Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 139

Testo di pubblico dominio

mio padre, ma vidi invece che era scritto da Leopardo. “Non ci sei in casa” diceva egli “perciò ti lascio queste due righe. Ho bisogno di te tosto per un servigio che di qui a tre ore non mi potresti più rendere”. E non c'erano altri schiarimenti. Faccio intendere alla meglio alla vecchia mora che sarei di ritorno fra breve, piglio il cappello e via a precipizio fino al Ponte Storto. Cosa volete? Quel biglietto non diceva nulla, io avea lasciato la mattina stessa Leopardo grave e taciturno come il solito, ma sano e ragionevole. Pure il cuore mi annunciava disgrazie, e avrei voluto aver l'ali ai piedi per giungere più presto. L'uscio di casa era aperto, un lumicino giaceva per terra a piedi della scala, penetrai nella stanza di Leopardo e lo trovai seduto in una poltrona colla consueta gravità sul volto, ma soffuso d'una maggior pallidezza. Guardava fiso fiso la lucerna, ma al mio entrare volse gli occhi in me, e senza parlare mosse un gesto di saluto. “Grazie” pareva dirmi “sei venuto ancora a tempo!”. Io mi sgomentii di quella attitudine, di quel silenzio, e gli chiesi con premurosa inquietudine cosa l'avesse per stare a quel modo, e in qual cosa mai potessi aiutarlo. — Nulla; — mi rispose egli socchiudendo a stento le labbra, come uno che parla e sta per addormentarsi — voglio che tu mi faccia compagnia; scusami se non parlerò troppo, ma ho qualche doloruccio di stomaco. — Mio Dio, chiamiamo dunque un medico! — io sclamai. Sapeva che Leopardo non soleva lamentarsi per poco, e quella chiamata notturna mi diceva i suoi timori. — Il medico! — riprese egli con un sorriso mestissimo. — Sappi, Carlino, che un'ora fa io mi son preso in corpo due grani di sublimato corrosivo!... Io misi uno strido di raccapriccio, ma egli si turò le orecchie soggiungendo: — Zitto, zitto, Carlino! Mia moglie è di là che dorme nella seconda camera!... Sarebbe un peccato incommodarla tanto più che l'è incinta, e questo suo nuovo stato le mette malumore. — Ma no, per carità, Leopardo! lasciami andare! — (egli mi stringeva il polso con tutta la forza che aveva). — Forse siamo ancora in tempo: un buon emetico, un rimedio eroico, che so io... lasciami, lasciami... — Carlino, tutto è inutile... Il solo bene che accetterò da te sarà, come dissi, un'ultima ora di compagnia. Rassegnati, giacché mi vedi più ancora che rassegnato volonteroso d'andarmene; l'emetico ed il dottore verrebbero tardi d'una buona mezz'ora; io ho studiato da una settimana quel capitolo di tossicologia che mi abbisognava. Vedi? sono ai secondi sintomi!... Mi sento schizzar gli occhi dalla testa... Purché questo prete di cui andò in cerca la portinaia capiti presto... Io son cristiano e voglio morire con tutte le regole. — Ma no, Leopardo, te ne scongiuro!... lasciami tentare se non altro! È impossibile che ti lasci morire a questo modo!... — Lo voglio, Carlino, lo voglio; se mi sei amico devi accontentarmi d'una grazia. Siedi vicino a me, e finiamo conversando come Socrate. Io conobbi che non c'era nulla da sperare da una sì tremenda tranquillità; sedetti vicino a lui deplorando quella triste aberrazione che perdeva così miseramente uno degli animi più forti che io m'avessi mai conosciuto. Quell'accorgimento di mandare pel prete accusava assoluto disordine di cervello in un suicida; perché egli non dovea ignorare che l'azione da lui commessa si riguardava dalla religione come un grave e mortale peccato. Sembrò ch'egli indovinasse tali pensieri perché si accinse a ribatterli senzaché io mi prendessi la briga di esprimerli. — N'è vero, Carlino, che ti sorprende questa mia smania di aver un confessore? Cosa vuoi?... Per una fortunata combinazione mi dimenticai da molti mesi che Dio proibisce il suicidio; or ora me ne sovvenne, ed è proprio vero che la vicinanza della morte aiuta mirabilmente la memoria. Ma è troppo tardi per fortuna!... È troppo tardi: il Signore mi punirà di questa lunga distrazione, ma spero che non vorrà essere troppo severo verso di me, e che me la caverò