Le femmine puntigliose di Carlo Goldoni

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dedica ALL'ILLUSTRISSIMO SIGNOR CAVALIERE FRANCESCO DE' MEDICI PATRIZIO FIORENTINO L'Umana felicità, Illustrissimo Signor Cavaliere, direbbe il Poeta essere, come l'Araba fenice, che si crede vi sia, ma non si sa dove si ritrovi, tutti la cercano, pochi sono quelli che la conoscono, e credo, che pochissimi sieno quelli, che di possederla si vantino. Mancano i mezzi a taluno per rintracciarla a talun altro manca il merito per conseguirla. Vi è chi non può esser felice per difetto di sua natura, v'è chi non può esserlo, per difetto di volontà, poiché, cercando l'umana felicità tra i vizi, o tra i piaceri scorretti, trova in cambio di essa, le amarezze, i pericoli, le disavventure. Io certamente sono uno di quelli, che lusingar non si possono di possederla, ma ho sempre desiderato conoscerla, e con que' principi di Morale Filosofia, che Dio mi ha impressi nell'animo, sono andato attentamente osservando quelle persone, che mi parevano esser felici, per istabilire, se veramente lo fossero. Per formare un tale giudizio, conosco anch'io, che non bastano le osservazioni, che far si possano sui caratteri delle persone, e né tampoco sulle azioni loro, poiché la vera felicità consiste nella contentezza del cuore, e questo occultandosi per lo più dalla malizia degli Uomini, a pochissimi si vede in fronte, ed è sempre equivoco, e pericoloso il giudicare di essi. Vi sono però certi adorabili temperamenti, che hanno la sincerità per costume, che mostrano a tutti il cuore, e colle parole, e colle azioni loro, e fra questi andava io rintracciando l'Uomo felice, perché se non lo è, merita almeno di esserlo. Parmi di averlo già ritrovato, e se l'umana felicità, Illustrissimo Signor Cavaliere, non alberga nel vostro seno, io non saprei in qual altra parte del Mondo continuare lo studio di rintracciarla. Non crediate già, ch'io voglia ora formar un Panegirico di quelle lodi, che per gl'infiniti meriti vostri, vi son dovute, o per acquistarmi viepiù la protezione vostra, o per indurvi ad accettare con miglior animo quella Commedia, che umilmente vi raccomando, e vi dedico, e con questo mio riverente foglio ardisco di presentarvi. Voi siete naturalmente gentile, amoroso, benefico, non avete bisogno di esser lodato, né io saprei farlo adequatamente. Vi prego permettermi di ragionare di Voi, e di ben bene considerarvi, sicché io possa non solo colla opinione mia, ma di quelli, che delle ragioni mie persuasi saranno, decidere, stabilire, e consolarmi, che se nel mondo può darsi vera felicità, questa con Voi alberga da Voi meritata, e da Voi posseduta. Per provare l'assunto mio, è necessario, prima d'ogni altra cosa, ch'io stabilisca qual sia l'umana felicità. Questa io la considero in vari gradi distinta li quali se in Voi saranno venficati, niuno potrà contendermi, che Voi siate l'Uomo felice, che siate Voi quella Fenice, che ricercasi, e non trovasi. La prima immensa felicità comune a tutti i viventi dell'uman genere, è l'Essere. Sono infinite le creature possibili, come è infinita l'onnipotenza del Creatore, ma che noi siam compresi nel numero determinato degli Uomini, è una felicità incomprensibile, senza di cui né il bel Mondo, né il bellissimo Cielo sarebbe stato per noi. Vero è che questo Essere per taluni sarà funesto, e meglio sarebbe per essi, che stati non fossero, ma colpa sarà celesta del tristo abuso, che fatto avranno di un tanto bene, e confessar dovranno aver posseduto quella inesplicabile felicità, che a tutte la altre poteva loro servir di guida. Voi dunque siete in possesso di questo bene, comune agli Uomini tutti, egli è vero, ma felicissimo in Voi, poiché conoscendone il pregio, e ottimo uso facendo della vita vostra, grato a Dio vi rendete, e utile alla società umana. Dopo la felicità dell'Essere, qual altra maggiore può immaginarsi oltre quella del nascere in grembo di Santa Chiesa, succhiando col latte la vera Fede, e cancellando coll'acque del Sacro Fonte la colpa