Le smanie per la villeggiatura di Carlo Goldoni

Testo di pubblico dominio

Atto primo Scena prima Camera in casa di Leonardo. Paolo, che sta riponendo degli abiti e della biancheria in un baule, poi Leonardo. LEONARDO Che fate qui in questa camera? Si han da far cento cose, e voi perdete il tempo, e non se ne eseguisce nessuna (a Paolo). PAOLO Perdoni, signore. Io credo, che allestire il baule sia una delle cose necessarie da farsi. LEONARDO Ho bisogno di voi per qualche cosa di più importante. Il baule fatelo riempir dalle donne. PAOLO Le donne stanno intorno della padrona; sono occupate per essa, e non vi è caso di poterle nemen vedere. LEONARDO Quest'è il diffetto di mia sorella. Non si contenta mai. Vorrebbe sempre la servitù occupata per lei. Per andare in villeggiatura non le basta un mese per allestirsi. Due donne impiegate un mese per lei. È una cosa insoffribile. PAOLO Aggiunga, che non bastandole le due donne, ne ha chiamate due altre ancora in aiuto. LEONARDO E che fa ella di tanta gente? Si fa fare in casa qualche nuovo vestito? PAOLO Non, signore. Il vestito nuovo glielo fa il sarto. In casa da queste donne fa rinovare i vestiti usati. Si fa fare delle mantiglie, de' mantiglioni, delle cuffie da giorno, delle cuffie da notte, una quantità di forniture di pizzi, di nastri, di fioretti, un arsenale di roba; e tutto questo per andare in campagna. In oggi la campagna è di maggior soggezione della città. LEONARDO Sì, è pur troppo vero, chi vuol figurare nel mondo, convien che faccia quello che fanno gli altri. La nostra villeggiatura di Montenero è una delle più frequentate, e di maggior impegno dell'altre. La compagnia, con cui si ha da andare, è di soggezione. Sono io pure in necessità di far di più di quello che far vorrei. Però ho bisogno di voi. Le ore passano, si ha da partir da Livorno innanzi sera, e vo' che tutto sia lesto, e non voglio, che manchi niente. PAOLO Ella comandi, ed io farò tutto quello, che potrò fare. LEONARDO Prima di tutto, facciamo un poco di scandaglio di quel, che c'è, e di quello, che ci vorrebbe. Le posate ho timore che siano poche. PAOLO Due dozzine dovrebbero essere sufficienti. LEONARDO Per l'ordinario lo credo anch'io. Ma chi mi assicura, che non vengano delle truppe d'amici? In campagna si suol tenere tavola aperta. Convien essere preparati. Le posate si mutano frequentemente, e due coltelliere non bastano. PAOLO La prego perdonarmi, se parlo troppo liberamente. Vossignoria non è obbligata di fare tutto quello, che fanno i marchesi fiorentini, che hanno feudi e tenute grandissime, e cariche, e dignità grandiose. LEONARDO Io non ho bisogno, che il mio cameriere mi venga a fare il pedante. PAOLO Perdoni; non parlo più. LEONARDO Nel caso, in cui sono, ho da eccedere le bisogna. Il mio casino di campagna è contiguo a quello del signor Filippo. Egli è avvezzo a trattarsi bene; è uomo splendido, generoso; le sue villeggiature sono magnifiche, ed io non ho da farmi scorgere, non ho da scomparire in faccia di lui. PAOLO Faccia tutto quello, che le detta la sua prudenza. LEONARDO Andate da monsieur Gurland, e pregatelo per parte mia, che mi favorisca prestarmi due coltelliere, quattro sottocoppe, e sei candelieri d'argento. PAOLO Sarà servita. LEONARDO Andate poscia dal mio droghiere, fatevi dare dieci libbre di caffè, cinquanta libbre di cioccolata, venti libbre di zucchero, e un sortimento di spezierie per cucina. PAOLO Si ha da pagare? LEONARDO No, ditegli, che lo pagherò al mio ritorno. PAOLO Compatisca; mi disse l'altrieri, che sperava prima ch'ella andasse in campagna, che lo saldasse del conto vecchio. LEONARDO Non serve. Ditegli, che lo pagherò al mio ritorno. PAOLO Benissimo. LEONARDO Fate, che vi sia il bisogno di carte da giuoco con quel che può occorrere per sei, o sette tavolini, e soprattutto, che non manchino candele di cera. PAOLO Anche la cereria di Pisa, prima di far conto nuovo, vorrebbe esser pagata del vecchio. LEONARDO Comprate della