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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 151intorno al capo alla foggia dei serpenti di Medusa. Era un pochettino losca, e discretamente barbuta, con una vociaccia sonata pel naso che non parlava né veneziano, né schiavone, ma un certo gergo imbastardito a mezza strada. Costei aveva ricevuto da madre natura tutte le più brutte impronte della fedeltà: perché io ho sempre osservato che fedeltà ed avvenenza litigano sovente fra loro e s'acconciano assai di rado a una vita tranquilla e comune. Di più era certo che chi volesse entrare in casa e s'affacciasse a quello spettacolo, sarebbe ito piuttosto a casa del diavolo che avanzar un passo oltre la soglia; tanto era graziosa e piacevole. S'intende che io le diedi precetto assoluto di dir sempre ed a tutti che i padroni eran fuori di Venezia; e di restar nascosto ci aveva molti buoni perché. Sarebbe bastato quello della felicità; che già appena gli altri uomini se n'accorgono, non possono fare a meno di saltarvi addosso per guastarvela. Or dunque appostato questo mio Cerbero alla cucina, e provveduto che ebbi alla sicurezza ed al vitto, tornai alla Pisana e mi dimenticai di tutto il resto. Forse quello non era il miglior punto; forse, Dio mel perdoni, altri doveri allora m'incombevano, e non era tempo da svagarsi come Rinaldo nel giardino d'Armida; ma badate che io non dissi di avermi fatto violenza per dimenticare il resto; me ne dimenticai anzi così spontaneamente, che quando ulteriori circostanze mi richiamarono alla vita pubblica, mi parve tutto un mondo nuovo. Se furono mai scuse ai delirii dell'amore, e all'ubbriachezza dei piaceri, io certo le aveva tutte. Peraltro non voglio nascondere le mie colpe, e me ne confesserò sempre peccatore. Quel mese smemorato di beatitudine e di voluttà, vissuto durante l'avvilimento della mia patria, e rubato alla decorosa miseria dell'esilio, mi lasciò nell'anima un eterno rimorso. Oh quanta distanza ci corre dal meschino accattonaggio delle scuse alla superba indipendenza dell'innocenza! Con quante bugie non fui io costretto a nascondere agli occhi degli altri quella mia felicità clandestina e codarda! No, io non sarò mai indulgente verso di me né d'un momento solo di smemorataggine, quando l'onore ci comanda di ricordarsi robustamente e sempre. La Pisana, poveretta, pianse assai quando vide da ultimo che tutti i suoi sforzi per rendermi felice non riuscivano ad altro che a interrompere con qualche lampo di spensieratezza un malcontento che sempre cresceva e mi faceva vergognar di me stesso. Oh, perché non si volse ella a me con quell'amore inspirato e robusto che aveva sgomentito l'animetta galante di Ascanio Minato? Perché invece di domandarmi baci, carezze, piaceri, non m'impose ella qualche grande sacrifizio, qualche impresa disperata e sublime? — Sarei morto da eroe, mentre vissi da porco. — Pur troppo i sentimenti nostri ubbidiscono ad una legge che li guida sempre per quella strada ove sono incamminati da principio. Quella bizzarra passione per l'ufficiale d'Ajaccio, nata più che da amore da rabbia, e nudrita dai maschi pensieri che guardavano alla rovina della patria e al pericolo della libertà, fu in procinto di diventar grande pel santo ardore che la infiammava. L'amor mio, antico di molti anni, ricco di sentimenti e di memorie, ma sprovveduto affatto di pensiero era dannato a poltrire su quel letto di voluttà che l'avea veduto nascere. Io sentiva la vergogna di non poter ispirare alla Pisana quello che le aveva ispirato un vagheggino di dozzina: scoperto il peccato originale dell'amor nostro, m'era impossibile goderne così pienamente com'ella avrebbe voluto. Tuttavia le giornate passavano, brevi, ignare, deliranti: io non ci vedeva scampo da uscirne, e non ne sentiva né la volontà né il coraggio. Avrei bensì potuto tentare sulla Pisana il miracolo ch'ella avea tentato sul giovane còrso, e sollevar l'animo suo a quell'altezza dove l'amore diventa cagione di opere grandi e di nobili imprese. Ma non mi dava il cuore di pensar solamente ad una separazione; e quanto al farla compagna della mia vita, del mio esiglio, della mia povertà, non credeva averne il diritto. Soprastava dunque ad ogni deliberazione aspettando consiglio dagli avvenimenti, e compensato abbastanza delle mie interne torture dalla