Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 35

Testo di pubblico dominio

abbandonato, si diede al pensare come al duca torre la potesse, ottimamente a ciascuna persona il suo amor celando. Ma mentre che esso in questo fuoco ardeva, sopravenne il tempo d'uscire contro al prenze che già alle terre del duca s'avicinava: per che il duca e Constanzio e gli altri tutti, secondo l'ordine dato d'Atene usciti, andarono a contrastare a certe frontiere acciò che più avanti non potesse il prenze venire. E quivi per più dì dimorando, avendo sempre Constanzio l'animo e 'l pensiere a quella donna, imaginando che, ora che il duca non l'era vicino, assai bene gli potrebbe venir fatto il suo piacere, per aver cagione di tornarsi a Atene si mostrò forte della persona disagiato; per che, con licenzia del duca, commessa ogni sua podestà in Manovello, a Atene se ne venne alla sorella. E quivi, dopo alcun dì, messala nel ragionare del dispetto che dal duca le pareva ricevere per la donna la qual teneva, le disse che, dove ella volesse, egli assai bene di ciò l'aiuterebbe, faccendola di colà ove era trarre e menarla via. La duchessa, estimando Constanzio questo per amor di lei e non della donna fare, disse che molto le piacea, sì veramente dove in guisa si facesse che il duca mai non risapesse che essa a questo avesse consentito. Il che Constanzio pienamente le promise, per che la duchessa consentì che egli, come il meglio gli paresse, facesse. Constanzio chetamente fece armare una barca sottile, e quella una sera ne mandò vicina al giardino dove dimorava la donna, informati de' suoi che sù v'erano quello che a fare avessero; e appresso con altri n'andò al palagio dove era la donna, dove da quegli che quivi al servigio di lei erano fu lietamente ricevuto, e ancora dalla donna, e con essolui da' suoi servidori accompagnata e da' compagni di Constanzio, sì come gli piacque, se n'andò nel giardino. E quasi alla donna da parte del duca parlar volesse, con lei verso una porta che sopra il mare usciva solo se n'andò; la quale già essendo da uno de' suoi compagni aperta e quivi col segno dato chiamata la barca, fattala prestamente prendere e sopra la barca porre, rivolto alla famiglia di lei disse: “Niuno se ne muova né faccia motto, se egli non vuol morire, per ciò che io intendo non di rubare al duca la femina sua ma di torre via l'onta la quale egli fa alla mia sorella.” A questo niuno ardì di rispondere: per che Constanzio, co' suoi sopra la barca montato e alla donna che piagnea accostatosi, comandò che de' remi dessero in acqua e andasser via. Li quali, non vocando ma volando, quasi in sul dì del seguente giorno a Egina pervennero. Quivi in terra discesi e riposandosi, Constanzio con la donna, che la sua sventurata bellezza piangea, si sollazzò: quindi, rimontati in su la barca, infra pochi giorni pervennero a Chios, e quivi, per tema delle riprensioni del padre e che la donna rubata non gli fosse tolta, piacque a Constanzio come in sicuro luogo di rimanersi; dove più giorni la bella donna pianse la sua disaventura, ma pur poi da Constanzio riconfortata, come l'altre volte fatto avea, s'incominciò a prender piacere di ciò che la fortuna avanti l'apparecchiava. Mentre queste cose andavano in questa guisa, Osbech, allora re de' turchi, il quale in continua guerra stava con lo 'mperadore, in questo tempo venne per caso alle Smirre: e quivi udendo come Constanzio in lasciva vita con una sua donna, la quale rubata avea, senza alcuno provedimento si stava in Chios, con alcuni legnetti armati là andatone una notte e tacitamente con la sua gente nella terra entrato, molti sopra le letta ne prese prima che s'accorgessero li nemici esser sopravenuti; e ultimamente alquanti, che risentiti erano all'arme corsi, n'uccisero, e arsa tutta la terra e la preda e' prigioni sopra le navi posti, verso le Smirre si ritornarono. Quivi pervenuti, trovando Osbech, che giovane uomo era, nel riveder della preda la bella donna, e conoscendo questa esser quella che con Constanzio era stata sopra