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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 208dal mio torpore di padre di famiglia, e avveravano quelle paure che da lunga pezza aveva concepito, non è d'uomo il dirlo. Dal racconto di questa vita dovete già avermi conosciuto abbastanza. Sospirai per me, piansi di disperazione per la patria, indi guardando alle sembianze tenerelle dei figliuoli mi consolai e rividi un barlume di speranza. Eravamo nati, si può dire, diciott'anni prima; ci voleva la scuola delle sventure per educarci, e la vita dei popoli non si misura da quella degli individui; se noi figliuoli s'aveva scontato la viltà dei padri, i figliuoli nostri forse avrebbero raccolto la messe fecondata dal nostro sangue e dalle lagrime. Padri e figliuoli sono un'anima sola, sono la nazione che non perisce mai. Così mi affidava alla rigenerazione morale, non al viceré Beauharnais, né allo czar Alessandro, né a lord Bentink, né al general Bellegarde. A questo modo passano rapidi gli anni come i mesi della giovinezza; ma non crediate che in effetto fossero tanto veloci come sembra a raccontarli. Più il tempo è lungo a narrarlo e più forse fugge rapidamente in realtà. A Cordovado i giorni erano tranquilli, sereni, dolci anche se volete, ma la soverchia brevità non era il loro difetto. Le lettere della Pisana assai rare dapprincipio diventarono mano a mano più frequenti all'infuriare delle tempeste politiche; pareva che, immaginandosi quanto ne doveva soffrire, ella s'affrettasse a porgermi il conforto della sua parola. Mi diceva dei grandi schiamazzi che aveano fatto i Venchieredo l'Ormenta e il padre Pendola coi suoi proseliti; delle belle cariche date ai suoi cugini Cisterna, massime ad Augusto ch'era diventato di botto, credo, segretario di governo; e d'Agostino Frumier che volendo ritirarsi dagli affari ed essendo ricchissimo non avea sdegnato di domandare il quarto o il quinto di pensione che gli competeva. Molte, come vedete, furono le porcherie; e non poteva essere altrimenti perché l'astinenza era la virtù dei migliori, né si giungeva a fare di meglio. Peraltro il vecchio Venchieredo osteggiato pel soverchio zelo avea perduto assai della sua influenza ed era scaduto dai primissimi gradi fino a quello di direttore della Pulizia. Egli ne sbuffava; ma non c'era rimedio. Servir troppo è servir male. Non era stato furbo abbastanza. — Il Partistagno invece rimise il piede in Venezia colonnello degli ulani; aveva sposato una baronessa morava, diceva, perché somigliantissima ad una sua cavalla prediletta. Egli serbava ancora il suo astio contro la famiglia di Fratta; e saputo che la Clara uscita di convento abitava il Palazzo Navagero, si pavoneggiava sovente in grande assisa sotto le finestre di quello sperando di darle nell'occhio e persuaderla a dire: “Gran peccato quello di non averlo voluto ad ogni costo!”. — Ma la Clara, diventata miope a forza di aguzzar gli occhi nell'Uffizio della Madonna, non ci vedeva più fin nella calle e non distingueva uno di que' pezzenti che fermano le gondole, dal magnifico e spettacoloso colonnel Partistagno. Fuvvi chi disse che anche Alessandro Giorgi fosse passato dall'esercito italiano all'austriaco serbandosi il grado di generale guadagnato alla Moskova, ma io non ci credeva. Infatti alcuni mesi dopo mi giunsero notizie dal Brasile dove si era rifugiato e aveva trovato un buon posto. Non si dimenticava di offrirmi la sua protezione presso l'imperatore don Pedro; e mi diceva di aver trovato a Rio Janeiro parecchie contesse Migliane che mi potrebbero fare ben altro che maggiordomo. Probabilmente egli si dimenticava che ero organista ammogliato e con figli; pure mi aveva veduto me e la mia famigliuola nel passare col principe Eugenio quando marciavano nel milleottocentonove verso l'Ungheria. Ma in onta ai suoi quarant'anni il bel generale si conservava alquanto libertino e smemorato. Gli smorti anni seguenti non furono che un melanconico cimitero. Il primo a traboccare fu il cappellano di Fratta, indi toccò allo Spaccafumo; poi a Marchetto il cavallante, sagrestano e sonatore di contrabbasso che morì colpito dal fulmine mentre scampanava durante un temporale. Gli abitanti della parrocchia lo venerano anche adesso come un martire. Durante l'anno della carestia e nel susseguente la morte fece man bassa