Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 142

Testo di pubblico dominio

Padre mio! che volete che vi dica?... Resterò!... Ma si potrebbe almen sapere dove n'andate? — In Oriente vado, in Oriente a intendermela coi Turchi, giacché qui non ebbi voce da farmi capire. Fra poco, se anche non udrai parlare di me, udrai parlare dei Turchi. Di' pur allora ch'io vi ebbi le mani in pasta. Di più non ti posso dire, perché sono ancora fantasmi di progetti. Mio padre doveva uscire per prender l'ora dal capitano della tartana che salpava pel Levante. Io lo accompagnai, e non altro potei rilevare, senonché egli andava difilato a Costantinopoli ove poteva fermarsi e molto e poco secondo le circostanze. Certo i suoi pensieri non erano né piccoli né vili perché ingrandivano la sua persona e le davano una sembianza di autorità insolita fino allora. Aveva la solita berretta, le solite brache all'armena, ma un fuoco affatto nuovo gli lampeggiava dalle ciglia canute. Verso le nove salì sulla nave colla fida fantesca e un piccolo baule; non mise un sospiro, non lasciò saluti per nessuno, riprese volontario la strada dell'esiglio colla baldanza del giovine che avesse dinanzi agli occhi la certezza d'un vicino trionfo. Mi baciò così come all'indomani ci dovessimo rivedere, mi raccomandò la visita all'Apostulos; e poi egli scese sotto coperta, io tornai nella gondola che ci aveva condotti a bordo. Oh come mi trovai solo misero abbandonato al ritoccare il lastrico della Piazzetta!... L'anima mia corse con un sospiro alla Pisana; ma la fermai a mezza strada col pensiero di Giulio e dell'ufficial còrso. Mi rimisi allora a piangere la morte di Leopardo, e ad onorare la sua memoria di quei postumi compianti che formano l'elogio funebre d'un amico. Piansi e farneticai un pezzo, finché per distrarmi pensai alla credenziale, e mi volsi a San Zaccaria per abboccarmi col negoziante greco. Trovai un mustacchione grigio di pochissime parole, che onorò la firma di mio padre, e mi chiese senz'altro in qual modo bramassi esser pagato. Gli risposi che desiderava solo gli interessi d'anno in anno e che il capitale lo lascerei volentieri in mani così sicure. Il vecchio allora diede una specie di grugnito, e comparve un giovine al quale consegnò il foglio, aggiungendo in greco qualche parola che non potei capire. Mi disse poi che quello era suo figlio e che n'andassi pure con lui alla cassa, ove mi sarebbe contata la somma secondo il mio piacimento. Quanto era ruvido e brontolone il vecchio negoziante, altrettanto suo figlio Spiridione piaceva per le sue maniere amabili e compite. Grande e svelto di statura, con un profilo greco moderno arditissimo, un colore piucché olivastro, e due occhi fulminei, egli mi entrò in grazia al primo aspetto. Intravvidi una grand'anima sotto quelle sembianze, e secondo la mia usanza l'amai addirittura. Egli mi snocciolò trecento cinquanta ducati nuovi fiammanti, mi chiese scusa sorridendo delle burbere accoglienze di suo padre, e soggiunse che non me ne spaventassi perché egli gli aveva parlato di me quella stessa mattina con tutto il favore, e che sarei il benvenuto nella loro casa, ove avrei ritrovato la confidenza e la pace della famiglia. Io lo ringraziai di sì benevoli sentimenti soggiungendo che questo sarebbe stato il mio più soave piacere, ove un qualche caso straordinario mi avesse fermato a Venezia. Così ci separammo, a quanto parve, amici in fin d'allora con tutta l'anima. Pranzai quel giorno, v'immaginerete con quanta voglia, in una bettolaccia, ove facchini e gondolieri litigavano sullo sgombero dei Francesi e l'entrata dei Tedeschi. Ebbi campo di compiangere profondamente la sorte d'un popolo che da quattordici secoli di libertà non avea tratto né un lume di criterio né la coscienza del proprio essere. Ciò avveniva forse perché quella non era libertà vera; e avvezzi all'oligarchia non vedevano motivo da schifare l'arbitrio soldatesco e l'impero di fuori. Per loro era tutto uno; tutto servire; discutevano sull'umor del padrone e sul salario, e null'altro. Qualche voce meno interessata stonava troppo in quel concerto, e