Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 251

Testo di pubblico dominio

L'avranno portata le macchine a vapore, come si dice ora della crittogama da qualche pazzo giornalista europeo. Ad ogni modo son contento di partire, e si partirà perché l'ingegnere Carlo Martelli, che doveva giungere a Nuova York e al quale è raccomandato il dottor Ciampoli, non può muoversi da Rio Janeiro. Il Brasile è lontano, e il dottore non è per nulla contento d'imprendere un nuovo viaggio e lunghissimo. Io invece non vedo l'ora che si faccia vela, e la Gemma sembra piuttosto propendere per la mia opinione che per quella di suo padre. Quanto al fanciullo egli non parla che del Brasile, ed è ubbriaco di felicità! Ho buone notizie dei miei; godo ottima salute, le persone colle quali vivo mi amano e mi stimano; se trovassi un paese da sfogarmi la smania d'attività che mi divora, potrei star contento alla mia sorte. Che altro è mai la vita se non un lungo esiglio?... RIO JANEIRO, marzo 1850 Qui almeno siamo in America. Si fiuta ancora l'Europa qua e là, ma l'Europa meridionale di Lisbona, non la nordica di Londra. L'ingegner Claudio Morelli è un uomo severo, abbronzato dal sole, e a quanto dicono, onesto e intraprendente: all'udire il mio nome egli dié un guizzo di sorpresa, e domandò se fossi parente di quel Carlo Altoviti che avea preso parte alle rivoluzioni di Napoli del novantanove e del ventuno. Saputo che era suo figlio, si sciolse dalla rigidezza per gettarmi le braccia al collo, e allora sperai che il suo cuore non fosse tutto matematico; imperocché a dirla schietta io ho dei matematici l'egual paura che dei mercanti. Guai se mi metton al gran cimento d'una regola del tre! Mi perderebbero la stima. Egli mi domandò se mio padre m'avesse mai parlato di lui, ed io gli risposi che sì; perché infatti mi risovvenne allora come un barlume di qualche storia narratami nel quale figurava il nome di Martelli; ma io per disgrazia ho badato sempre poco alle parole di mio padre, e memoria precisa non me n'era rimasta. Mi significò allora che da poco aveva ricevuto lettere di suo fratello il quale sarebbe venuto in America e dimorava allora a Genova con mia sorella e mio cognato: profferendomisi poi in quanto mi poteva abbisognare, giacché si professava debitore a mio padre di grandi beneficii e ringraziava il cielo di poterglisi mostrar grato nell'aiutare i figliuoli. Seppi allora da lui quello che già sospettava, cioè che il dottor Ciampoli, privato dalla rivoluzione di ogni suo avere e già allo stremo di danaro, cercava in America un mezzo da accumulare alle spicce una piccola fortuna e ridursi poi a viver d'essa o a Genova o a Nizza o in qualche altra città del Piemonte. Se io avessi saputo prima di salpare da Civitavecchia la proscrizione di mio cognato, e la dimora di lui e di mia sorella a Genova, certo mi sarei volto colà. Ma allora, oltreché m'adescavano quelle imprese grandi e lontane, mi doleva anche l'anima di abbandonar il buon dottore e la sua famigliuola. La compagnia d'un giovane può esser loro di grande aiuto e beato me se potessi accelerare d'un giorno solo l'avveramento delle sue speranze! Rimasi dunque, fermo di partecipare alla sua sorte ed al ritorno. Il Brasile è uno Stato nuovo ed ordinato. L'ingegnere non disperava di procurare al dottor Ciampoli un posto assai lucroso; ma ci voleva tempo. Aspettammo dunque; e al dottore si provvide intanto con un discreto impiego nell'ufficio delle Statistiche Imperiali, mentre io esponendo i miei titoli di capitano ottenni un grado di maggiore nella fanteria di confine. Nell'esercito trovai viva la memoria d'un altro amico di mio padre, del maresciallo Alessandro Giorgi, che partì due anni fa per Venezia al primo annunzio della rivoluzione, e lo dicono morto colà di ferite. Se deggio credere a quanto mi si narra, fu uomo veramente straordinario: non di sublime ingegno ma di quella virtù tenace confidente incrollabile che bene spesso tien vece anco d'ingegno. Egli solo, in poco tempo, con ottocento uomini di truppa regolare ridusse a soggezione, ordinò, e stabilì uniformità di leggi e d'imposte in