Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 214

Testo di pubblico dominio

faceva per me, e non credo aver sofferto mai maggior tormento di allora nell'accettare sacrifizi che costavano tanto per la conservazione d'una vita così inconcludente come la mia. La Pisana rideva delle mie grandi parlate di devozione e di riconoscenza, e attendeva a persuadermi che quanto a me pareva le costasse molto, non le dava infatti che pochissimo fastidio. Ma dal suono della voce dalla magrezza della mano che qualche volta le stringeva, io m'era ben accorto che i disagi e il lavoro la consumavano. Io invece m'impinguava proprio come un cavallo tenuto sempre in istalla; e questo non era l'ultimo dei miei dispiaceri; temeva di esser creduto poco sensibile a tante prove di eroica amicizia che mi venivano date. “Amicizia, amicizia!” ci filava molto dietro questa parola, come diciamo noi Veneziani; e mi pareva impossibile che la Pisana fosse capace di stare fra i limiti di questo moderato sentimento. Non so se temessi o mi lusingassi qualche volta che la memoria, se non altro, del passato ci avesse un gran merito nei sacrifizi d'allora. Ma ella mi scherniva tanto piacevolmente quando cadeva in qualche lontana allusione a ciò, che mi vergognava de' miei sospetti come nati da troppa mia superbia o da scarsa fiducia nell'eroismo disinteressato di quella prodigiosa creatura. D'altronde, a dissuadermi da quell'opinione sarebbero bastati i continui e caldi discorsi ch'ella era sempre la prima ad intavolare sull'Aquilina sui miei figli e sulla felicità che avrei gustato quandocchesia fra le loro braccia. Pareva che la Pisana d'una volta dovesse essere morta e seppellita per me. Così passavano i mesi senza differenza per me di giorno e di notte: avea perduto affatto la speranza di racquistare la vista; non mi moveva mai dalla stanza se non la domenica per passeggiare un poco a braccio della Pisana. Costei si affaticava sempre oltre ogni misura, per quanto volesse darmi ad intendere il contrario; e sovente stava assente le intiere mattine, a volerle credere, per darsi bel tempo o per correre da casa a casa alle numerose lezioni che diceva avere. In fatto io mi figurava che avesse preso lavoro in qualche negozio; né mi sarei mai immaginato quello che scopersi in seguito. — Pisana — le domandava talvolta — per cosa oggi che è domenica non ti metti il vestito di seta? (lo conosceva al fruscio). Mi rispondeva di averlo dato ad accomodare; io sapeva che se n'era privata per far denaro, e me lo avea confessato una vicina che l'aveva aiutata a smerciarlo. Un altro giorno era lo sciallo che le mancava; e me ne accorgeva, perché, essendo freddo, la sentiva battere i denti. Mi assicurava di averlo indosso e mi facea palpare una lana ch'ella diceva essere lo sciallo. Ma io conosceva per antica pratica il molle tessuto di quel cascemire, e non m'ingannava col mettermi in mano una pellegrina di merinos o di signorea. Lo sciallo avea fatto l'egual viaggio del vestito di seta. Alle volte mi consolava di esser cieco per non soffrire lo spettacolo di tante miserie, dimenticando che quella disgrazia ne era certo la prima cagione. Poco stante mi disperava conoscendomi tanto impotente da dover essere debitore del vitto alla pietà miracolosa d'una donna. L'Aquilina, in onta alle nostre proteste di agiatezza, mandava quanto più denaro poteva; ma erano gocce d'acqua in un gran vaso pieno di bisogni. Ancora ella scriveva che metteva qualche cosa da parte ogni giorno per venirmi a trovare, e che molto si era adoperata a Venezia per ottenermi la grazia di rimpatriare. Io crollava la testa perché omai la speranza mi era uscita affatto dal cuore: ma la Pisana mi dava sulla voce sclamando che era uno sciocco a scoraggiarmi a quel modo, e che eravamo abbastanza fortunati di camparla onestamente senza tante fatiche. Solamente talvolta nello sgridarmi di quella mia prostrazione d'animo ella punzecchiava alquanto col suo umorismo bizzarro e maligno di altri tempi. Ma non passava un minuto che si rifaceva buona e paziente, quasiché o il suo temperamento si fosse cambiato del