Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 160

Testo di pubblico dominio

volti quei petti quelle grida erano piene di entusiasmo e di fausti e grandi presagi: quella subita concordia di molte provincie divelte da varia soggezione straniera per comporre una sola indipendenza una sola libertà, era incentivo alle immaginazioni di maggiori speranze. Quando il Serbelloni, presidente del nuovo Direttorio, giurò per la memoria di Curzio di Catone e di Scevola che manterrebbe se fosse d'uopo colla vita il Direttorio la costituzione le leggi, quei grandi nomi romani s'intonavano perfettamente alla solennità del momento. Se ne ride ora che sappiamo il futuro di quel passato; ma allora la fiducia era immensa; le virtù repubblicane e la operosa libertà del Medio Evo parevano cosa da poco; si riappiccavano arditamente alla gran larva scongiurata da Cesare. Fra quel carnovale della libertà la mente mi corse talora a Venezia, e sentiva inumidirmisi gli occhi; ma l'imponenza presente scacciava la memoria lontana. I manifesti e le dicerie di quel giorno furono cose tanto pregne, che le lusinghe lasciate travedere dal Villetard ai Veneziani non parevano né bugiarde né fallaci. I Veneziani che assistevano alla festa piangevano piuttosto di commozione che di dolore, e d'altronde si stimava impossibile che la Francia, dopo aver donato la libertà a provincie serve e dapprima indifferenti, volesse negarla a chi l'avea sempre posseduta, e mostrato fino all'estremo di averla carissima. Bonaparte tornava in cima nell'affetto e nell'ammirazione di tutti; al più si mormorava del Direttorio francese che gli tenea legate le mani, solita scusa di questi ladri e truffatori della pubblica gratitudine. Io pure mi diedi a credere che il trattato di Campoformio fosse una necessità del momento, una concessione temporanea per riprender poscia più di quanto si era dato; e a veder daccosto le opere di quei Francesi e la civiltà dei Cisalpini, non mi sorprese più che Amilcare mi scrivesse, affatto guarito dai suoi delirii di Bruto, e che Giulio Del Ponte e Lucilio si fossero inscritti nella nuova Legione lombarda, nocciolo di eserciti futuri. Io cercava dello sguardo questi miei amici nelle schiere delle milizie disposte a rassegna nel campo del Lazzaretto; e mi parve infatti discernerli benché per la distanza non mi potessi assicurare. Quello che raffigurai perfettamente fu a capo d'un drappello francese Sandro, il mio amico mugnaio, con grandi pennacchi in testa e ori e fiocchi sulle spalle ed al fianco. Mi pareva impossibile che l'avessero fregiato di tanti splendori in sì breve tempo, ma l'era proprio lui, e se fosse stato un altro, bisognava gettar via la testa, tanto ingannava la rassomiglianza. Chiesi anco all'Aglaura se le venisse fatto di scernere il signor Emilio, ma la mi soggiunse asciutto asciutto che non lo vedeva. Ella sembrava occuparsi piucché altro della festa, e le sue grida e il suo picchiar di mani colpirono tanto i più vicini che le fu fatto bozzolo intorno. — Aglaura, Aglaura! — le bisbigliava io. — Ricordati che sei donna! — Sia donna o uomo che importa? — rispose ella ad altissima voce. — Gli adoratori della libertà non hanno differenza di sesso. Sono tutti eroi. — Bravo! brava! Ben detto! È un uomo! È una donna! Viva la Repubblica! Viva Bonaparte!... Viva la donna forte!... Dovetti trascinarla via perché non me la portassero in trionfo; ella si sarebbe accomodata, credo, molto volentieri di questa cerimonia, e le vedeva errare negli occhi un certo fuoco che ricordava il furore d'una Pizia. A gran fatica potei condurla in un altro canto dove si raccoglieva una gran turba femminile, la più molesta e ciarliera che avesse mai empito un mercato. Era una vera repubblica, anzi un'anarchia di cervelli leggieri e svampati; per me non conosco essere che dica tante bestialità quanto una donna politica. Giudicatene da quanto ne udii allora! — Ehi — diceva una — non ti pare che avrebbero fatto meglio a vestirlo di rosso il nostro Direttorio?... Così tinti in verdone coi ricami d'argento mi sembrano i