Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 116

Testo di pubblico dominio

del lupo all'agnello. Solamente a quel tempo era più sfilato ancora tantoché gli si avrebbero dati pochi anni di vita, ed anzi una tal sembianza di gracilità aggiungeva l'aureola del martire alla gloria del liberatore. Egli sacrificava la sua vita al bene dei popoli; chi non si sarebbe sacrificato per lui? — Cosa volete, cittadino? — mi diss'egli ricisamente, fregandosi le labbra col pizzo dello sciugatoio. — Cittadino generale — risposi con un inchino lievissimo per non offendere la sua repubblicana modestia — le cose di cui vengo a parlarvi sono della massima importanza e della maggior delicatezza. — Parlate pure — egli soggiunse accennando il cameriere che continuava l'opera sua. — Mercier non ne sa d'italiano più che il mio cavallo. — Allora — ripresi — mi spiegherò con tutta l'ingenuità d'un uomo che si affida alla giustizia di chi combatte appunto per la giustizia e per la libertà. Un orrendo delitto fu commesso tre giorni sono al castello di Fratta da alcuni bersaglieri francesi. Mentre il grosso della loro schiera saccheggiava arbitrariamente i pubblici granai e l'erario di Portogruaro, alcuni sbandati invasero una onorevole casa signorile, e svillaneggiarono e straziarono tanto una vecchia signora inferma più che centenaria rimasta sola in quella casa, che ella ne morì di disperazione e di crepacuore. — Ecco come la Serenissima Signoria inacerbisce i miei soldati! — gridò il Generale balzando in piedi, poiché il cameriere avea finito di sciacquargli il mento. — Si predica al popolo che sono assassini, che sono eretici: al loro comparire tutti fuggono, tutti abbandonano le case. Come volete che simili accoglienze predispongano gli animi all'umanità e alla moderazione?... Ve lo dico io; bisognerà che mi volga indietro a pulirmi la strada da questi insetti molesti. — Cittadino generale, capisco anch'io che la fama bugiarda può aver impedito la cordialità dei primi accoglimenti; ma vi è una maniera di smentir questa fama, mi pare, e se con un esempio luminoso di giustizia... — E sì, parlatemi proprio di giustizia, oggi che siamo alla vigilia d'una battaglia campale sull'Isonzo!... La giustizia bisognava che fosse fatta a noi fin da due o tre anni fa!... Adesso raccolgono quello che hanno mietuto. Ma ho il conforto di vedere che il peggior danno non vien loro da' miei soldati... Bergamo Brescia e Crema hanno già divorziato da San Marco, e quella stupida e frodolenta oligarchia s'accorgerà finalmente che i loro veri nemici non sono i Francesi. L'ora della libertà è suonata; bisogna levarsi in piedi e combattere per essa, o lasciarsi schiacciare. La Repubblica francese porge la mano a tutti i popoli perché si rifacciano liberi, nel pieno esercizio dei loro diritti innati e imprescrivibili. La libertà val bene qualche sacrifizio! Bisogna rassegnarsi. — Ma, cittadino generale, io non parlo di rifiutarmi a nessun utile sacrifizio per la causa della libertà. Soltanto mi sembra che il martirio d'una vecchia contessa... — Ve lo ripeto, cittadino; chi ha esacerbato l'animo de' miei soldati? chi ha volto contro di essi il talento dei preti di campagna e dei contadini?... È stato il Senato, è stata l'Inquisizione di Venezia. Non dubitate che giustizia sarà fatta sopra i veri colpevoli... — Pure, mi parrebbe che un esempio per ovviare a simili disordini nel futuro... — L'esempio, cittadino, i miei bersaglieri lo daranno sul campo di battaglia. Non dubitate. Giustizia sarà fatta anche sopr'essi; già non pretendereste che li ammazzassi tutti!... Or bene; saranno nella prima fila; laveranno col loro sangue e a pro' della libertà l'onta della colpa commessa. Così il male sarà volto in bene, e la causa del popolo si sarà avvantaggiata degli stessi delitti che la deturparono! — Cittadino generale, vi prego di osservare... — Basta, cittadino: ho osservato tutto. Il bene della Repubblica innanzi ad ogni cosa. Volete essere un eroe?... Dimenticate ogni privato puntiglio e unitevi a noi, unitevi con quegli uomini integri e leali che fanno anche