tutto o avesse preso a dipendere dalla volontà e dalla ragione. Insomma vi saranno figli che costano molto alle madri, e amanti che deggiono assai alle amanti, e mariti che ebbero dalle spose le più grandi prove d'affetto, ma un uomo che riconosca da una donna maggiori beneficii che io dalla Pisana non è, credo, sì facile trovarlo. Né madre né amante né sposa potea fare di più per l'oggetto dell'amor suo. Se poi la sua condotta fosse giudicata anche a mio riguardo molto balzana e irregolata, e le fosse data taccia di pazza, come da taluno de' suoi conoscenti di Venezia, appunto per la magnanima spensieratezza di tanti sacrifizi, io benedirei allora la pazzia e vorrei abbattere l'altare della sapienza per innalzarne un altro ad essa mille volte più santo e meritato. Ma pur troppo, essendo stabilito che i pochi debbano esser pazzi, e i savi i più, al tempo che corre vanno rinchiusi all'ospedale coloro che pensano prima alla generosità indi alla regolarità e all'interesse delle loro azioni. Se il cervello rispondesse meglio ai palpiti del cuore, e le braccia rispondessero ubbidienti più a questo che a quello, credete voi che tutto si avrebbe a rifare?... Oh no, la nostra storia si sarebbe chiusa con un magnifico “Fine”; e saremmo ora occupati, tutt'al più, in qualche gloriosa appendice. Pur troppo bisognerà cambiar strada; e il rinnovamento nazionale appoggiarlo necessariamente ad un concorso tale di interessi che lo dimostrino un ottimo capitale con grassi e sicuri dividendi. Questo pure non è possibile; ma qual differenza coi sublimi e generosi slanci d'una volta!... Un povero cieco, e una donna avvezza fin'allora a tutti i commodi dell'oziosa nobiltà veneziana, v'immaginerete dunque come potessero vivere in quel gran turbine soffocante e affaccendato che è Londra. I profughi politici non godevano d'un certo favore, né la moda ne avea fatto una specie curiosissima di bestie da serraglio. Ci facevano pagare perfin l'acqua che si beveva, e meno gli scarsi aiuti mandatici da casa, la Pisana a tutto dovea provvedere. Ma cosa son mai a Londra tre in quattrocento ducati che mi potevano capitare in un anno da Venezia o da Cordovado!... Miserie! Massime poi colla mia infermità che la Pisana voleva curare sempre e coi consulti dei medici più riputati; benché io, sfidato d'ogni soccorso dell'arte, ne la rimproverassi come d'un lusso affatto inutile. Le sue assenze da casa si facevano sempre più frequenti e lunghe; il mio umore diventava tetro e sospettoso; ella, poveretta, per correggermi montava in collera e allora cominciavano gli alterchi e le dissensioni. Toccava a me, è vero, l'arrendermi e il tacere, come debitore di tutto che le era; ma alle volte mi pareva aver diritto a qualche maggior grado di confidenza e sapete che quella appunto che vien negata sembra essere la cosa unicamente desiderabile. Allora m'incapava di volerla spuntare; ella imbizzarriva dal suo lato e non sempre questi diverbi finivano all'amichevole. Soventi ella partiva dalla camera pestando i piedi e brontolando della mia diffidenza: mai una volta ch'ella mi tacciasse perciò di cattiveria o d'ingratitudine. E sì che le ne diedi sovente l'occasione. Intanto io aveva campo di fare l'esame di coscienza di ravvedermi e di prepararmi calmo e pentito per quando la sarebbe tornata. — Carlo — mi diceva ella — ti sei rifatto buono?... Allora rimango: se no esco ancora, e tornerò più tardi. Non posso soffrire che tu dubiti di me: e credi che quello che non ti dico gli è proprio che non debbo dirtelo, perché non è vero. Io fingeva di crederle e di non annettere più importanza a quella parte della sua vita che mi celava con tanto mistero; ma l'immaginazione lavorava e soventi anche non andai lontano dalla verità. Giustizia di Dio! Come raccapricciai solamente al pensarlo!... Ma in certe idee non mi fermava perché non ne aveva alcun diritto; e faceva anzi il possibile di persuadermi che nulla essa

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Argomenti: vaso pieno,    umorismo bizzarro,    rinnovamento nazionale

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