Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 241

Testo di pubblico dominio

la abbandoni sovente. Io certo non vengo con voi tutti i giorni perché la conversazione di casa Fratta né quella di casa Cisterna si affanno al mio gusto, ma quando ci vengo, siccome con quelle persone non ho voglia d'intrattenermi, ho tutto il tempo di osservarla. Fidati di me; e credi che hai voluto farne una santa ma che se la continua a quel modo ne avrai fatto invece una civetta sopraffina! — Oh Madonna santissima! Ti prego, vammi fuori dei piedi e non bestemmiare!... La mia Pisana una civetta!... — Zitto, zitto, per carità, Aquilina, che non la ti senta. — Eh che non importa nulla!... E non c'è pericolo che ella c'intenda nulla di tali nefandità!... Ho capito già; tu non le vuoi alcun bene a quella ragazza: vorresti degli omacci duri e sconoscenti come Luciano, o qualche pazzerello come quel povero Donato, che tu solo hai condotto al precipizio. Ma i giovani discreti e affettuosi, le fanciulle oneste e dabbene non ti si convengono per nulla... Hai proprio ragione di dire che sei un giacobino incorreggibile... Infatti tu non ti ci trovi bene in casa Fratta quando ci siamo noi: ma se si tratta poi di gironzolare le ore colle ore fabbricando castelli in aria e impasticciando bestemmie ed eresie col conte Rinaldo, allora non ti ritraggi punto, allora la casa Fratta ti conviene!... — Non confondere una cosa coll'altra, Aquilina. Il conte Rinaldo non ci ha nulla a che fare con quei volponi che la fiduciosa santocchieria di sua sorella gli ha tirato in casa. — Ecco, ecco, sempre insulti sempre motteggi a tutto quello che v'è di santo, di venerabile al mondo!... — Ti ripeto quello che ti ho detto le mille volte. Io venero e rispetto la santità della signora badessa: ma la mi sa un po' troppo d'ingenua: e non me ne fiderei per conoscer gli uomini. Infatto ora che si trovano in tanta strettezza, cosa hanno fatto per essi quei loro ottimi parenti, quei loro amici sfegatati?... — Han fatto, han fatto poco meno di quello che facciamo noi. E farebbero di più se la signora badessa non fosse tanto permalosa. — Infatti è l'esser dessa permalosa che li fa scappare come le mosche dalla tavola poiché si levano le portate! — Se ora stanno ritirati ce n'hanno delle ottime ragioni, e tu adopreresti saggiamente imitandoli. Non son tempi questi da ciarle e da conversazioni, massime pei vecchi. — Secondo te bisognerebbe risparmiar al becchino la noia di seppellirci: e nascondersi appunto allora che un barlume di speranza torna a luccicare, e un po' di vita a fermentare nelle nostre anime. — Belle speranze! Bella vita!... Ride bene chi ride l'ultimo. La discussione cominciava a dare nel politico e me la svignai: non dimenticando peraltro il punto principale del diverbio e proponendomi di osservar la Pisana più che non avessi fatto per l'addietro. Negli ultimi giorni principalmente la mi sembrava così preoccupata così facile a cambiar di colore e confondersi che se gatta ci covava non me ne sarei meravigliato. Mia moglie invece affermava che quelli erano gli indizi soliti di quel certo passaggio dall'adolescenza alla giovinezza, che turba inconsapevolmente l'innocenza delle ragazze. Io che d'innocenza me n'intendeva, e più forse ancora di malizia, non sapeva star contento a quell'opinione, e guardava e spiava sempre con ogni accorgimento di prudenza, persuaso che alla lunga la paziente furberia del vecchio l'avrebbe spuntata contro l'accortezza della fanciulla. Le cure ch'ella si dava di comparir tranquilla e disinvolta ogniqualvolta s'accorgesse di esser osservata, mi confermavano nel sospetto che non si trattasse né punto né poco di quell'inconsapevole turbamento messo innanzi da sua madre; ma i giorni passavano e non veniva a capo di scoprir nulla. Finalmente una sera che l'Aquilina era uscita con suo fratello giunto allor allora dal Friuli, ed io pure doveva rimaner assente fino ad ora tarda, tornandomene non so per qual cagione a casa, ed entrato nella stanza ove lavoravano di solito le donne, non ci trovai la Pisana. Ne chiesi alla cameriera e mi rispose che