con una passata di purgatorio. Ho sofferto tanto, Carlino, ho sofferto tanto in questa vita!... — Oh maledizione, maledizione sul capo di coloro che ti spinsero ad una fine così sciagurata!... Leopardo, io ti vendicherò: ti giuro che ti vendicherò! — Zitto, zitto, amico mio; non destare mia moglie che dorme. Io ti esorto intanto a perdonare come perdono io. Ti nomino anzi legatario perpetuo delle mie perdonanze, acciocché nessuno abbia male dalla mia morte; e ti raccomando di non far sapere ch'io me l'ho procurata. Sarebbe grave scandalo, e altri potrebbero averne dispiacere o rimorso. Dirai che fu un aneurisma, un colpo fulminante, che so io?... Già me l'intenderò meglio col prete; e così spero di morir in pace lasciando dopo di me la pace. — Oh Leopardo, Leopardo! un'anima come la tua morire a questo modo! Con tanta bontà con tanta forza e costanza che avevi!... — Hai ragione; due anni fa neppur io mi sarei immaginato questa corbelleria. Ma ora l'ho fatta e non c'è che dire. I dolori gli avvilimenti i disinganni si accumulano qui dentro — (e si toccava il petto) — finché un bel giorno il vaso trabocca e addio giudizio! bisogna ch'io m'esprima così per iscusarmi con Dio. Io vidi allora o meglio indovinai le lunghe torture di quel povero cuore tanto onesto e sincero; le angosce di quell'indole aperta e leale sì indegnamente tradita; la delicatezza di quell'anima eroica deliberata di non veder nulla, e di morire senza lasciare ai suoi assassini neppur la punizione del rimorso. Non mossi parola di ciò rispettando la maravigliosa discretezza del moribondo. Leopardo riprese a parlare con voce più profonda e affaticata: le membra gli si irrigidivano e le carni prendevano a poco a poco un colore cinereo. — Vedi amico? fino a ieri ci pensava, ma mi difendeva valorosamente. Aveva una patria da amare e sperava quandocchesia di servirla, e di scordare il resto. Ora anche quell'illusione è svanita... fu proprio il colpo che mi decise! — Oh no, Leopardo, tutto non è svanito!... Se è così, guarisci, torna a vivere con noi: porteremo la patria nel cuore dovunque andremo, ne insegneremo, ne propagheremo la santa religione. Siamo giovani; tempi migliori ci arrideranno, lasciami... Io m'era alzato in piedi, egli mi teneva fermo pel braccio con forza convulsiva, e dovetti sedere ancora. Un sorriso vago e melanconico errava su quel volto già quasi disfatto dalla morte: mai la bellezza dell'anima non ebbe più pieno trionfo su quella del corpo. Questa era sparita affatto, quella spirava ancora con ogni suo splendore da quella faccia incadaverita. — Rimani, ti dico; — soggiunse egli con uno sforzo compassionevole — ad ogni modo sarebbe troppo tardi. Serba, amico mio, la tua candida fede; questo ti raccomando, perch'ella è se non altro incentivo potente ad imprese belle ed onorate... Quanto a me, me ne vado senza rincrescimento... Son certo che avrei aspettato indarno. Era stanco, stanco, stanco!... Ciò dicendo le sue membra si sciolsero, e la testa cadutagli penzolone mi si appoggiò sopra una spalla. Io allora feci per muovermi e per dimandar soccorso, ma egli si riebbe quel tanto da accorgersi delle mie intenzioni, e da proibirmelo. — Non hai capito?... — mormorò fiocamente. — Voglio te solo... ed il prete!... Io lo compresi pur troppo, e volsi uno sguardo pieno di odio e di ribrezzo alla porta, dietro la quale la Doretta dormiva placidi i suoi sonni. Indi passai un braccio sotto il collo di Leopardo, e vedendo che in quella posizione sembravano diminuire gli spasimi, mi sforzai di tenerlo sollevato a quel modo. Il peso mi cresceva sulle braccia, e tremava tutto non so bene se di fatica o di dolore, quando rientrò la portinaia col prete. Avendo picchiato indarno alla porta del parroco, essa ne aveva condotto uno nel quale per sorte si era abbattuta. Colui, renitente dapprincipio, si era deciso a seguirla udendo che si trattava

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Argomenti: tre ore,    sguardo pieno,    povero cuore,    cuore tanto,    pieno trionfo

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