Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 167

Testo di pubblico dominio

— Stento un po' a crederla, tanto è singolare. Anzi non ve la credo, non ve la credo! Addio Carlino! E andò via allegro allegro come se il non credermi quella freddura dovesse importare a lui qualche smisurata fortuna. Però m'ero avvezzo ai ghiribizzi del signor Ettore, e conchiusi ch'egli era felice di poter sempre ridere. Per me dopo la partenza di Amilcare non sentiva più neppur il solletico; e se qualcheduno mi spianava un po' la fronte si era l'Aglaura colla sua briosa testardaggine. La mi doveva questo piccolo compenso per tutte le rabbie e le inquietudini che m'avea fatto soffrire senza apparente motivo dopo il nostro incontro a Padova. Una sera, eravamo in procinto di partire, io sedeva secolei nella nostra cameretta di Porta Romana, ove due bauletti e la nudità degli armadi e dei cassetti ci tenevano a mente il viaggio che dovevamo intraprendere, se anche non ce ne fossimo ricordati anche troppo pei timori che ne avevamo ambidue senza volerceli scambievolmente confessare. Da qualche giorno io teneva all'Aglaura un poco di broncio; quella sua ostinazione di volermi seguir a Roma, benché priva d'ogni notizia de' suoi, mi metteva in sospetto sul suo buon cuore. Stava quasi per lanciare la bomba e per dichiararle la perfidia e l'infedeltà di colui al quale ella sembrava pronta a sacrificar tutto, perfino i sacrosanti doveri di figlia, quando, non so come, ad un suo sguardo pieno d'umiltà e di dolore mi sentii rammollir tutto. E di giudice ch'esser voleva, mi sentii cambiare a poco a poco in penitente. Le angosce le incertezze che da tanto tempo mi laceravano erano cresciute tanto che richiedevano un qualche sfogo. Quell'occhiata dell'Aglaura m'invitava così pietosamente che non seppi resistere, e le narrai il sospetto in cui viveva della Pisana, il suo lungo e crudele silenzio, la sua partenza da Venezia, lasciatami ignorare. — Ohimè! — sclamai — pur troppo sarebbe pazzia il volermi illudere!... La è tornata quale fu sempre. La lontananza ha lasciato morire l'amor suo d'inedia. Si sarà appigliata ad un altro; a qualche ricco forse, a qualche scapestrato che la sazierà di piaceri un anno e due, e poi... Oh Aglaura! il disprezzare quell'unica persona che si ama più della propria vita è un tormento superiore ad ogni forza d'uomo! L'Aglaura m'impugnò furiosamente la mano ch'io aveva alzata al cielo nel pronunciare queste parole. Aveva l'occhio fiammeggiante, le narici dilatate e due lagrime sforzate rabbiose riflettevano al chiarore della lucerna il fuoco sinistro de' suoi sguardi. — Sì! — gridò essa quasi fuori di sé. — Maledicete, maledicete anche a nome mio i vili e i traditori! Con quella mano che innalzaste a Dio come per affidargli le vostre vendette, rapite un fascio de' suoi fulmini e scagliatelo loro sul capo!... Compresi di aver toccato una piaga secreta e sanguinosa del suo cuore, e la simpatia del mio dolore col suo m'aperse l'animo piucchemai alla confidenza e alla compassione. Mi parve aver trovato in lei un'amica, anzi una vera sorella, e lasciai scorrere nel suo seno le lagrime che da tanto tempo mi si aggruppavano dentro. Anche il suo sdegno nel punto istesso s'era mitigato per la commozione della pietà, e abbracciati come due fratelli piangevamo insieme, piangevamo dirottamente; conforto misero dei miseri. In quella s'aperse violentemente la porta, e un uomo coperto da un mantello spruzzato di neve entrò nella stanza. Diede uno strido, gettò indietro il mantello, e ravvisammo ambidue le pallide sembianze di Spiro. — Giungo forse troppo tardi? — domandò egli con tal suono di voce che non mi dimenticherò mai più. Io fui il primo a slanciarmigli fra le braccia. — Oh che tu sia benedetto! — balbettai coprendogli il volto di baci. — Da quanto tempo sperava la tua venuta!... Spiro, Spiro, fratel mio! Egli mi respingeva colle braccia, si strappava con forza il collare come si sentisse soffocare, e non rispondeva ai miei baci che con un profondo ruggito. — Spiro, per carità, cos'hai? — gli disse timidamente