l crudele mi è crudele? Leva su gli occhi, parla! Tu non mi rispondi? E hai ragione, non meritando risposta l'ingratitudine del Signor Giovan Luigi. FLAMINIO Ahi, sorte crudele! LAVINIA Sorte veramente crudele, poichè mi sforza ad amare un uomo assai più crudo di cocodrillo, che uccide e piange, ma egli uccide e ride. FLAMINIO Ahi, Flavio. LAVINIA E a Flavio, che m'ha amata tanto, vuol che io riversi questo rio costume, che uccidendo quel misero mi rido del suo morire. Tu parli, piangi e ti parti? Non ti partire, aspetta, fermati un altro poco. Si è pur partito, mosso a pietà del mio tormento. Ahi! che dissi ben io che l'amato mio bene è più che barbaro crudele, poichè un barbaro, com'è Cosmo, si move a pietà di me, ed egli più crudo che mai s'incrudelisce sempre; onde io, pietosa di me stessa, vengo meno per pietà. Scena 2 CORNELIA Dunque Alessandro è morto? Dunque Alessandro non vive? Come non muori, Cornelia, se non vive più colui ch'era la vita tua? Ohimè, che io scoppio di doglia: non mi trattenete, di grazia, che io voglio uscir fuora scorrendo per tutto, acciò le strade sappiano ancora che io sono la misera, che io sono ll'infelice. CAMILLO Infelice è veramente colui che non può soffrire le sue infelicitadi, poichè le disgrazie non uccidono gli uomini, ma il non aver pazienzia in quelle. Datevi dunque pace, fermatevi pure: dove volete andare? CORNELIA Dove mi mena il duolo, a piangere e sospirar sempre, perchè le disgrazie che toccano il cuore malamente si ponno soffrire. Ahimè, ahimè! CAMILLO Se le lagrime, Signora mia, fossero potenti a risorger morti, non farei altro che piangere, per ritornar in vita colui da chi confesso questa vita e quanto tengo; ma se nulla rilevano, non piangete, di grazia. Consolatevi ormai. CORNELIA Come posso consolarmi, se io sconsolata e vedova sono tre volte, e sconsolata e vedova? E in questa terza mi si conviene quel verso: «Tre volte cadde, ed alla terza giace». Poi che oggi giacciono a terra tutte le mie speranze, tutte le mie consolazioni. O marito caro, o vedova infelice! Dolente ancora che non vi viddi morto, Alessandro mio dolcissimo. CAMILLO Anzi, essendo più acerbo il vedere che l'udire le cose che ci apportano noia, è stato manco il male a non vederlo morto, perchè il dolore più intensamente vi avrebbe trafitto l'animo con pericolo della vita. CORNELIA Morte non fu giamai così beata, come sarebbe stata la mia se io fossi morta appresso colui senza del quale morrò mille volte il giorno. CAMILLO Poi che le mie persuasioni non danno rimedio al male che è veramente commune fra di noi, vogliate, come donna prudente e savia, rimettere il tutto in man di Dio, il quale sa meglio compartire le sue grazie che noi altri non sappiamo eleggere; contentatevi della volontà sua, e credete che quanto fa è

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