Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 174

Testo di pubblico dominio

una porta chiusa che non avrebbe resistito certamente all'urto di due braccia animate come le mie dalla disperazione. Tuttavia gridai prima angosciosamente: — Aprite, aprite! — Mi rispose uno strido che mi parve di donna, e in pari tempo una palla di pistola, uscita da un traforo dell'uscio, mi passò rasente le tempie e andò a conficcarsi nel muro dirimpetto. — Amici! amici! — io gridai. Ma nuove strida soffocarono la mia voce, e un nuovo colpo di pistola partì dalla porta, che mi sfiorò un braccio e me ne fece zampillare il sangue. Io diedi entro disperatamente coll'una spalla in quella porta, deciso a salvarli anche loro malgrado se erano amici, a farmi uccidere se nemici. L'uscio cadde in pezzi, e affumicato sanguinoso colle vesti arse e stracciate io mi precipitai in quella stanza che parvi certamente un dannato. Rovesciai nel mio impeto una donna che correva qua e là per la stanza colle palme levate al cielo o accapigliate nelle trecce come ossessa dalla paura. Un'altra donna mi fuggiva dinanzi, e parve disposta a volersi salvare precipitandosi dalla finestra; ma io fui più presto a raggiungerla, e la cinsi delle mie braccia mentre appunto il suo corpo spenzolava dal davanzale. Le vampe che uscivano dal piano sopposto le incenerirono i capelli, due o tre archibugiate salutarono la nostra apparizione alla finestra; io la sollevai per ritrarla da quella posizione così pericolosa dicendole che era amico, accorso per salvarla, che non temesse o eravamo perduti... Il suo volto, bello d'una sublime disperazione, si volse precipitosamente... Io fui per cadere come colto da una palla nel petto... Era la Pisana! La Pisana!... Mio Dio! Chi potrebbe esprimere la tempesta che mi si sollevò nel cuore?... Chi può dar un nome a ciascuna di quelle passioni che me lo sconvolgevano? L'amore, l'amore fu la prima, la più forte, la sola che raddoppiò la virtù del mio petto, e diede all'animo mio un'audacia invincibile! La sollevai sulle spalle, e via con essa tra le fiamme, tra i solai scricchiolanti, le mura rovinose, e il rimbombo delle volte crollanti!... Scesi sul dinanzi dove le vampe lasciavano ancora un passaggio; ma da destra e da sinistra sentiva da un'aria infocata affogarmi la gola. Un ultimo sforzo! Chi dirà mai ch'io cada con un tal peso sulle braccia?... Chi dirà mai ch'io abbandoni alle fiamme queste belle membra ch'io ammirai tante volte come l'opera più perfetta della natura, e questo volto incantevole dove la generosa anima sua trapela lampeggiante, come la folgore tra le nubi?... Io avrei traversato un vulcano senza paura di allentar d'un capello la stretta con cui cingeva quel corpo prezioso e quasi esanime. Foss'ella morta, e io sarei morto io pure per poter pensare nell'istante supremo: “Son caduto per lei e con lei!...”. Timori, sospetti, gelosie, vendette che mi avevano gonfiato il cuore un istante s'erano dileguati; l'amore era rimasto solo, colla sua fede che rinasce dalle ceneri come la fenice, colla sua forza che vince la stessa morte perché la disprezza e l'obblia. Colla Pisana in collo, colla disperazione nel cuore, la minaccia più spaventosa negli occhi, rotando forsennato una spada sgominai una fila di nemici che si scaldava spensierata all'incendio del convento. Mi ricorda aver traveduto fra essi un frate che pregava il cielo e arringava devotamente i soldati. Era il priore del convento che avea guidato i soldati della Santa Fede a quella tremenda vendetta; egli diceva che i nemici della religione erano rimasti arrostiti nel proprio unto. Ma l'ultimo di questi invece, non nemico della religione ma dei fanatici che le mettono l'armi alla mano, sfuggiva miracolosamente al loro furore. Se Dio guardava in quel momento sopra Velletri, certo che i suoi favori furono per la Pisana e per me. Sempre correndo giunsi alle colline dov'era disposta l'imboscata del Carafa, ma là le sorti del combattimento erano state ben diverse. Incontrammo i più indiavolati dei legionari che dopo aver ributtato i Napoletani fin nelle gole della montagna