Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 58

Testo di pubblico dominio

udirli urlare e cantare sulla piazza dovevan esser ubbriachi fradici, dunque non bisognava aspettarsi da essoloro né ragionevolezza né remissione. Il resto della compagnia faceva tanto d'occhi a questi ragionamenti; e peggio poi quando alcuna delle scolte veniva a riferire di qualche romore udito, di qualche movimento osservato nelle vicinanze del castello. Lucilio, dopo fatta una visita alla vecchia Contessa e aver coonestato anche lui con una panchiana l'assenza della Clara, era tornato a confortare quei poveri diavoli. Scrisse allora e fece firmare dal Conte una lunga e pressantissima lettera al Vice–capitano di Portogruaro, e domandò licenza alla compagnia d'andar egli stesso in persona a portarla. Misericordia! non lo avesse mai detto! La Contessa gli si gettò quasi ginocchione dinanzi; il Conte lo abbrancò pel vestito così furiosamente che gliene strappò quasi una falda; i canonici, la cuoca, le guattere, i servitori lo attorniarono d'ogni lato come ad impedirgli d'uscire. E tutti con occhiate con gesti con monosillabi o con parole s'ingegnavano di fargli capire che partir lui era lo stesso che volerli privare dell'ultima lusinga di salute. Lucilio pensò a Clara, e pur decise di rimanere. Tuttavia si richiedeva alcuno che s'incaricasse della lettera, e di nuovo gettarono gli occhi sopra di me. Giovandomi della confusione generale, io era sempre stato nella camera della Pisana sopportando i suoi rimbrotti per la fazione extra muros di cui io l'aveva defraudata. Ma appena mi chiamarono ebbi l'accortezza e la fortuna di farmi trovar sulla scala. M'empirono il capo d'istruzioni e di raccomandazioni, mi cucirono nella giacchetta il piego, mi imbarcarono sulla solita tavola, ed eccomi per la seconda volta impegnato in una missione diplomatica. Sonavano allora per l'appunto le dieci ore di notte, e la luna mi dava negli occhi con poca modestia; due cose che mi davano qualche fastidio, la prima per le streghe e le stregherie raccontatemi da Marchetto, la seconda per la facilità che ne proveniva di poter essere osservato. Con tutto ciò ebbi la fortuna di giungere sano e salvo sui prati. Tremava un pocolino dapprincipio; ma mi rassicurai strada faccendo, e nell'entrar al mulino, come volevano le mie istruzioni, assunsi una cert'aria d'importanza che mi fece onore. Rassicurai la contessina Clara e risposi con garbo a tutte le sue interrogazioni; indi detto alla Marianna che l'andasse a svegliare il maggiore de' suoi figliuoli, approfittai della sua assenza per istracciare la fodera della giacchetta; e cavatane la lettera la riposi come nulla fosse in saccoccia. Sandro era un garzoncello maggiore di me di due anni e che dimostrava un ingegno ed un coraggio non comuni; perciò il fattore m'aveva raccomandato di addrizzarmi a lui per mandar quella scritta a Portogruaro. Egli si tolse l'incarico senza neppur pensarci sopra; si buttò la giubba sulle spalle, mise la lettera nel petto, e uscì fuori zufolando come andasse ad abbeverare i buoi. La strada ch'ei dovea tenere verso Portogruaro si allontanava sempre più da Fratta e non v'avea pericolo che fosse sorpreso e intercettato. Perciò io stava senza alcun timore, beato beatissimo di veder uscire a buon fine tutte le commissioni affidatemi, e piene le orecchie degli elogi che mi avrebbero suonato intorno nella cucina del castello. Benché mi avesse raccomandato il signor Lucilio di far compagnia alla signora Clara fino al ritorno del messo, il terreno mi bruciava sotto di rimettermi in moto; quell'andare e venire, quel mistero, quei pericoli avean dato l'abbrivo alla mia immaginazione infantile, e non potea stare senza qualche gran impresa per le mani. Mi saltò allora in capo di rientrare nel castello a darvi contezza di quella parte dell'incarico che aveva già avuto effetto; salvo sempre di rinnovare la sortita per saper la risposta del Vice–capitano di giustizia. La Clara, udita questa mia intenzione, domandò risolutamente se mi bastava l'animo di far passare la fossa anche a lei. Il mio piccolo cuore palpitò