Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 77

Testo di pubblico dominio

sembrato la vera anticamera del paradiso; il prete che lo occupava allora desiderava una cura d'anime; potevano accontentarlo e insieme accontentar lui che non si sentiva più né lena né sapienza bastevoli per lavorare operosamente nella vigna del Signore. S'intende sempre che l'ottimo padre insinuò queste cose in maniera da sembrare che la Contessa gliele strappasse dalle labbra, e non che egli ne la pregasse lei. — Oh, santi del paradiso! — sclamò la signora — qual consolazione per mio cognato! che aiuto di spirito per la cognata! che, padre reverendo! lei vorrebbe proprio adattarsi alla vita meschina d'un maestro di casa? — Sì, quando il mio alunno si maritasse — rispose il padre Pendola. — Oh, si mariterà, si mariterà! non li vede? paiono proprio fatti l'uno per l'altra. — Infatti se io dicessi una parola... Raimondo... Basta! mi lasci studiare i loro temperamenti, che li osservi un pochino anch'io... — Eh, cosa serve mai studiarli questi cuori di vent'anni? Non li vede, no!? basta una squadrata negli occhi... i loro pensieri, i loro affetti sono là. E poi si fidi di me!... Sono tre mesi, sa, ch'io li studio tutte le sere. Si figurerebbe lei, padre reverendo, che da sei settimane io meditava di farle questo discorso e che me ne è sempre mancato il coraggio? — Davvero, signora Contessa?... Oh cosa la mi conta! Mancare il coraggio a lei di chiamarmi a parte di un'opera di tanta carità e di tanto utile e di tanto lustro per due intere famiglie! — Non è vero, padre, che la pensata è buona?... E non sarà un bel regalo di nozze se si otterrà dall'Inquisitore di veder graziato del resto della pena quell'altro poveretto?... Così finirà una lunga serie di dissidi, di malanni, di sciagure che affliggeva tutte le anime buone dei nostri paesi! — Oh sì, certo! e io mi ritirerò contento, se potrò affidare la felicità del mio figliuolo d'anima a una sì compita sposina; ma son cose, Contessa mia, che vanno ponderate a lungo. Appunto perché io posso molto sull'animo di Raimondo... — Sì, giusto per questo la prego di volergli chiarire tutti i vantaggi che verrebbero ad ambedue le case da questo sposalizio... — Voleva dire, signora Contessa, che appunto per la responsabilità che mi pesa addosso mi bisognerà camminare coi calzari di piombo. — Eh via! a lei, padre, basta un'occhiata per veder tutto!... Oh quanto mi tarda di veder stabilito questo ottimo patto di alleanza!... E mio cognato come sarà contento di poter avere in casa un uomo del suo calibro!... Domani subito penseranno a provvedere d'una prebenda il cappellano attuale. Giacché lo desidera, nulla di meglio! — Pure, signora Contessa... — No, padre, non faccia obbiezioni... la mi prometta di far questa grazia a mio cognato! giacché gli è scappata una parola non la ritiri... — Io non dico di ritirarla, ma... — Ma, ma, ma... non ci sono ma!... Guardi guardi un po' ora il signor Raimondo e la mia Clara! Come si guardano!... Non sembrano proprio due colombini... — Se il Signore vorrà, non vi sarà mai stata un coppia più perfetta. — Ma i disegni del Signore bisogna aiutarli, padre, e a lei tocca prima degli altri che è un suo degnissimo ministro... — Indegno, indegnissimo, signora Contessa! — Insomma io li aspetto domani a pranzo... me ne dirà qualche cosa del suo Raimondo. — Accetto le sue grazie, signora Contessa; ma non so... così a precipizio... Insomma non prometto nulla... Basta, mi costerà assai dividermi da quel buon figliolo. — Le assicuro che i miei cognati la compenseranno ad usura di quanto ella sarà per perdere. — Oh sì, lo credo, lo spero; ma... — Insomma, padre, a domani. Parleremo, ci concerteremo; io ne butterò un cenno stasera al Senatore, giacché appunto restiamo con lui a cena. — Oh, per carità, signora Contessa, non mi esponga, non mi comprometta troppo. È proprio per me un sacrificio che... — Oh bella! vorrebbe dunque per egoismo lasciar senza sposa quel caro figliuolo! Che precettore cattivo! A domani, a domani, padre; e venga per tempo che