sulla povera gente; fu un sonare a morto continuo, e così se n'andò ma non per colpa della carestia anche la signora Veneranda, lasciando il Capitano vedovo per la seconda volta ma con settecento lire di usufrutto, il che lo liberò dal pensiero di torsi una terza moglie. Ed anche noi in quell'anno ebbimo a stringerci non poco; perché non si trovavano più né famiglie che pagassero il ripetitore ai loro ragazzi né pievani che racconciassero organi. Anzi le spese fatte in quell'anno furono il principio del nostro sbilancio che poi s'aggravò sempre e mi condusse ai nuovi rivolgimenti che udrete in appresso. Non mi ricordo precisamente quando, ma certo in quel torno il conte Rinaldo fece una gita nel Friuli: veniva per denari e siccome non ne trovò, vendette ad un imprenditore i materiali della parte più diroccata del castello. Io assistetti alla demolizione e mi parve al funerale d'un amico; così pure il Conte non poté reggere allo spettacolo di quella rovina, e toccati quei pochi quattrini se ne tornò a Venezia. Ve lo richiamava anche la malattia di sua madre che cominciava a dar gravi timori. Appena sgomberi i cortili delle pietre spaccate a forza di piccone e delle macerie ragunatevi a montagne durante la demolizione, cominciò Monsignore a sentir più molesto che mai lo scilocco. Una mattina ebbe uno svenimento durante la messa, e dopo d'allora non uscì più della sua camera. Io fui a trovarlo il penultimo giorno di sua vita, gli domandai del suo stato e mi rispose colla solita solfa. Sempre quello scirocco ostinato!!... Tuttavia mangiava anche a letto a doppie ganasce, e all'ultima ora aveva il breviario da un lato e dall'altro mezzo pollastrello arrostito. La Giustina gli veniva domandando: — Non mangia, Monsignore?... — Non ho più fame! — rispose egli con voce più fioca del solito. Così morì monsignor Orlando di Fratta, sorridendo e mangiando com'era vissuto; ma almeno si avea cavata la fame. Invece sua cognata, che gli andò dietro qualche mese dopo, farneticò fino agli estremi di carte e di trionfi; morì sognando vincite favolose, collo scrigno asciutto e con ogni sua roba al Monte di Pietà. I Cisterna dovettero prestare qualche ducato al conte Rinaldo per farla seppellire, giacché né la Clara né la Pisana avevano un ducato in tasca, e Sua Eccellenza Navagero si commiserava sempre della propria povertà. Tutti se n'andavano, ma costui batteva duro; segno che i miei ardentissimi voti di qualche anno addietro non avevano ottenuto grazia presso Domeneddio. La Pisana mi partecipò con assai dolenti parole la morte della madre; e in segreto mi raccontò anche una visita assai impreveduta che avevano ricevuto. Una sera mentr'essa e la Clara recitavano il rosario nella cappella di casa (questa poi dalla Pisana non me la sarei aspettata), s'era annunziato un forestiero che chiedeva premurosamente di loro. Un signore piccolo, magro, dicevano, folto di barba, cogli occhi lucentissimi ad onta dell'età che sembrava di cinquant'anni e più, colla fronte molto alta e nuda affatto di capelli. Chi può essere? chi non può essere?... Vanno in sala e la Pisana riconosce più alla voce che alla figura il dottor Lucilio Vianello. Era giunto sopra una nave inglese, sapeva della Clara tornata al secolo, e veniva a chiederle per l'ultima volta l'adempimento delle sue promesse. La Pisana diceva di aver avuto paura del dottore tanto era cupo e minaccioso; ma la Clara gli rispose netto netto che non lo conosceva più, che si era sposata a Dio e che avrebbe continuato a pregarlo per l'anima sua. “Vi assicuro” così scriveva la Pisana “che in quel momento lo sdegno il furore lo ringiovanirono di trent'anni; indi si fece pallido pallido e prese un colore terreo di Tag: durante assai conte vita essere sempre dopo fratta indi Argomenti: soverchio zelo, grande assisa, bel generale, capitano vedovo, penultimo giorno Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Corbaccio di Giovanni Boccaccio I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni Intrichi d'amore di Torquato Tasso La favorita del Mahdi di Emilio Salgari Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Cura della pelle per trattare l'acne Cosa bisogna sapere sul gattino di razza Dieta di primavera Le Bahamas meta di un sogno Come gestire una serena convivenza
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