Giambi ed Epodi di Giosuè Carducci

Testo di pubblico dominio

PROLOGO No, non son morto. Dietro me cadavere Lasciai la prima vita. Sopra i vólti Che m'arrideano impallidîr le rose, Moriro i sogni de la prima età. I miei più santi amori io gli ho sepolti, Sepolti ho nel mio cuore i desii sterili. Ad altri le ghirlande gloriose E i tuoi premii divini, o Libertà. O Lete, o Lete, la tua pia corrente Sol dunque ne l'inferno o in eden è? Fiorisce sol nel verso il pio nepente Ond'Elena infondea le tazze a i re? Io vo' fuggir del turbine co 'l volo Dove una torre ruinata so: Là come lupo ne la notte solo Io co 'l vento e co 'l mare ululerò. Ululerò le lugubri memorie Che mi fasciano l'alma di dolore, Ululerò gl'insonni accidiosi Tedi che fuman da la guasta età, Invidiando il rorido fulgore De' miei giovani sogni e i desii splendidi De le infrante catene e gli animosi Vostri richiami, o Gloria, o Libertà. Tutto che questo mondo falso adora Co 'l verso audace lo schiaffeggerò: Ei mi tese le frodi in su l'aurora, A mezzogiorno io le calpesterò. Che se i delùbri crollano e i tempietti Ove l'ideal vostro, o vulghi, sta, Che importa a me? Non fo madrigaletti Che voi mitriate d'immortalità. Oh, pria ch'io giaccia, altri e più forti e fulgidi Colpi da l'arco liberar vogl'io, E su le penne de gli ardenti strali Mandare io voglio il vampeggiante cor. Chi sa che su dal ciel la Musa o Dio Non l'accolga sanando e sovra il torpido Padule de l'oblio non gli dia l'ali Da rivolare a gli sperati amor? Sommario LIBRO I I AGLI AMICI DELLA VALLE TIBERINA II MEMINISSE HORRET III PER EDUARDO CORAZZINI MORTO DELLE FERITE RICEVUTE NELLA CAMPAGNA ROMANA DEL MDCCCLXVII IV NEL VIGESIMO ANNIVERSARIO DELL'VIII AGOSTO MDCCCXLVIII V IL CESARISMO LEGGENDO LA INTRODUZIONE ALLA VITA DI CESARE SCRITTA DA NAPOLEONE III I II VI PER GIUSEPPE MONTI E GAETANO TOGNETTI MARTIRI DEL DIRITTO ITALIANO I II III VII HEU PUDOR! I II III VIII LE NOZZE DEL MARE ALLORA E ORA IX VIA UGO BASSI X ONOMASTICO XI LA CONSULTA ARALDICA XII NOSTRI SANTI E NOSTRI MORTI XIII IN MORTE DI GIOVANNI CAIROLI XIV PER LE NOZZE DI CESARE PARENZO RIPRESA XV AVANTI! AVANTI! I II III LIBRO II XVI A CERTI CENSORI XVII PER IL LXXVIII ANNIVERSARIO DALLA PROCLAMAZIONE DELLA REPUBBLICA FRANCESE XVIII PER VINCENZO CALDESI OTTO MESI DOPO LA SUA MORTE XIX FESTE ED OBLII XX IO TRIUMPHE! XXI VERSAGLIA NEL LXXIX ANNIVERSARIO DELLA REPUBBLICA FRANCESE XXII CANTO DELL'ITALIA CHE VA IN CAMPIDOGLIO XXIII GIUSEPPE MAZZINI XXIV ALLA MORTE DI GIUSEPPE MAZZINI XXV A UN HEINIANO D'ITALIA XXVI PER IL QUINTO ANNIVERSARIO DELLA BATTAGLIA DI MENTANA XXVII A MESSER CANTE GABRIELLI DA GUBBIO PODESTÀ DI FIRENZE NEL MCCCI XXVIII LA SACRA DI ENRICO QUINTO XXIX A PROPOSITO DEL PROCESSO FADDA I II XXX IL CANTO DELL'AMORE LIBRO I I
AGLI AMICI DELLA VALLE TIBERINA Pur da queste serene erme pendici D'altra vita al rumor ritornerò; Ma nel memore petto, o nuovi amici, Un desio dolce e mesto io porterò. Tua verde valle ed il bel colle aprico Sempre, o Bulcian, mi pungerà d'amor; Bulciano, albergo di baroni antico, Or di libere menti e d'alti cor. E tu che al cielo, Cerbaiol, riguardi Discendendo da i balzi d'Apennin, Come gigante che svegliato tardi S'affretta in caccia e interroga il mattin, Tu ancor m'arridi. E, quando a i freschi venti Di su l'aride carte anelerà L'anima stanca, a voi, poggi fiorenti, Balze austere e felici, a voi verrà. Fiume famoso il breve piano inonda; Ama la vite i colli; e, a rimirar Dolce, fra verdi querce ecco la bionda Spiga in alto a l'alpestre aura ondeggiar. De i vecchi prepotenti in su gli spaldi Pasce la vacca e mira lenta al pian; E de le torri, ostello di ribaldi, Crebbe l'utile casa al pio villan. Dove il bronzo de' frati in su la sera Solo rompeva, od accrescea, l'orror, Croscia il mulino, suona la gualchiera E la canzone del vendemmiator. Coraggio, amici. Se di vive fonti Córse, tócco dal santo, il balzo alpin, A voi saggi ed