discorreremo mentre bolliranno i risi. — Servo umilissimo della signora Contessa, non mancherò certamente, e Dio meni a buon fine le nostre intenzioni. Il buon padre infatti, uscito che fu di casa Frumier con Raimondo e sprofondato nei comodi sedili d'un bombé, cominciò subito a lodarlo della vita ch'egli menava e del buon uso fatto de' suoi consigli. Ma i proponimenti dell'uomo sono fallaci, le sue passioni prepotenti, e non mai abbastanza commendevole la cura di frenarle, di regolarle con vincoli sacri e legittimi. Egli toccava il ventunesimo anno; il momento non poteva esser migliore, ed egli se gli profferiva, l'ottimo padre, a soccorrerlo nella scelta colla sua lunga ed oculata esperienza. — Oh; padre; dice da senno? — sclamò Raimondo. — Lei mi esorta a maritarmi?... Ma un anno fa non mi inculcava sempre la massima, che bisognava esser maturi di anni e di senno per decidersi a piantare una famiglia? e che l'aiuto d'un precettore di mente e di cuore comprava benissimo il soccorso spesso lieve e manchevole d'una donnicciuola? — Sì, figliuolo mio; — rispose candidamente il precettore — questi consigli io vi davo nell'ultimo anno che fui vostro maestro nel collegio; e credeva fossero ottimi; ma allora non vi aveva ancora osservato nella libertà del mondo. Ora che vi conosco meglio nella pratica della vita, non mi vergogno dal ricredermi, e dal confessare che m'era ingannato. Lo vedete bene, parlo a mio danno. Quando la sposa entrerà in questo castello per una porta, io necessariamente dovrò uscire dall'altra... — Oh no, padre! non dica questo! non mi tolga il soccorso dell'opera sua e del suo consiglio!... Mi creda che io non dimenticherò mai quanto le devo! Anche due mesi fa quei passatori di Morsano mi avrebbero accoppato, se ella non li riduceva a più discreti sentimenti facendo loro accettare una piccola riparazione in denaro! E dire che io non aveva tocco un dito a quella loro sorella... Glielo giuro, padre! — Sì, figliuolo, vi credo pienamente; ma non dovete offendere la mia modestia col ricordare questi debolissimi meriti; vi prego a dimenticarli, o almeno a non parlarne più. Quello che è stato è stato!... Come vi dico, io mi ricredo da quello che pensava utile a voi un anno fa; ora mi piacerebbe vedervi accasato stabilmente, ed onorevolmente. Lasciandovi al fianco una sposina buona, paziente, divota, io mi ritirerei più contento nella nicchia della mia vecchiaia... — Ma padre! non mi dicevate voi sempre che anche maritandomi io, voi sareste rimasto il paciere, il consolatore, il vincolo spirituale fra me e mia moglie! che per oro al mondo non avreste consentito di separarvi da me?... Il padre Pendola infatti avea parlato molte volte su questo tenore finché non avea sperato di giungere a un miglior posto. Allora che gli veniva fatto d'intravvedere di meglio pescando nei torbidi ecclesiastici di Portogruaro, diede a quelle sue parole una più larga interpretazione. — Dissi così, e non nego ora quello che dissi tante volte — soggiunse egli. — Il mio spirito rimarrà sempre fra voi, perché la parte sua migliore si è transfusa nell'anima vostra col santo canale dell'educazione; e quanto alla sposa, siccome io avrei cura di sceglierla conforme alle massime della buona morale, essa corrisponderà perfettamente alle mire ch'io ho nel confidarvela. Questo, Raimondo, questo è quel vincolo spirituale che dipende dalla più intima parte del mio cuore e che rimarrà sempre fra voi e vostra moglie!... Raimondo a questi schiarimenti del precettore non si mostrò forse così malcontento come ne sarebbe rimasto tre mesi prima. Ma in quel momento giungevano al castello, e il colloquio restò sospeso fin dopo cena. Allora lo ripresero di comune accordo, perché al giovine tardava l'ora di conoscere il nome della sposa che nel cervello del padre Pendola gli veniva destinata. — Raimondo, quel nome voi lo sapete! —

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Argomenti: vincolo spirituale,    servo umilissimo,    ottimo patto,    santo canale

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