quell'immensa provincia centrale di Mato–Grosso che vince la Francia in grandezza. A udir minutamente tutte le imprese da lui condotte a termine in trent'anni su quei confini ignorati della civiltà, c'è da credere che non sia passata ancora l'età dei portenti. Se sapessi di prosodia vorrei far vedere che i poemi non sono rancidumi; e si può benissimo scriverne finché cotali eroi ne porgono materia. L'Imperatore gli avea donato la duchea di Rio–Vedras; ma egli abbandonò tutto per volare a Venezia. Così vorrei vivere, così morire anch'io. Né pretendo diventar duca; mi basterebbe che fossi annoverato fra i benemeriti della civiltà. Ora si ha la speranza che il dottor Ciampoli possa esser mandato come sopraintendente delle miniere in quella stessa provincia che fu campo di tanta gloria al maresciallo Giorgi. Io lo seguirei con una scorta di bersaglieri a piedi ed a cavallo. Ma questo non avverrà che nell'autunno. RIO FERREIRES, novembre 1850 Non so oggimai perché vado continuando ogni cinque o sei mesi questa mia storia affatto inconcludente. Quello ch'io scrivo, la mia famiglia lo seppe già per lettere; e io non sono un letterato ch'abbia in animo di stampar la sua vita: tuttavia l'abitudine mi padroneggia; ho cominciato a imbrattar carta parlando di me, e ci ho pigliato gusto, e di tanto in tanto debbo obbedire ad un ghiribizzo. Fortuna che è discreto; perché dal principio dell'anno non ho empito che due carte, e prima che riprenda la penna dopo averla lasciata questa volta, Dio sa quanto tempo vorrà passare!... Convengo peraltro col mio capriccio, che questi paesi sforzano a scrivere. Partiti una volta, bisognerà ricorrere ai segni scritti della nostra ammirazione per non credere che la memoria ci inganni, e che il prisma della lontananza ci cangi i minuzzoli in montagne e in diamanti i sassi. Tutto qui è grandioso intatto sublime. Montagne, torrenti, selve, pianure, tutto serba l'impronta dell'ultima rivoluzione che ha sconvolto il creato, e tràttone l'ordine meraviglioso della vita presente. Ma la vita della natura somiglia qui tanto all'europea, come la cadente esistenza d'un vecchio alla robusta e piena salute del giovine. Accavallamenti e serragli di montagne che s'aggruppano, s'addentrano, s'addossano le une alle altre circondate da boschi misteriosi, e vomitanti, frammezzo alle nevi, eterni vortici di fiamme. Piante secolari, ognuna delle quali sarebbe una selva sui fianchi scarnati dell'Appennino; vallate dove l'erba nasconde tutta una persona, e i tori selvatici fuggono cornando l'aspetto d'un uomo; torrenti abbandonati in cascate di cui l'occhio misura appena l'altezza; e le acque si disperdono in una lieve atmosfera nebbiosa che occupa tutta la valle e la immerge in un'iride incantevole; le viscere della terra chiudono l'oro e l'argento; i macigni si spaccano e ne escono diamanti; il gran fiume si volve immenso e tortuoso come un gran serpente addormentato, fra rive ombrose di banani e di catalpe. La terra lussureggiante, il sole infocato, il cielo quasi sempre sereno, ma la fresca brezza delle Ande consola ogni giornata di qualche ora di primavera. Oh se si avessero qui le grandi ferrovie delle valli dell'Ohio e del Mississippì! Se questa provincia non fosse lontana tre mesi di cammino da Rio Janeiro! È inutile: la distanza aumenta la mestizia della separazione; e per quanto sia irragionevole, due anni nel Mato–Grosso devono sembrar più lunghi di dieci e di venti in Francia od in Svizzera. Pure Venezia è tanto in Francia ed in Svizzera come nel Mato–Grosso, ma sembra che l'aria ci porti più facilmente qualche sospiro dei nostri cari. Noi siamo alloggiati da principi, ma la natura ci fa le spese e la mano dell'uomo ci ha poco merito. Una casa costrutta di pietra viva ma che somiglia una tenda, tanto è aperta per ogni lato da logge, da atrii, da gallerie; dietro un gran giardino che finisce alla sponda del fiume, dinanzi un

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Argomenti: star contento,    grande aiuto,    pazzo giornalista,    nuovo viaggio,    discreto impiego

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