il letto dormendo presa, fu sommamente contento veggendola; e senza niuno indugio sua moglie la fece e celebrò le nozze e con lei si giacque più mesi lieto. Lo 'mperadore il quale, avanti che queste cose avvenissero, aveva tenuto trattato con Basano, re di Capadocia, acciò che sopra Osbech dall'una parte con le sue forze discendesse e egli con le sue l'assalirebbe dall'altra, né ancora pienamente l'aveva potuto fornire per ciò che alcune cose, le quali Basano adomandava, sì come meno convenevoli, non aveva volute fare, sentendo ciò che al figliuolo era avvenuto, dolente fuor di misura, senza alcuno indugio ciò che il re di Capadocia domandava fece, e lui quanto più poté allo scendere sopra Osbech sollecitò, apparecchiandosi egli d'altra parte d'andargli addosso. Osbech, sentendo questo, il suo essercito ragunato, prima che da' due potentissimi signori fosse stretto in mezzo, andò contro al re di Capadocia, lasciata nelle Smirre a guardia d'un suo fedele famigliare e amico la sua bella donna e col re di Capadocia dopo alquanto tempo affrontatosi combatté, e fu nella battaglia morto e il suo essercito sconfitto e disperso. Per che Basano vittorioso cominciò liberamente a venirsene verso le Smirre: e, vegnendo, ogni gente a lui, sì come a vincitore, ubidiva. Il famigliar d'Osbech, il cui nome era Antioco, a cui la bella donna era a guardia rimasa, ancora che attempato fosse, veggendola così bella, senza servare al suo amico e signor fede di lei s'innamorò: e sappiendo la lingua di lei (il che molto a grado l'era, sì come a colei alla quale parecchi anni a guisa quasi di sorda e di mutola era convenuta vivere, per lo non aver persona inteso né essa essere stata intesa da persona), da amore incitato cominciò seco tanta familiarità a pigliare in pochi dì, che non dopo molto, non avendo riguardo al signor loro che in arme e in guerra era, fecero la dimestichezza non solamente amichevole ma amorosa divenire, l'uno dell'altro pigliando sotto le lenzuola maraviglioso piacere. Ma sentendo costoro Osbech esser vinto e morto e Basano ogni cosa venir pigliando, insieme per partito presero di quivi non aspettarlo; ma, presa grandissima parte che quivi eran d'Osbech, insieme nascosamente se n'andarono a Rodi, e quivi non guari di tempo dimorarono, che Antioco infermò a morte. Col quale tornando per ventura un mercatante cipriano, da lui molto amato e sommamente suo amico, sentendosi egli verso la fine venire, pensò di volere e le sue cose e la sua cara donna lasciare a lui. E già alla morte vicino, amenduni gli chiamò così dicendo: “Io mi veggio senza alcuno fallo venir meno; il che mi duole, per ciò che di vivere mai non mi giovò come ora faceva. E il vero che d'una cosa contentissimo muoio, per ciò che, pur dovendo morire, mi veggio morir nelle braccia di quelle due persone le quali io più amo che alcune altre che al mondo ne sieno, cioè nelle tue, carissimo amico, e in quelle di questa donna, la quale io più che me medesimo ho amata poscia che io la conobbi. E il vero che grave m'è, lei sentendo qui forestiera e senza aiuto e senza consiglio, morendomi io, rimanere, e più sarebbe grave ancora, se io qui non sentissi te, il quale io credo che quella cura di lei avrai per amor di me che di me medesimo avresti; e per ciò quanto più posso ti priego che, s'egli avviene che io muoia, che le mie cose e ella ti sien raccomandate, e quello dell'une e dell'altra facci che credi ché sieno consolazione dell'anima mia. E te, carissima donna, priego che dopo la mia morte me non dimentichi, acciò che io di là vantar mi possa che io di qua amato sia dalla più bella donna che mai formata fosse dalla natura. Se di queste due cose voi mi darete intera speranza, senza niun dubbio n'andrò consolato.” L'amico mercatante e la donna similmente, queste parole udendo, piangevano; e avendo egli detto, il confortarono e promisongli sopra la lor fede di quel fare che egli pregava, se avvenisse che el morisse. Il quale non stette guari che

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