la era nella stanza da letto. Allora avvicinatomi pian piano mi parve udire lo scricchiolio d'una penna d'acciaio, e tutto ad un tratto facendo per aprir l'uscio, non lo potei perché era chiuso a chiave. — Chi è? — disse con voce un po' paurosa la fanciulla. — Eh, nulla!... Son io che veniva a vedere di te. — Subito, subito, papà: mi son cambiata tutta perché a finir quel ricamo sudai tanto questa sera, ch'era bagnata come un pulcino. Ma ora vengo ad aprirti. Infatti aperse e m'accolse con un sì bel sorriso sulle labbra che dovetti baciarla, e rimettere anche non poco dei miei sospetti. Vidi alcuni capi di vestiario gettati qua e là come tolti appena di dosso; ma avvicinandomi al tavolino osservai che la penna era ancora intinta d'inchiostro. Certo dunque aveva scritto e non voleva farmelo sapere: il che bastava per farmi sospettare piucchemai, e la lasciai indi a poco augurandole la buona notte se non l'avessi più veduta. Il giorno appresso, quand'ella uscì per la messa insieme a sua madre, entrai nella sua stanza e feci di tutti i cassetti di tutti gli armadi un diligentissimo esame. Ma tutto era aperto, e niente trovai che potesse dar ragione ai sospetti concepiti la sera prima. Guardai nella cantera del buffetto vicino alla lettiera, e ci vidi, fra molti libricciuoli devoti, una specie di sacchettino ricamato nel quale ella costumava riporre medaglie, reliquie, immagini e altre simili cianfrusaglie. Mi parve che colle dita non si potesse giungere ben in fondo di quel sacchetto; e sentiva come alcune cartoline che non poteva carpire: allora lo rovesciai e scopersi una cucitura fatta, pareva, in gran fretta e con refe bianco. La disfeci e trovai tre letterine graziosette profumate ch'era una delizia a vederle. — Ah ti ho colta, birbona! — diss'io, e non ebbi più rimorso di aver messo la mano ne' suoi segreti; l'autorità paterna è forse, anzi certo, la sola che dia cotali diritti, perché è obbligata a procurare il bene dei figli anche contro la loro volontà. Quelle tre letterine portavano la firma di Enrico il quale era appunto il nome dell'ultimo figliuolo di Augusto Cisterna; vi si parlava oltre il bisogno di tenerezze di baci di abbracciamenti; ed io non cercava di saperne di più. Le misi in tasca e aspettai che le signore tornassero dalla chiesa. Infatti di lì a mezz'ora la Pisana venne alla sua stanza per levarsi il cappello e riporre la mantiglia, e fu meravigliata assai d'incontrarsi in suo padre. — Pisana — le dissi io senza andare tanto per le lunghe, ché di avere fatto l'inquisitore ero già piucché stanco — qui ti bisogna esser sincera, ed espiare con una pronta confessione le colpe che per mera fanciullaggine hai commesse: dimmi subito dove e con qual mezzo ti trovi da sola a solo con quel signor Enrico che ti scrive tanto teneramente? La fanciulla traballò sulle gambe e tramortì in viso a segno ch'ebbi compassione di lei; ma poi ricominciò a balbettare che non sapeva nulla, che non era vero, in modo ch'io perdetti la pazienza e ripetei con voce più autorevole il comando di esser ubbidiente e sincera. Contuttociò ella rimase imperterrita a rispondermi che non ci capiva un ette e a far l'indiana con tanta buona grazia, che mi sentii il solletico di schiaffeggiarla. — Senti, figliuola — ripresi io un po' sbuffando un po' trattenendomi. — Se io ti dicessi che tu ricevi e scrivi lettere a Enrico Cisterna, e che discorri con lui dopo che noi siamo a letto, alla finestra della Riva, non andrei un dito lontano dal vero. Ma non voleva dirlo per lasciarti il merito della sincerità. Ora che tocchi con mano ch'io so tutto, e vedi cionnostante che mi dispongo ad usar di tutta la mia bontà, spero che vorrai mostrartene degna, con dirmi come sei venuta in tanta confidenza con quel giovine, cosa ti piace tanto in lui, e perché, se credevi onesta la tua condotta, hai creduto bene di celarla ai tuoi genitori. So che sei ben

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Argomenti: sei venuta,    star contento,    certo passaggio,    paziente furberia,    buffetto vicino

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