avevano perfin paura di ascoltarla, tanto li aveva usati bene l'Inquisizione di Stato. Quand'io penso alla Venezia d'allora, mi maraviglio che una sola generazione abbia potuto mutarla di tanto, e benedico o le insperate consolazioni della Provvidenza, o i misteriosi e subitanei ripieghi dell'umana natura. Passato per casa mia me ne cacciò tosto la mestizia e la paura della solitudine; mi ricordo che piansi a dirotto trovando sul tappeto la pipa di mio padre ancor piena di cenere. Pensai che tutto finiva così; e mi entrò in cuore un involontario sospetto che quello fosse un pronostico. In tali disposizioni d'animo il povero Leopardo mi attirava a sé con forza irresistibile; infatti il resto della giornata lo passai vicino al letto dove i pietosi vicini lo avevano adagiato. La portinaia mi disse che la vedova di quel signore se n'era ita colle sue robe lasciando otto ducati per le spese del funerale; e l'avea detto prima di partire, che non le reggeva il cuore di restar un'ora di più sotto lo stesso tetto colle spoglie inanimate di colui che tanto ell'aveva amato. — Peraltro — soggiunse la portinaia — la signora parve arrabbiatissima perché non venne a levarla quel bel cavaliere che era qui questa mattina, e si stizzì anche non poco colla mia ragazzina, perché lasciò cadere per terra una sua cuffia. Dica lei, se questi sono segni di gran dolore! Io non risposi verbo, pregai la donna che non si incommodasse per cagion mia, e siccome la persisteva nelle sue chiacchiere, nelle sue induzioni, mi voltai senza cerimonie dalla banda del morto. Allora essa mi lasciò solo, ed io potei sprofondarmi a mio grado nell'oscuro abisso delle mie meditazioni. Dice bene il mementòmo del primo giorno di quaresima; tutti si torna cenere. Piccoli e grandi, buoni e cattivi, ignoranti e sapienti, tutti ci somigliamo, così nella fine come nel principio. Questo è il giudizio degli occhi; ma la mente? — La mente è troppo ardita, troppo superba e insaziabile per accontentarsi delle ragioni che si palpano. Le stupende e sublimi azioni inspirate dal Vangelo non sono elleno figlie legittime dei pensieri della dottrina dell'anima di Cristo? Ecco una divinità, un'eternità in noi che non finisce nella cenere. Quel muto e freddo Leopardo non viveva egli in me, non riscaldava ancora il cuor mio colla bollente memoria dell'indole sua nobile e poderosa? — Ecco una vita spirituale che trapassa di essere in essere, e non vede limiti al suo futuro. I filosofi trovano conforti più saldi più pieni; io m'appago di questi, e mi basta il credere che il bene non è male, né la mia vita un momentaneo buco nell'acqua. Allora con questi melanconici conforti per capo, trassi di tasca quello scapolare ch'era caduto il dì prima dalla mano del moribondo nella mia, e da un fesso chiuso con un bottoncino trassi un'immagine della Madonna e alcuni pochi fiori appassiti. Fu come un largo orizzonte che mi si scoperse lontano lontano pieno di poesia, d'amore e di gioventù; tra quell'orizzonte e me vaneggiava allora l'abisso della morte, ma la mente lo varcava senza ribrezzo. I fantasmi non sono paurosi a chi ama per sempre. Ricordai le belle e semplici parole di Leopardo; rividi la fontana di Venchieredo, e la leggiadra ninfa che vi bagnava l'un piede increspando coll'altro il sommo dell'acque; udii l'usignuolo intonar un preludio, e un concento d'amore sorgere da due anime, come da due strumenti di cui l'uno ripete in sé i suoni dell'altro. Vidi uno splendore di felicità e di speranza diffondersi sotto quel fitto fogliame d'ontani e di salici... Indi gli sguardi tornarono da quei remoti prospetti fantastici alle cose reali che mi stavano dintorno: rimirai con un tremito quel cadavere che mi dormiva appresso. Ecco un'altra felicità, ahi quanto diversa!... Dopo la luce le tenebre, dopo la speranza l'obblio, dopo il tutto il nulla; ma fra nulla e tutto, fra obblio e speranza, fra tenebre e luce

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Argomenti: largo orizzonte,    somma secondo,    profilo greco,    caso straordinario,    povero leopardo

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