Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 24

Testo di pubblico dominio

e la Gaetana col polso arrembato in onta al pepe alla cannella ed al vino. La ragione di questi miracoli era che per quella volta Lucilio, non sentendosi voglia di far le visite, aveva architettato ed empiuto a capriccio la sua tabella all'ombra d'un gelso. La rimetteva poi al signor padre per far disperare le sue teorie de qualitate et sintomatica morborum. Vi erano peraltro certe occasioni nelle quali al giovane non dispiaceva di essere licenziato in medicina dalla Università patavina, quando per esempio, appena capitato, la Rosa lo pregava di salire dalla Contessa vecchia che andava soggetta a mali di nervi e si faceva ordinar da lui qualche pozione di laudano e d'acqua coobata per calmarli. Lucilio pareva nudrisse per la quasi centenaria signora una riverenza mista d'amore e di venerazione; laonde non vedeva cure ed accorgimenti che bastassero per mantener una vita così degna e preziosa. Stava ad udirla sovente con quella attenzione che somiglia stupore e dà indizio di un gratissimo piacere e quasi d'un melodioso solletico prodotto nell'animo dalle parole altrui. Benché egli poi fosse d'un temperamento chiuso e riserbato, nel ragionare con lei s'incaloriva per non volontaria ingenuità e non si schivava dal parlarle di sé e delle proprie cose, come ad una madre. Nessuno, a credergli, soffriva al pari di lui d'esser orfano, giacché la moglie del dottor Sperandio gli era morta nel puerpèrio di quell'unico figliolo; onde sembrava cercar conforto al dolore d'una tale mancanza nell'affetto quasi materno che gli inspirava la nonna di Clara. A poco a poco la vecchia s'avvezzò alla cordiale dimestichezza di quel giovine; lo facea chiamare anche se non aveva bisogno del medico; ascoltava da lui volentieri le novelle della giornata, e compiacevasi di trovarlo differente d'assai dai giovinastri che frequentavano il castello. Veramente Lucilio meritava una tal distinzione; aveva letto molto, s'era preso di grande amore per la storia, e siccome sapeva che ogni giorno è una pagina negli annali dei popoli, teneva dietro con premura a quei primi segni di sconvolgimenti che apparivano sull'orizzonte europeo. Gli Inglesi non erano allora troppo ben veduti dal patriziato veneziano; forse per la stessa ragione che il fallito non può guardar di buon occhio i nuovi padroni dei suoi averi. Perciò egli magnificava sempre le imprese degli Americani e la civile grandezza di Washington che aveva sciolto dalla soggezione dei Lordi tutto un nuovo mondo. L'inferma lo udiva volentieri narrar casi e battaglie che volgevano sempre alla peggio degli Inglesi, e s'univa con lui in un caldo entusiasmo per quel patto federale che avea loro tolto per sempre il possesso delle colonie americane. Quando poi egli parlava a labbra strette delle vicende di Francia e dei ministeri che vi si sbalzavano l'un l'altro, e del Re che non sapeva più a qual partito appigliarsi, e delle mene della Regina germanizzante, allora entrava ella a raccontare le cose de' suoi tempi e le splendidezze della corte, e gli intrighi e la servilità dei cortigiani, e la superba e quasi lugubre solitudine del gran Re, sopravvissuto a tutta la gloria di cui l'avevano ricinto i suoi contemporanei, per assistere alla frivolezza e alla turpitudine dei nipoti. Ella discorreva con raccapriccio dei costumi sfacciatamente osceni che si auguravano fin d'allora dalla nuova generazione, e ringraziava il cielo che proteggeva la Repubblica di San Marco contro l'invasione di quella pestilenza. Passata dalla Corte di Francia al castello di Fratta, ella ricordava Venezia com'era stata nei primordi del Settecento, non indegna ancora del suffragio serbatole nel gran consiglio degli Stati europei; non poteva conoscere quanto in quel frattempo, e con qual lusinghiera orpellatura di eleganza, le sconcezze di Versailles e di Trianon venissero copiate vogliosamente a Rialto e nei palazzi del Canal Grande. Quando la nipote le leggeva talune delle commedie di Goldoni, ella se ne scandolezzava e le faceva saltar via qualche pagina; qualche volume anche avea creduto