più di superbia che d'incertezza, e risposi col volto fiammeggiante e col braccio teso che mi sarei annegato io, piuttostoché far bagnare a lei la falda della veste. La Marianna tentò attraversare con molte ragioni di prudenza questo disegno della padroncina; ma essa avea conficcato proprio il chiodo, ed io poi era così contento di ribadirlo che mi tardava l'ora di trovarmi con lei all'aperta. Detto fatto, lasciata la mugnaia colla sua prudenza, noi uscimmo sui prati, e di là in breve fummo senza guaio alle fosse. Il solito fischio la solita tavola; e la traversata successe a dovere come le altre volte. La Contessina gongolava tanto di fare quell'improvvisata, che il passar l'acqua a quel modo le fu quasi piacevole e rideva come una ragazzina nell'inginocchiarsi su quell'ordigno. Le feste le maraviglie la consolazione di tutta la famiglia sarebbero lunghe a ridirsi: ma il primo pensiero di Clara fu di chieder conto della nonna; o se non fu il primo pensiero, fu certo la prima parola. Lucilio le rispose che la buona vecchia, persuasa della fandonia che le avean dato a bere sul conto di lei, erasi addormentata in pace, e bene stava di non risvegliarla. Allora la giovinetta sedette cogli altri in tinello; ma mentre tutti origliavano dalle fessure delle finestre i rumori che venivano dal villaggio, ella parlava muta muta cogli occhi di Lucilio e lo ringraziava per tutto quanto egli aveva adoperato a loro vantaggio. Infatti era una voce sola che ascriveva al signor Lucilio tutto quel po' di sicurezza e di speranza, che risollevava le anime degli abitatori del castello dalla prima abiezione. Lui era stato a consolarli con qualche buon argomento, lui a munire provvisoriamente il castello contro un colpo di mano, lui a concepire quella sublime pensata del ricorso al Vice–capitano. Lì tornava in campo io. Mi si chiese conto della lettera e di chi se n'era incaricato; e tutti giubilarono di sapere che di lì a un paio d'ore io sarei tornato al mulino per recare la risposta di Portogruaro. Ognuno mi fece mille carezze, io era portato in palma di mano. Monsignore mi perdonava la mia ignoranza in punto al Confiteor, ed il fattore si pentiva di avermi posposto ad un menarrosto. Il Conte mi volgeva gli occhi dolci e la Contessa poi non finiva mai di accarezzarmi la nuca. Giustizia tarda e meritata. Mentre la brigata si sbracciava a farmi la corte, crebbe il romore di fuori improvvisamente, e Marchetto, il cavallante, col fucile in mano e gli occhi sbarrati si precipitò nel tinello. Che è che non è? — Fu un alzarsi improvviso, un gridare, un domandare, un rovesciarsi di seggiole, e di candelieri. — C'era che quattro uomini per un condotto d'acqua rimasto asciutto erano sbucati dietro la torre; che erano saltati addosso a lui e a Germano; che costui con due coltellate nel fianco doveva essere a mal partito, e che egli avea fatto appena tempo di scappare serrandosi dietro le porte. A queste notizie lo strillare, e il rimescolarsi crebbe di tre tanti; nessuno sapeva cosa si facesse; parevano quaglie insaccate allo scuro in un canestro che danno del capo qua e là alla rinfusa senza cognizione e senza scopo. Lucilio si sfiatava a raccomandare la quiete, e il coraggio; ma era un parlare ai sordi. La sola Clara lo udiva e cercava aiutarlo col persuadere la Contessa a farsi animo e a sperare in Dio. — Dio, Dio! è proprio tempo di ricorrere a Dio!... — sclamava la signora — chiamateci il confessore!... Monsignore, lei pensi a raccomandarci l'anima. Il canonico di Sant'Andrea, cui erano rivolte queste parole, non aveva più anima per sé — figuratevi se avea intenzione o possibilità di raccomandare quella degli altri! In quel momento s'udì lo scoppio di molte schioppettate, e insieme grida e romori e minaccie di gente che sembrava azzuffarsi nella torre. Lo scompiglio non conobbe più limiti. Le donne di cucina capitarono da un lato, le cameriere la Pisana i servi dall'altro; il

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Argomenti: dieci ore,    piccolo cuore,    solito fischio,    sublime pensata

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