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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 110dovea capitanare l'esercito francese dell'Alpi, un certo Napoleone Bonaparte. — Napoleone! che razza di nome è? — chiese il Cappellano — certo costui sarà un qualche scismatico. — Sarà un di quei nomi che vennero di moda da poco a Parigi — rispose il Capitano. — Di quei nomi che somigliano a quelli del signor Antonio Provedoni, come per esempio Bruto, Alcibiade, Milziade, Cimone; tutti nomi di dannati che manderanno spero in tanta malora coloro che li portano. — Bonaparte! Bonaparte! — mormorava monsignor Orlando. — Sembrerebbe quasi un cognome dei nostri! — Eh! c'intendiamo! Mascherate, mascherate, tutte mascherate! — soggiunse il Capitano. — Avranno fatto per imbonir noi a buttar avanti quel cognome; oppure quei gran generaloni si vergognano di dover fare una sì trista figura e hanno preso un nome finto, un nome che nessuno conosce perché la mala voce sia per lui. È così! è così certamente. È una scappatoia della vergogna!... Napoleone Bonaparte!... Ci si sente entro l'artifizio soltanto a pronunciarlo, perché già niente è più difficile d'immaginar un nome ed un cognome che suonino naturali. Per esempio avessero detto Giorgio Sandracca, ovverosia Giacomo Andreini, o Carlo Altoviti, tutti nomi facili e di forma consueta: non signori, sono incappati in quel Napoleone Bonaparte che fa proprio vedere la frode! Si decise adunque al castello di Fratta che il generale Bonaparte era un essere immaginario, una copertina di qualche vecchio capitano che non voleva disonorarsi in guerre disperate di vittoria, un nome vano immaginato dal Direttorio a lusinga delle orecchie italiane. Ma due mesi dopo quell'essere immaginario, dopo vinte quattro battaglie, e costretto a chieder pace il re di Sardegna, entrava in Milano applaudito festeggiato da quelli che il Botta chiama utopisti italiani. In giugno, stretta Mantova d'assedio, aveva già in sua mano la sorte di tutta Italia; dappertutto era un supplicar di alleanze, un chieder di tregue; Venezia ancor deliberante quando era tempo d'aver già fatto, s'appigliò per l'ultima volta alla neutralità disarmata. Il general francese se ne prevalse a sua commodità. Scorrazzò invase taglieggiò provincie, città, castelli. Ruppe due eserciti di Wurmser e d'Alvinzi sul Garda sul Brenta sull'Adige; un terzo di Provera presso a Mantova e nel febbraio del '97 la fortezza si arrende. A Fratta si dubitava ancora; ma a Venezia tremavano davvero; quasi quasi s'aveva udito a San Marco il tuonar dei cannoni; non era più tempo da ciarle. Pur seguitavano a sperare e a credere che come eran vissuti, così sarebbero scampati per sorte, per accidente, secondo la celebre espressione del doge Renier. La Contessa peraltro in mezzo a quei subbugli non si vedeva tranquilla; neppur le pareva buon partito di rifugiarsi in terraferma quando tutti ne partivano per ricoverarsi a Venezia. I Frumier vi erano già tornati con gran rammarico della eletta società di Portogruaro; la Contessa adunque scrisse a suo figlio che avrebbe adoperato ottimamente di recarsi egli pure presso di lei, giacché un uomo in famiglia era una gran malleveria; e gli raccomandava di portar seco quanto più danaro poteva per ogni emergenza. Il conte Rinaldo giunse a Venezia quando appunto la guerra napoleonica romoreggiava alle porte del Friuli e persuadeva al capitano Sandracca che il giovine general còrso non era né un essere ipotetico né un nome romanzesco inventato dal Direttorio. Il Capitano tanto più temette reale e presente il generale di Francia quanto più lo avea schernito lontano e imaginario. Tutto ad un tratto si sparge la nuova che l'arciduca Carlo scende al Tagliamento con un nuovo esercito, che i Francesi gli vengono addosso, che sarà un massacro un saccheggio una rovina universale. Le case rimanevano abbandonate, i castelli si asserragliavano contro le soperchierie degli sbandati e dei disertori; si sotterravano i tesori delle chiese; i preti si vestivano da contadini o fuggivano nelle lagune. Già da Brescia da Verona da Bergamo le crudeltà, gli stupri, le violenze si scrivevano si lamentavano si esageravano; l'odio e lo spavento s'alternavano nell'ugual misura, ma il secondo invigliacchiva il primo. Tutti fuggivano senza ritegno senza pudore senza