bene di toglierselo lei e serrarlo sotto chiave; né avrebbe mai figurato che quanto a lei sembrava sfrenatezza di lingua e licenza di pensieri, nei teatri di San Benedetto o di Sant'Angelo facesse anzi l'effetto di sferzare costumi ancor più rotti e sfrontati. Talvolta anche si veniva sul discorso delle riforme già incominciate da Giuseppe II, massime nelle faccende ecclesiastiche; e la vecchia divota non sapeva bene se dovesse increscerle di quel vitupero fatto alla religione, o consolarsene di vederlo fatto da tal nemico ed antagonista della Repubblica che ne sarebbe poi sicuramente punito dalla mano di Dio. I Veneziani sentivano da gran tempo, massime nel Friuli, la pressura dell'Impero; e se aveano resistito colla forza al tempo della lor grandezza militare, e cogli accorgimenti politici al tempo della perdurante sapienza civile, allora poi che questa e quella eransi perdute nell'ignavia universale, i meglio pensanti si accontentavano di fidare nella Provvidenza. Ciò era compatibile in una vecchia, non in un senato di governanti. Ognuno sa che la Provvidenza coi nostri pensieri coi nostri sentimenti colle nostre opere matura i propri disegni; e a volersi aspettar da lei la pappa fatta, l'era o un sogno da disperati o una lusinga proprio da donnicciuole. Perciò quando la Badoer cadeva in questa bambolaggine di speranza, Lucilio non potea far a meno di scuotere il capo; ma lo scoteva mordendosi le labbra e frenando un sogghignetto che gli scappava fuori dagli angoli, rimpiattandosi sotto due baffetti sottili e nerissimi. Scommetto che le riforme dell'Imperatore e la malora di San Marco non gli spiacevano tanto come voleva mostrarlo. La conversazione non si aggirava sempre sopra questi altissimi argomenti; anzi li toccava molto di rado e in difetto di argomenti più vicini. Allora i vapori i telegrafi e le strade ferrate non avevano attuato ancora il gran dogma morale dell'unità umana; e ogni piccola società, relegata in se stessa dalle comunicazioni difficilissime, e da una indipendenza giurisdizionale quasi completa, si occupava anzi tutto e massimamente di sé, non curandosi del resto del mondo che come d'un pascolo alla curiosità. Le molecole andavano sciolte nel caos, e la forza centrìpeta non le aveva condensate ancora in altrettanti sistemi ingranati gli uni negli altri da vicendevoli influenze attive o passive. Così gli abitanti di Fratta vivevano, a somiglianza degli dei di Epicuro, in un grandissimo concetto della propria importanza; e quando la tregua de' loro negozii o dei piaceri lo consentiva, gettavano qualche occhiata d'indifferenza o di curiosità a destra o a sinistra, come l'estro portava. Questo spiega il perché nel secolo passato fosse tanta penuria di notizie statistiche e la geografia si perdesse a registrare piuttosto le stranezze dei costumi e le favole dei viaggiatori, che non le vere condizioni delle provincie. Piucché da imperfezione di mezzi o da ignoranza di scrittori dipendeva ciò dal talento dei lettori. Il mondo per essi non era mercato ma teatro. Più sovente adunque i nostri interlocutori parlavano dei pettegolezzi del vicinato: del tal Comune che aveva usurpato i diritti del tal feudatario; della lite che se ne agitava dinanzi all'Eccellentissimo Luogotenente, o della sentenza emanata, e dei soldati a piedi ed a cavallo mandati per castigo, o come si diceva allora, in tansa presso quel Comune a mangiargli le entrate. — Si pronosticavano i matrimoni futuri, e si mormorava anche un tantino di quelli già stabiliti o compiuti; e per solito i litigi le angherie le discordie dei signori castellani tenevano un buon posto nel discorso. La vecchiona parlava di tutto con soavità e con posatezza, come se guardasse le cose dall'alto della sua età e della sua condizione; ma questo modo di ragionare non era in lei studiato punto punto, e vi si frammischiava a raddolcirlo una buona dose di semplicità e di modestia cristiana.

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Argomenti: san marco,    grande amore,    melodioso solletico,    cordiale dimestichezza,    civile grandezza

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