tornavano per voltarsi contro gli incendiatori del convento. Ettore stesso, che solo in quel momento avea ricevuto l'annunzio di quanto avveniva alle sue spalle, si precipitava colà alla testa de' suoi, incerto se sarebbe giunto in tempo, certo che la difesa o la vendetta sarebbero state tremende e irresistibili al pari. Io mi nascosi fra i lauri di quella costiera finché fu passato; ma poi ne ebbi pietà, e fermato un caporale che gli teneva dietro con un nuovo drappello raccozzato a Velletri, lo incaricai di dirgli che colei ch'egli sapeva era già in salvo nella città. Infatti, mossi ancora alcuni passi e imbattutomi in due de' miei soldati, consegnai loro la Pisana perché la portassero; quanto a me era proprio sfinito e durai fatica a tener loro dietro fino sul monte che porta sulla cima Velletri. Colà arrivato, la acconciai nel mio letto, le feci aprir la vena da un barbiere lì presso, e finch'ella rinveniva, per toglierle la commozione della sorpresa, uscii sopra un loggiato che prospettava la campagna. Si vedeva il convento simile in tutto ad un gran rogo, le fiamme rossastre e fumose si disegnavano sempre meglio sopra il cielo che s'imbruniva, e al loro tetro bagliore si vedevano luccicare le baionette dei legionari che premevano alle reni i fuggiaschi Napoletani. La battaglia era vinta e tristi presagi circondavano il primo ingresso dei liberatori nei confini della Repubblica Romana. Quando rientrai, la Pisana s'era già posta a sedere sul letto e mi accolse con minor confusione di quanto mi sarei aspettato. Fu anzi ella la prima a parlare, il che mi sorprese assai per l'economia di fiato ch'ella usava fare anche in momenti d'assai meno scabroso discorso. — Carlo — mi diss'ella — perché non mi hai lasciato dov'era?... Sarei morta da eroina e a Roma mi avrebbero messa nel nuovo Panteon. Io la guardai esterrefatto, giacché quelle parole mi sapevano di pazzia; ma ella mostrava ragionare col suo miglior senno, e dovetti rispondere a tono. — Lasciando te avrei dovuto restare anch'io! — soggiunsi con voce tanto commossa che stentava a tirar innanzi. — Ti giuro, Pisana, che sul primo momento che ti ravvisai ebbi una gran voglia di ucciderti e di morire! — Oh perché non lo hai fatto? — gridò ella con tale accento del quale mi fu forza riconoscere la sincerità e la disperazione. — Non l'ho fatto... non l'ho fatto, perché ti amo! — le risposi colla fronte china come chi confessasse una propria vergogna. Ella non fu per nulla umiliata da quel mio cipiglio; anzi levando fieramente le ciglia, come una vergine offesa: — Ah mi ami, mi ami? — esclamò. — Empio, traditore, spergiuro! Che il cielo ascolti le tue menzogne e te le faccia colare in gola mutate in piombo rovente!... Tu mi hai calpestato come una schiava, mi hai ingannato come una scimunita; e al mio fianco, fra le mie braccia stesse, meditavi il tradimento che hai consumato!... Oh felice te! Felice, che un uomo s'interpose fra te e me!... Ch'egli tolse di mano a me la vendetta, e me ne porse un'altra che forma la mia vergogna, il mio tormento di ogni giorno, d'ogni minuto! Altrimenti sul seno stesso della tua druda t'avrei piantato un pugnale nel cuore; e aveva tanta forza in questo mio braccio che d'un colpo solo v'avrei annientati ambidue!... Va', ora va'!... Godi della mia umiliazione, e del tuo trionfo!... Mi hai salvata la vita!... Il generoso sei tu!... Alla prossima decade avrai una corona civica intorno alle tempia; ma io sarò tanto imperterrita da rifiutare la feccia di quel calice disonorevole che mi si vuol imporre! Avrò il coraggio di sfidare quell'amor furibondo cui mi sono rabbiosamente venduta!... Sono sei mesi ch'io lo schernisco, ora lo sbeffeggerò!... Vendetta per vendetta!... Una pugnalata di sua mano recherà a me la morte, ed al tuo cuore pusillanime un rimorso senza fine!... Udirmi maledire in tal modo da colei che m'aveva tradito così orrendamente, alla quale io

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Argomenti: pari tempo,    voce tanto,    nuovo colpo,    volto incantevole,    corpo prezioso

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