Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 205

Testo di pubblico dominio

felicità. — La strada della felicità, Pisana? Ma noi l'abbiamo battuta lunga pezza insieme quella strada fiorita di rose senza spine! Basterà unire ancora braccio a braccio, perché le rose ci germoglino sotto i piedi, e la contentezza ci sorrida di bel nuovo in qualunque parte di mondo! — Ecco che tu non mi capisci, o anzi non capisci te stesso. Questo è il mio delirio. Carlo, tu non sei più un giovinotto sventato e senza esperienza, e non puoi accontentarti d'una felicità che ti può mancare dall'oggi al dimani. Tu devi prender moglie! — Dio lo volesse, anima mia! No, il cielo mi perdoni questo sconsiderato movimento di desiderii, ma quando tuo marito avesse lasciato il mondo delle infermità per quello della salute eterna, il primo mio voto sarebbe di unire la tua sorte alla mia colla santità religiosa del giuramento. — Carlo, non perderti ora in cotali sogni. Né mio marito vuol morire per ora, né tu devi consumare inutilmente gli anni più belli della virilità. Io ti sarei una moglie assai manchevole; vedi che non son fatta per la fortuna di aver prole!... e così cosa rimane una moglie?... No, no, Carlo, non illuderti; per esser felice devi appigliarti al matrimonio. — Basta, Pisana!... Vuoi dirmi che non mi ami più? — Voglio dirti che ti amo più di me stessa; e per questo m'ascolterai e farai quello che ti consiglio... — Non farò null'altro che quello che il cuore mi comanda. — Ebbene, il tuo cuore ha parlato. E tu la sposerai. — Io la sposerò?... Ma tu vaneggi! ma tu non sai quello che dici! — Sì! ti dico... tu sposerai... sposerai l'Aquilina!... — L'Aquilina!... Basta!... Torna in te, te ne scongiuro. — Parlo del mio miglior senno. L'Aquilina è innamorata di te, ella ti piace, ti conviene per tutti i versi. La sposerai! — Pisana, Pisana! oh, non vedi il male che mi fai! — Vedo il bene che ti procuro; e se avessi anche voglia di sacrificare me stessa al tuo meglio, nessuno potrebbe impedirmelo. — Te lo impedisco io!... Ho sopra di te diritti tali che tu non devi, che tu non puoi dimenticare! — Carlo, senza di te io avrò il coraggio di vivere... Misura la mia forza dalla sfrontatezza di questa confessione. L'Aquilina invece ne morrebbe. Ora scegli tu stesso. Per me ho bell'e scelto. — Ma no, Pisana, ravvediti!... Tu stravedi, tu ti immagini quello che non è. L'Aquilina nutre per me un tenero ma calmo affetto di sorella: ella gioirà sempre della nostra felicità. — Taci, Carlo: credi all'onniveggenza d'una donna. Lo spettacolo della nostra felicità avvelena la sua giovinezza... — Dunque fuggiamo, torniamo a Venezia. — Tu, se ne hai il cuore: io no. Io amo l'Aquilina. Io voglio farla felice: credi che tu pure sarai felice di sposarti a lei: e io unirò le vostre mani, e benedirò le vostre nozze. — Oh ma io ne morrei!... Io dovrei odiarla: sentirei tutte le mie viscere sollevarsi contro di essa, e il mio peggior nemico non mi sarebbe tanto abbominevole a dovermelo stringer fra le braccia. — Abbominevole l'Aquilina!... Scusa, Carlo; ma se ripeti simili infamie, io fuggo da te, io non vorrò più vederti!... Gli angeli comandano l'amore: tu non sei tanto perverso da abborrire quello che ci scende dal cielo, come la più bella incarnazione d'un pensiero divino. Guarda, guarda, apri gli occhi, Carlo!... guarda l'assassinio che commetti. Fosti cieco finora e non t'accorgesti né del suo martirio né de' miei rimorsi. Fui tua complice finora ma giuro di non volerlo esser più; io non assassinerò colle mie mani una creatura innocente che mi ama come una figliuola, benché... Oh ma sai, Carlo, che il suo eroismo è di quelli che oltrepassano la stessa immaginazione!... Mai un movimento di rabbia, mai uno sguardo d'invidia, una rassegnazione stanca, un amore invece che cava le lagrime!... No, no ti ripeto, io non pagherò coll'assassinio l'ospitalità che ebbimo in questa casa; e tu pure mi seconderai nella mia opera di carità!... Carlo, Carlo, eri generoso una volta!... Una volta mi amavi, e se io t'avessi incitato ad un'impresa coraggiosa e sublime non avresti aspettato tante