l'Aglaura, appendendoglisi al collo. Al contatto di quella mano, al suono di quella voce egli tremò tutto; sentii raffreddarsi di repente il sudore che gli inondava le guance; mi volse uno sguardo tale che una tigre non ne lancerebbe uno più formidabile a chi le trucida i suoi figli; indi con una potente scrollata ci respinse ambidue fino contro al letto, e restò solo minaccioso nel mezzo della stanza. Pareva l'angelo del terrore che ha traversato l'inferno per precipitarsi a punire una colpa. Senza fiato, smarriti dall'angoscia e dallo spavento, noi restammo curvi e silenziosi dinanzi a lui in guisa di colpevoli. Quella nostra attitudine servì ad ingannarlo forse completamente e a persuadergli ciò che temeva e che punto non era. — Ascoltatemi, Aglaura — incominciò egli con voce che voleva esser calma e serbava tuttavia il moto scomposto e lo stridulo suono della tempesta. — Ascoltatemi, s'io v'ho amato!... Stava per correre dietro a voi, quando me lo vietò la prigione. In carcere ogni giorno ogni minuto fu uno studio continuo di fuggire per raggiungervi, per salvarvi dal precipizio ove siete caduta. Finalmente riuscii!... Una tartana mi condusse fino a Ravenna; di là avvisava di venire a Milano, perché il cuor mel diceva che eravate qui. Quando, giunto a Bologna, alcuni veneziani rifugiatisi colà mi danno contezza di Emilio Tornoni che avea traversato quella città fuggendo da Milano con una signora, e diretto per Roma... Capite bene che non potea perder tempo a raffrontare scrupolosamente i connotati e le date. Le mie congetture, così all'ingrosso, ci stavano; mi volsi a precipizio verso Roma, e vi giunsi che la Repubblica era già proclamata!... Or bene sappiatelo, Aglaura!... Il vostro Emilio era un vile, un traditore; ve l'ho sempre detto e non volevate ascoltarmi... Egli vi tradiva per una nobile baldracca di Milano!... Egli tradiva i Veneziani pei francesi, tradiva questi e quelli per zecchini imperiali che il signor Venchieredo gli portava da Gorizia!... Egli non era corso a Roma che per tradire!... Colle commendatizie d'un reverendo padre di Venezia s'era addentrato nelle grazie di qualche cardinale per espilare la buona fede del Papa, asserendosi amico influentissimo di Berthier. Ingannava intanto Berthier trafugando a proprio utile gran parte dello spoglio di Roma. Il popolo sdegnato lo arrestò mentre comandava il saccheggio d'una chiesa: Francesi e Romani ne godettero. Fu solennemente impiccato in Campidoglio!... La sua ganza avea fatto vela il giorno prima per Ancona col suo amicissimo Ascanio Minato!... L'Aglaura diventava di tutti i colori durante questa furibonda invettiva di Spiro. Quand'egli tacque, s'era già ricomposta alla solita gravità. — Or bene — diss'ella guardando nel volto Spiro con occhio sicuro — or bene, la giustizia ha avuto effetto. Dio la serbò per sé, e non ha voluto ch'io me ne macchiassi le mani. Benedetta la clemenza di Dio!... — Ah è proprio vero? — soggiunse Spiro amaramente, saettandomi delle sue occhiate sempre più truci e sinistre. — E avete anche la sfrontatezza di confessarmelo?... Non lo amavate più?... Temetemi, o Aglaura! Perché una mia sola parola può vendicarmi della vostra impudenza!... — Temervi? — riprese sempre con calma l'Aglaura — due cose sole io temo, la mia coscienza e Dio!... Fra poco non temerò più nessuno. — Che pensereste di fare? — le domandò Spiro quasi minacciosamente. — Uccidermi — rispose fredda e sdegnosa l'Aglaura. — No, per tutti i santi! — le dissi io allora interponendomi. — Io ebbi un vostro giuramento; lo manterrete. — Avete ragione, Carlino — rispose ella — non mi ucciderò!... Ma infelice voi, infelice io: faremo causa comune. Ci sposeremo, e pensi Dio al resto. Credetti che mi crollasse il soffitto sul capo, di tal forza fu l'urlo che scoppiò allora dalle viscere di Spiro. Si gettò innanzi cogli occhi chiusi e colle braccia protese.

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Argomenti: tanto tempo,    reverendo padre,    sguardo pieno,    piccolo compenso,    tormento superiore

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