nel vostro paese una guerra lunga ostinata sotterranea ai privilegi dell'imbecillità e della podagra. Di qui a quindici giorni mi rivedrete. Allora la pace la gloria la libertà universale avranno cancellato la memoria di questi eccessi momentanei. In queste parole il gran Napoleone aveva finito di vestirsi, e si mosse verso la camera vicina ove lo attendevano alcuni officiali superiori. Vedendo ch'egli né era molto contento della mia visita, né pareva disposto a badarmi oltre, io m'avviai mogio mogio giù per la scala riandando il tenore di tutto quel colloquio. Non ci capii per verità molto addentro; ma pure que' suoi gran paroloni di popolo e di libertà, e quel suo piglio riciso ed austero m'avevano annebbiato l'intelletto, e mi partii, a conti fatti, che l'odio contro i patrizi veneziani superava d'assai perfino il risentimento contro i bersaglieri francesi. La tremenda disgrazia della Contessa mi parve una goccia d'acqua in confronto al mare di beatitudine che ci sarebbe venuto addosso pel valido patrocinio dell'esercito repubblicano. Quel cittadino Bonaparte mi pareva un po' aspro un po' sordo un po' anche senza cuore, ma lo scusai pensando che il suo mestiere lo voleva pel momento così. E a questo modo lasciai a poco a poco darsi pace la morta, e tornai col pensiero ai vivi: cosicché nella lettera che scrissi a Venezia per partecipare il triste caso alla famiglia, ne affibbiai forse più la colpa all'improvvidenza delle venete magistrature, e alla sciocca paura del popolo, che alla barbara sfrenatezza degli invasori. Il Cappellano fu molto meravigliato di vedermi tornar a Fratta colle mani piene di mosche, e tuttavia più calmo e contento di quando n'era partito. Monsignore e il Capitano che s'erano raccovacciati in castello udirono con terrore il racconto del mio colloquio col general Bonaparte. — L'avete proprio veduto? — mi chiese il Capitano. — Capperi se l'ho veduto! si faceva anzi la barba. — Ah! si rade anche la barba? io invece avrei creduto che la portasse lunga. — A proposito — saltò su Monsignore — dopo la morte della mamma (un lungo sospiro) non mi son più raso né il mento né la chierica. Faustina, dico, (anche costei era tornata) mettete su la cocoma dell'acqua!... Così sentiva i proprii dolori e le pubbliche miserie monsignor Orlando di Fratta. Son io a dirlo che le bestie si mostrarono le più sensibili fra tutti gli abitanti del castello in quella congiuntura: non eccettuato me medesimo cui un tardo e vano pentimento non varrà certo a purgare dall'odiosa smemorataggine di quella tremenda giornata. Non contando il ronzino di Marchetto che lasciò il tafferuglio per tornarsene a casa come doveva far io, ci fu il cane del Capitano, il vecchio Marocco, che sdegnò di accompagnarsi al padrone nella sua fuga verso Lugugnana. Ed egli rimase vagante pel deserto castello, fiutando qua e là come in cerca d'un'anima migliore della sua; ma non gli venne fatto di trovarla: e un francesino scapestrato si divertì a forarlo parte a parte colla baionetta nel bel mezzo del cortile. Reduce a casa, quella frotta di vigliacchi restò tanto attonita e confusa, che non sentirono neppur il puzzo di quella carogna che appestava l'aria da tre giorni. Toccò accorgermene a me tornato che fui da Udine; e allora diedi ordine a un contadino perché fosse gettata in qualche fogna. Ma il contadino, uscito per questa pia opera, mi chiamò indi a poco acciocché contemplassi anch'io una cosa meravigliosa. Sul cadavere già verminoso di Marocco aveva preso stanza il gattone soriano, suo compagno di tanti anni, e non c'era verso di poternelo snidare. Carezze minacce e strappate non valsero, tantoché me ne impietosii, e presi anche in qualche venerazione quel povero morto che avea saputo destare in un gatto una sì profonda amicizia. Lo feci staccare a forza, e comandai che Marocco fosse seppellito là dove aveva ricevuto il funesto

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Argomenti: repubblica francese,    bel mezzo,    triste caso,    pieno esercizio,    cittadino generale

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