felicità che risplendeva bella e raggiante sulle sembianze di lei. A vedere come il suo umore s'era cambiato, e ammorbidito in quei pochi giorni beati, io non potea ristare dalle grandi maraviglie; mai un rimpianto, mai uno sguardo bieco, mai un atto di stizza o un movimento di vanità. Pareva si fosse prefissa di ravvedermi dal tristo giudizio altre volte fatto di lei. Una fanciulla uscita allor allora di convento e affidata alle cure d'una madre amorosa non sarebbe stata più serena più allegra ed ingenua. Tutto ciò che era fuori dell'amor nostro o che in qualche modo non si rappiccava ad esso non la occupava punto. I racconti che la mi faceva della sua vita passata ad altro non tendevano che a persuadermi dell'amor suo continuo e fervoroso benché vario e bizzarro per me. Mi narrava degli eccitamenti di sua madre a far bel viso a questo o a quello de' suoi corteggiatori, per accalappiarne un buon partito. — E cosa vuoi? — soggiungeva. — Più erano splendidi belli graziosi, più mi venivano in uggia; laonde se mai dava segno di qualche gentilezza o di aggradimento, l'era sempre verso i più brutti e sparuti, con gran maraviglia mia e di quelli che mi circondavano; e credevano quella stranezza un'arte squisita di civetteria. In verità io lusingava quelli che mi parevano troppo sgraziati per lusingarsi alla lor volta; e se quelle mie gentilezze erano insulti, Dio mel perdoni, ma non potea fare altrimenti!... Mi scoperse poi certi segreti di casa che avrei amato meglio ignorare tanto mi stomacarono. La Contessa sua madre giocava disperatamente e non volea saperne di miseria, tantoché l'era sempre in sul chieder quattrini a questo ed a quello; quando si trovava proprio alle strette, macchinavano qualche gherminella tra lei e la Rosa, quella sua antica cameriera, per cavarne di tasca ai conoscenti e agli amici. Siccome poi costoro s'erano stancati d'un tale spillamento, la Rosa avea proposto di metter in ballo la Pisana, e d'impietosire col racconto delle sue strettezze quelli che sembravano più devoti adoratori della sua bellezza. Così, senza saperlo, ella viveva di turpi e spregevoli elemosine. Ma finalmente la se n'era accorta, e in onta alla silenziosa indifferenza della Contessa, ella sui due piedi avea cacciato la Rosa fuori di casa. Questo anche era stato un motivo che l'aveva indotta ad accettar la mano del Navagero, perché si vergognava di vedersi esposta dalla stessa sua madre a tali infamie. Io le chiesi allora perché non ricorresse piuttosto alla generosità dei Frumier; ma la mi rispose che anche i Frumier si trovavano in male acque, e che se qualche sacrifizio lo avrebbero potuto fare per salvarle dall'inedia, non intendevano poi rovinarsi affatto per pascere il vizio insaziabile della Contessa. Io allora mi maravigliava che questa passione del gioco fosse in lei andata tanto innanzi. — Oh non me ne maraviglio io! — mi rispose la Pisana. — Ella è sempre tanto sicura di vincere, che le parrebbe di far un torto a non giocare; e quello poi che è più bello, ella pretende di averci sempre guadagnato e che fummo noi, io e mio fratello, a consumarle mano a mano tutti quegli immensi guadagni! Figurati! Per me non ebbi mai indosso che un vestitello di tela, e ho sempre lasciato nelle sue mani i frutti degli ottomila ducati. Mio fratello poi mangia e veste come un frate e per quattro soldi il giorno io torrei di mantenerlo. Ma la è tanto persuasa delle sue ragioni che non giova parlarne, ed io la compatisco, poveretta, perché l'era avvezza a mangiare la pappa fatta, e non tenendo conto di ciò che si riscuote e di ciò che si spende, è impossibile saperne una di schietta. Del resto la sua passione non è un caso strano, e tutte le dame di Venezia Tag: sempre madre tanto vita casa tutto passione contessa rosa Argomenti: bel viso, tanto sicura, certo gergo, meschino accattonaggio, santo ardore Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Corbaccio di Giovanni Boccaccio I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi Intrichi d'amore di Torquato Tasso La via del rifugio di Guido Gozzano Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Le Bahamas meta di un sogno Come gestire una serena convivenza Lisbona, città da vedere e da sentire Come seccare i petali di rosa Vacanze alle Piccole Antille
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