provvidenza di sé o della famiglia. Il Capitano e la signora Veronica scapparono credo a Lugugnana dove si nascosero presso un pescatore in un isolotto della laguna. Monsignore non andò più in là di Portogruaro perché il digiuno lo spaventava più ancora di Bonaparte. Fulgenzio e i suoi figliuoli erano scomparsi; Marchetto essendo malato s'era fatto trasportare all'ospitale. Ebbi un bel dire e un bel che fare a trattener la Faustina che non la mi lasciasse solo colla vecchia Contessa; mi restavano poi l'ortolano e il castaldo, che non avendo forse nulla da perdere non s'affrettavano tanto a mettersi in salvo. Ma così non poteva stare; tanto più che i birbaccioni dei dintorni assicurati dal comune spavento imbaldanzivano, e mettevano a ruba or questo or quello dei luoghi più appartati e mal difesi. D'altronde non era sicuro né dell'ortolano né del castaldo né meno che meno della Faustina; e così risolsi prima che il pericolo stringesse maggiormente di far una corsa a Portogruaro a chiedervi soccorso. Sperava che il Vice–capitano mi avrebbe concesso una dozzina di quegli Schiavoni che capitavano tutti i giorni, avviati a Venezia, e che monsignor Orlando mi avrebbe procurato una donna, un'infermiera da porre al letto di sua madre. Misi dunque la sella al cavallo di Marchetto, che poltriva nella scuderia da una settimana, e via di galoppo a Portogruaro. Le notizie, signori miei, non avevano a quel tempo né vapori né telegrafi da far il giro del mondo in un batter d'occhio. A Fratta poi esse giungevano sull'asino del mugnaio, o nella bisaccia del cursore; laonde non fu meraviglia se appena lontano tre miglia dal castello trovassi della gran novità. A Portogruaro era a dir poco un parapiglia del diavolo; sfaccendati che gridavano; contadini a frotte che minacciavano; preti che persuadevano; birri che scantonavano, e in mezzo a tutto, al luogo del solito stendardo, un famoso albero della libertà, il primo ch'io m'abbia veduto, e che non mi fece anche un grande effetto in quei momenti e in quel sito. Tuttavia era giovine, era stato a Padova, era fuggito alle arti del padre Pendola, non adorava per nulla l'Inquisizione di Stato e quel vociare a piena gola come pareva e piaceva, mi parve di botto un bel progresso. — Mi persuadetti quasi che i soliti fannulloni fossero divenuti uomini d'Atene e di Sparta, e cercava nella folla taluno che al crocchio del Senatore soleva levar a cielo le legislazioni di Licurgo e di Dracone. Non ne vidi uno che l'era uno. Tutti quei gridatori erano gente nuova, usciti non si sapeva dove; gente a cui il giorno prima si avrebbe litigato il diritto di ragionare e allora imponevano legge con quattro sberrettate e quattro salti intorno a un palo di legno. Balzava da terra se non armata certo arrogante e presuntuosa una nuova potenza; lo spavento e la dappocaggine dei caduti faceva la sua forza; era il trionfo del Dio ignoto, il baccanale dei liberti che senza saperlo si sentivano uomini. Che avessero la virtù di diventar tali io non lo so; ma la coscienza di poterlo di doverlo essere era già qualche cosa. Io pure dall'alto del mio cavalluccio mi diedi a strepitare con quanto fiato aveva in corpo; e certo fui giudicato un caporione del tumulto, perché tosto mi si radunò intorno una calca scamiciata e frenetica che teneva bordone alle mie grida, e mi accompagnava come in processione. Tanto può in certi momenti un cavallo. Lo confesso che quell'aura di popolarità mi scompigliò il cervello, e ci presi un gusto matto a vedermi seguito e festeggiato da tante persone, nessuna delle quali conosceva me, come io non conosceva loro. Lo ripeto, il mio cavallo ci ebbe un gran merito, e fors'anco il bell'abito turchino di cui era Tag: nome capitano tutti gran certo tanto avrebbe napoleone bel Argomenti: san marco, grande effetto, gusto matto, certo napoleone, vecchio capitano Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Garibaldi di Francesco Crispi Le femmine puntigliose di Carlo Goldoni Corbaccio di Giovanni Boccaccio Il benefattore di Luigi Capuana Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Lo Sphynx: bellezza particolare e carattere meraviglioso Isole Eolie,le sette perle del Mediterraneo Offerta Capodanno a Los Angeles Offerta capodanno a Rotterdam Offerta capodanno a Sidney
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