de' primi nostri Patenti? Gli occulti, impenetrabili arcani della Provvidenza han noi arricchiti di un tanto bene Miseri quelli, che nati fra gli errori, ed allevati colle superstizioni, chiudono le orecchie alla grava, e induriscono il cuore sotto il peso della ingannevole educazione, ma più miseri quegli ancora che prevaricatori si chiamano del Vangelo, ribelli della Cattolica religione, i quali vendendo, a similitudine di Esaù, per poche lenti la Primogenitura Celeste, calpestano il più bel dono della imperscrutabile predilezione Divina Voi lo conoscete questo bel dono, e colle azioni vostre, e con i vostri ragionamenti date altrui a conoscere aver radicata nel petto la vera Fede. Non si sentono a Voi cadere dal labbro certi arguti concetti, che feriscono la Religione nel cuore. Pare a' dì nostri, che Uomo non sia di lettere colui, che di certi oltramontani Libri non sa far pompa, colui, che non sa porre in ridicolo il Dogma, le Tradizioni, e fino le sacre Carte medesime, spargendo massime false, anche contro il proprio suo cuore, detestate internamente nell'animo, ma lanciate con imprudenza, o per acquistare la grazia di un personaggio, o per far ridere la brigata. Si può rinunziare per meno ad una si grande felicità? Dietro a cotesta inestimabile ed eterna, pongo io quella immediatamente di sortire dalla Natura un corpo bene organizzato, una macchina ben disposta in cui l'armonia delle parti, e l'equilibrio degli umori formino un perfetto temperamento. Non vi ha dubbio, che l'anima non sia d'un'istessa natura, di una bellezza, e perfezione medesima in tutti gli Uomini, onde la diversità degli abiti, delle inclinazioni, e delle passioni procede dalla costruzione di questa macchina, la quale fa piegar l'anima, ove, per così dire, le ruote interne la spingono. Vero è, che la ragione fu data all'Uomo da Dio, a distinzione di tutte le create cose per reggere, e illuminare quest'anima, ma non è da desiderarsi, che la Ragione abbia da usar violenza agl'impeti della natura, e beati coloro, i quali si conducono per forza d'inclinazione a operar bene, senza la guerra delle passioni nemiche, e l'Anima, e la Ragione sedendo unite, e comandando nel cuor dell'Uomo, danno esse il moto alle membra, ai sensi, alla volontà, ai pensieri, né schiave, né tiranne del corpo, ma di lui compagne, regolatrici, ed amiche. Per questa parte, Veneratissimo Signor Cavaliere, chi può negare, che Voi non siate felici? Non parlo già dell'avvenenza esterna del vostro corpo, la quale non è poi tanto necessaria negli Uomini, ma dell'interna proporzion delle parti, dell'armonia degli organi, ove l'anima le sue operazioni principalmente eseguisce, la quale interna perfezion delle parti, se agli occhi non comparisce, coll'uso, e colla pratica si riconosce, quella egualità di temperamento, quella dolcezza di tratto, quella indifferenza per le vicende umane, la compassione verso de' bisognosi, la moderazione nelle passioni, l'umiltà in mezzo alle magnificenze, sono virtù dell'anima, non impedite in Voi da alcuna mala organizzazione del corpo, onde vi riesce di eseguire tanti abiti virtuosi, senza il contrasto delle passioni, e con facile studio della Ragione. Anche la forma esterna è argomento dell'interna bellezza, e quantunque, come diceva, non sia necessaria nell'Uomo quella beltà di volto, di cui le Donne abbisognano, Voi avete anche questa prerogativa di più, e potete assicurare, colla dolcezza del vostro viso, la candidezza del vostro cuore. Il quarto grado dell'umana felicità lo reputo io il nascere da Genitori onesti, molto più poi da nobili Genitori, e tanto questa si accresce, quanto più puro è il sangue, che dà la vita. Vero è, che l'origine di tutti noi da un solo Padre deriva; che la pasta, onde siam formati è la medesima in tutti, e che di tutti egualmente struggesi collo stesso fine, ma non può negarsi però, che coll'andar del tempo non siasi prodotta certa diversità fra gli Uomini, che fa distinguere dall'aspetto il nobile dal

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