cera di Venezia. Costa più, ma dura più, ed è più bella. PAOLO Ho da prenderla coi contanti? LEONARDO Fatevi dare il bisogno; si pagherà al mio ritorno. PAOLO Signore, al suo ritorno ella avrà una folla di creditori, che l'inquieteranno. LEONARDO Voi m'inquietate più di tutti. Sono dieci anni, che siete meco, e ogni anno diventate più impertinente. Perderò la pazienza. PAOLO Ella è padrona di mandarmi via; ma io, se parlo, parlo per l'amore, che le professo. LEONARDO Impiegate il vostro amore a servirmi, e non a seccarmi. Fate quel che vi ho detto, e mandatemi Cecco. PAOLO Sarà obbedita. (Oh! vuol passar poco tempo, che le grandezze di villa lo vogliono ridurre miserabile nella città) (parte). Scena seconda Leonardo, poi Cecco. LEONARDO Lo veggo anch'io, che faccio più di quello, che posso fare; ma lo fanno gli altri, e non voglio esser di meno. Quell'avaraccio di mio zio potrebbe aiutarmi, e non vuole. Ma se i conti non fallano, ha da crepare prima di me, e se non vuol fare un'ingiustizia al suo sangue, ho da esser io l'erede delle sue facoltà. CECCO Comandi. LEONARDO Va' dal signor Filippo Ghiandinelli; se è in casa, fagli i miei complimenti, e digli, che ho ordinato i cavalli di posta, e che verso le ventidue partiremo insieme. Passa poi all'appartamento della signora Giacinta di lui figliuola; dille, o falle dir dalla cameriera, che mando a riverirla, e ad intendere come ha riposato la scorsa notte, e che da qui a qualche ora sarò da lei. Osserva frattanto, se vi fosse per avventura il signor Guglielmo, e informati bene dalla gente di casa, se vi sia stato, se ha mandato, e se credono, ch'ei possa andarvi. Fa' bene tutto, e torna colla risposta. CECCO Sarà obbedita (parte). Scena terza Leonardo, poi Vittoria. LEONARDO Non posso soffrire, che la signora Giacinta tratti Guglielmo. Ella dice, che dee tollerarlo per compiacere il padre; che è un amico di casa, che non ha veruna inclinazione per lui; ma io non sono in obbligo di creder tutto, e questa pratica non mi piace. Sarà bene, che io medesimo solleciti di terminare il baule. VITTORIA Signor fratello, è egli vero, che avete ordinato i cavalli di posta, e che si ha da partir questa sera? LEONARDO Sì certo. Non si stabilì così fin da ieri? VITTORIA Ieri vi ho detto, che sperava di poter essere all'ordine per partire; ma ora vi dico che non lo sono, e mandate a sospendere l'ordinazion dei cavalli, perché assolutamente per oggi non si può partire. LEONARDO E perché per oggi non si può partire? VITTORIA Perché il sarto non mi ha terminato il mio mariage. LEONARDO Che diavolo è questo mariage? VITTORIA È un vestito all'ultima moda. LEONARDO Se non è finito, ve lo potrà mandare in campagna. VITTORIA No, certo. Voglio, che me lo provi, e lo voglio veder finito. LEONARDO Ma la partenza non si può differire. Siamo in concerto d'andar insieme col signor Filippo, e colla signora Giacinta, e si ha detto di partir oggi. VITTORIA Tanto peggio. So, che la signora Giacinta è di buon gusto, e non voglio venire col pericolo di scomparire in faccia di lei. LEONARDO Degli abiti ne avete in abbondanza; potete comparire al par di chi che sia. VITTORIA Io non ho, che delle anticaglie. LEONARDO Non ve ne avete fatto uno nuovo anche l'anno passato? VITTORIA Da un anno all'altro gli abiti non si possono più dire alla moda. È vero, che li ho fatti rifar quasi tutti; ma un vestito novo ci vuole, è necessario, e non si può far senza. LEONARDO Quest'anno corre il mariage dunque. VITTORIA Sì, certo. L'ha portato di Torino madama Granon. Finora in Livorno non credo, che se ne siano veduti, e spero d'esser io delle prime. LEONARDO Ma che abito è questo? Vi vuol tanto a farlo? VITTORIA Vi vuol pochissimo. È un abito di seta di un color solo, colla guarnizione intrecciata di due colori. Tutto consiste nel buon gusto di scegliere colori buoni, che si uniscano bene, che risaltino, e non facciano confusione. LEONARDO Orsù,

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