parole! Che volete?... Io ammutolii dapprincipio, indi piansi, supplicai, mi strappai i capelli. Inutile! Rimase incrollabile, dovessimo morirne ambidue; mi ripeteva di guardare, di guardare, e che se non mi fossi convinto di quanto ella affermava, e se non avessi accondisceso a quanto mi proponeva sarei stato un essere spregevole, indegno al pari d'amore che incapace d'ogn'altro sentimento. D'allora in poi mi negò ogni sguardo ogni sorriso d'amore; mi proibì l'accesso alla sua stanza; fu tutta per l'Aquilina, e nulla per me. Infatti, per quanto volessi illudermi, mi fu forza riconoscere che in quanto all'amore della giovinetta per me i suoi sospetti non andavano lontani dal vero. Per qual incantesimo non me ne fossi accorto non ve lo saprei dire: e arrabbiai della mia sciocchezza della mia ingenuità. Mi provai anche a volgere contro l'Aquilina qualche parte di questa rabbia, ma non ne fui capace. Dopoché ella indovinò quanto fra me e la Pisana era avvenuto, ella assunse verso di me un contegno così supplice vergognoso che mi tolse ogni coraggio. Pareva mi chiedesse perdono del male involontariamente commesso; e la vidi talvolta adoperarsi presso la Pisana per rabbonirmela. Si studiava perfino di sfuggirmi, di fare con me la stizzosa perché non si avvedessero di quanto succedeva nel suo cuore, e la concordia rinascesse in mezzo a noi. Bruto, che fin'allora era andato in solluchero per l'allegra vita che si menava, scoperse con rammarico quei primi segni di dissapore e di trasordine, non ne capiva gran fatto ma gliene doleva all'animo. Ne mosse anche parola a me, ma io mi ritraeva burbanzoso, stringendomi nelle spalle; altro motivo di disgusto e di sospetto. L'Aquilina intanto ci perdeva nella salute; il fratello se ne inquietò; furono chiamati medici che fantasticarono molto, e non indovinarono nulla. La Pisana mi stringeva sempre; io mi rammoliva. Alla fine, non so come, mi lasciai sfuggire dalla bocca un sì. Bruto fu meravigliatissimo della proposta fattagli dalla Pisana, ma dietro reiterate assicurazioni di questa e che tutto fra me e lei era terminato di spontaneo accordo e che l'Aquilina moriva per me, egli se ne persuase. Se ne fece parola alla giovinetta, che non volle credere dapprincipio, e poi ne smarrì i sentimenti per la consolazione. Ma poi all'abboccarsi con me rimase senza fiato e senza parola; la poverina presentiva che io me le offeriva trascinato a forza e non aveva coraggio di chiedermi un tal sacrifizio. Lo credereste che la sua attitudine finì di commovermi affatto, e che sentii d'un subito nel cuore l'annegazione stessa della Pisana?... Mi parve di salvare la vita d'una creatura angelica a prezzo della mia, e la coscienza di questa valorosa azione diede al mio aspetto la serena contentezza della virtù. All'Aquilina non parve vero: in prima stentava a credere quello che la Pisana le aveva dato ad intendere, che cioè noi due non ci eravamo amati mai altro che come buoni parenti, ma poi vedendomi presso di lei calmo affettuoso e alle volte perfino felice, se ne capacitò. Allora non pose più freno agli slanci di gioia dell'anima sua, e mi convenne esserlene grato se non altro per compassione. Vedere quell'ingenua creatura rifiorir allora come una rosa inaffiata dalla rugiada, e risorgere sempre più bella e ridente ad un mio sguardo ad una parola, fu lo spettacolo che mi innamorò non forse di lei, ma di quell'opera miracolosa di carità. La Pisana non capiva in sé pel contento di questi felici effetti, e la sua gioia talvolta m'incaloriva in una virtuosa emulazione, tal'altra mi cacciava nel cuore la fitta della gelosia. Oh qual tumultuoso vortice d'affetti s'ingroppa e si sprofonda fra le piccole pareti d'un cuore! Anche allora io diedi prova di quell'estrema pieghevolezza che impresse molte azioni della mia vita d'un colore strano e bizzarro, per quanto la mia indole tranquilla

Tag: cuore    amore    felice    parola    vita    sguardo    moglie    coraggio    forza    

Argomenti: bel nuovo,    colore strano,    sconsiderato movimento,    calmo affetto,    creatura innocente

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