industri i patrii monti Iscaturiscan di fumoso vin; Del vin ch'edùca il forte suolo amico Di ferro e zolfo con natia virtù: Co 'l quale io libo al padre Tebro antico, Al Tebro tolto al fin di servitù. Fiume d'Italia, a le tue sacre rive Peregrin mossi con devoto amor Il tuo nume adorando, e de le dive Memorie l'ombra mi tremava in cor. E pensai quando i tuoi clivi Tarconte Coronato pontefice salì, E, fermo l'occhio nero a l'orizzonte, Di leggi e d'armi il popol suo partì; E quando la fatal prora d'Enea Per tanto mar la foce tua cercò, E l'aureo scudo de la madre dea In su l'attonit'onde al sol raggiò; E quando Furio e l'arator d'Arpino, Imperador plebeo, tornava a te, E coprivan l'altar capitolino Spoglie di galli e di tedeschi re. Fiume d'Italia, e tu l'origin traggi Da questa Etruria ond'è ogni nostro onor; Ma, dove nasci tra gli ombrosi faggi, L'agnel ti salta e tùrbati il pastor. Meglio così, che tra marmoree sponde Patir l'oltraggio de' chercuti re. E con l'orgoglio de le tumid'onde L'orme lambire d'un crociato piè. Volgon, fiume d'Italia, omai tropp'anni Che la vergogna dura: or via, non più. Ecco, un grido io ti do – Morte a' tiranni –; Portalo, o fiume, a Ponte Milvio, tu. Portal con suono ch'ogni suon confonda, Portal con le procelle d'Apennin, Portalo, o fiume; e un'eco ti risponda Dal gran monte plebeo, da l'Aventin. Tende l'orecchio Italia e il cenno aspetta: Allor chi fia che la vorrà infrenar? Cento schiere di prodi a la vendetta Da le tue valli verran teco al mar. Risplendi, o fausto giorno. Ahi, se più tardi, Romito e taumaturgo esser vorrò: Da la faccia de' rei figli codardi Ne le tombe de' padri io fuggirò. Con l'arti vo' che cielo o inferno insegna Da questi monti il foco isprigionar, E fiamme in vece d'acqua a Roma indegna, Al Campidoglio vile io vo' mandar. II
MEMINISSE HORRET Sbarrate la soglia, chiudete ogni varco, Gittatemi intorno densissimo un vel! D'orribile sogno mi preme l'incarco: Ho visto di giallo rifulgere il ciel. Un lezzo nefando d'avello e di fogna Uscia dal palagio che a fronte ci sta: Le vecchie campane sonavano a gogna Di Piero Capponi per l'ampia città, E giù da' bei colli che a' dì del cimento Tonavan la morte su 'l fulvo stranier Un suon di letane scendea lento lento E pallide torme dicean – Miserer. – Con giunte le mani prostrato il Ferruccio Al reo Maramaldo chiedeva mercé, E Gian de la Bella levato il cappuccio Mostrava lo schiaffo che Berto gli diè. E Dante Alighieri vestito da zanni Laggiù in Santa Croce facea 'l ciceron. Diceva – Signori, badatevi a' panni! Entrate, signori: voi siete i padron. Che importa se l'onta più, meno, ci frutti? Io sono poeta, né so mercantar. Il ghetto d'Italia dischiuso è per tutti. Al popol d'Italia chi un calcio vuol dar? – E dietro una tomba vid'io Machiavello De gli occhi ammiccare con un che passò E dir sotto voce – Crin morbido e bello, Sen largo ha mia madre; né dice mai no. Son fòri fulgenti di dorie colonne I talami aperti di sue voluttà: Su 'l gran Campidoglio si scigne le gonne E nuda su l'urna di Scipio si dà. – III
PER EDUARDO CORAZZINI
MORTO DELLE FERITE RICEVUTE NELLA CAMPAGNA ROMANA DEL MDCCCLXVII Dunque d'Europa nel servil destino Tu il riso atroce e santo, O di Ferney signore, e, cittadino Tu di Ginevra, il pianto Messaggeri inviaste, onde gioioso Abbatté poi Parigi E la nera Bastiglia e il radioso Scettro di san Luigi; Dunque, tra 'l ferro e 'l fuoco, al piano, al monte, Cantando in fieri accenti, Co' piedi scalzi e la vittoria in fronte E le bandiere a' venti, Vide il mondo passar le tue legioni, O repubblica altera, E spazzare a sé innanzi altari e troni, Come fior la bufera; Perché, su via di sangue e di tenèbre Smarriti i figli tuoi E mutata ad un'upupa funèbre L'aquila de gli eroi, Là ne' colli sabini, esercitati Dal piè de l'immortale Storia, tu distendessi i neri agguati, Masnadiera papale, E, lui

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