cerimonieri dell'ex–Governatore. — Taci, là! sciocca — rispondeva l'interrogata — la severità repubblicana porta i colori oscuri. — Ah ci chiama severità lei? — s'intromise una terza. — Se sapesse cos'hanno fatto due tenentelli francesi alla figlia di mia sorella!... — Eh calunnie! saranno nobili travestiti!... Morte ai nobili!... Viva l'eguaglianza! — Viva, viva: ma intanto dicono che quei signori del Direttorio siano quasi tutti aristocratici. — Sì, lo erano, figliuola mia; ma li hanno purificati. — Diavolo! come si fa questa operazione?... — Eh non lo sai, no?... Non hai mai visto in San Calimero il quadro della Purificazione?... Si portano in chiesa due tortore e due colombini. — E dee proprio bastare? — Il resto lo sapranno i preti; per me mi basta che siano purificati e non m'importa tanto del cerimoniale! Ehi! Lucrezia, Lucrezia! guarda là tuo fratello che bella figura ci fa col suo schioppo in ispalla e la coccarda sul cappello! — Eh lo vedo io! Se non fossi sua sorella me ne innamorerei!... Sai ch'egli ha giurato di ammazzare tutti i re, tutti i principi e perfino il papa?... — Sì?... Bravo lui, per diana! è capace di mantener la promessa. L'ho veduto io rompere il muso ad uno sbirro perché gli avea pestato sul piede all'osteria. Viva la Repubblica!... Tutte quelle gole infaticabili si unirono allora a quel grido frenetico. Viva la Repubblica!... Viva Buonaparte!... Viva la Repubblica Cisalpina!... — Ehi! — chiese timidamente alle compagne quella che voleva vestir di scarlatto il Direttorio. — Sapresti dirmi dov'è e che cos'è questa Repubblica?... Io non la vedo... È forse come Maria Teresa che stava sempre a Vienna e ci mandava qui un sottocuoco! — Morte al Governatore! — gridò l'altra per purificarsi intanto le orecchie dalle memorie servili richiamatele dalla compagna. — Indi si mise a darle una idea chiara di quel che fosse Repubblica, accertandola ch'essa era come una padrona che non si prende cura di nulla, che vive e lascia vivere, e non fa lavorare la povera gente a profitto dei ricchi. — Vedi — soggiungeva essa. — La Repubblica c'è ma nessuno l'ha mai veduta; così non se ne prendono soggezione, e ciascuno può gridare fare girare strepitare a sua posta; come se non ci fosse nessuno. — Eh cosa dite mai che non c'è nessuno? — s'intromise con una vociaccia arrocata dal gran gridare la Lucrezia. — Non vedete che ci sono i Francesi ed anco i Cisalpini? — Giust'appunto — tornò a chiedere la prima — cosa vuol dire questa Cisalpina? — Caspita! è un nome come Teresina, Giuseppina e tanti altri. — No, no, ve lo dirò io cosa vuol dire! — soggiunse la Lucrezia — costei non ne sa proprio nulla. — Come non ne so nulla?... Tu eh, sei proprio la dottorona! — Minchiona! non vuoi che me ne intenda? ho ballato intorno all'albero facendo la parte del Genio della libertà; e ho mio fratello nella Legione Repubblicana!... Io aspettava con tanto d'orecchi questa definizione della Repubblica che stentava a venire, e non badava ai delegati di Mantova e delle Legazioni, non ancora unite alla Cisalpina, che oravano in quel frattempo dinanzi al Direttorio, con grande e nuova testimonianza d'italiana concordia. — Dunque dunque, via, cos'è questa Repubblica Cisalpina? — chiese con mio gran conforto quella che mi pareva la più sciocca e pettegola. — Cos'è? cosa vuol dire? — gridò fieramente la Lucrezia. — Vuol dire che la Cisalpina c'è e che la Repubblica saprà mantenerla. L'ha detto e giurato anche il Serbelloni: e il general Buonaparte è d'accordo con lui. — Per me non mi piace nulla quel general Buonaparte; è magro come un quattrino, e ha i capelli morbidi come chiodi. — Oh non è nulla, figliuola mia! ne vedrai ben di più belle! È il continuo furore delle battaglie che gli ha ridotto le guance e la capigliatura a quel modo. Vedrai mio fratello quando tornerà dalla guerra. Scommetto che non potrà

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Argomenti: medio evo,    direttorio francese,    certo fuoco,    chiesa due,    drappello francese

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