Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 44

Testo di pubblico dominio

vedendovi, con loro volentieri si dimesticava per rimembranza della contrada sua. Ora avvenne tra l'altre volte che, essendo egli a un fondaco di mercatanti viniziani smontato, gli vennero vedute tra altre gioie una borsa e una cintura le quali egli prestamente riconobbe essere state sue, e maravigliossi; ma senza altra vista fare, piacevolemente domandò di cui fossero e se vendere si voleano. Era quivi venuto Ambruogiuolo da Piagenza con molta mercatantia in su una nave di viniziani; il quale, udendo che il capitano della guardia domandava di cui fossero, si trasse avanti e ridendo disse: “Messer, le cose son mie e non le vendo; ma s'elle vi piacciono, io le vi donerò volentieri.” Sicurano, vedendol ridere, suspicò non costui in alcuno atto l'avesse raffigurato; ma pur, fermo viso faccendo, disse: “Tu ridi forse perché vedi me uom d'arme andar domandando di queste cose feminili.” Disse Ambruogiuolo: “Messere, io non rido di ciò, ma rido del modo nel quale io le guadagnai.” A cui Sicuran disse: “Deh, se Idio ti dea buona ventura, se egli non è disdicevole diccelo come tu le guadagnasti.” “Messere, “ disse Ambruogiuolo “queste mi donò con alcuna altra cosa una gentil donna di Genova chiamata madonna Zinevra, moglie di Bernabò Lomellin, una notte che io giacqui con lei, e pregommi che per suo amore io le tenessi. Ora risi io, per ciò che egli mi ricordò della sciocchezza di Bernabò, il quale fu di tanta follia, che mise cinquemilia fiorin d'oro contro a mille che io la sua donna non recherei a' miei piaceri: il che io feci e vinsi il pegno; e egli, che più tosto sé della sua bestialità punir dovea che lei d'aver fatto quello che tutte le femine fanno, da Parigi a Genova tornandosene, per quello che io abbia poi sentito, la fece uccidere.” Sicurano, udendo questo, prestamente comprese qual si fosse la cagione dell'ira di Bernabò verso lei e manifestamente conobbe costui di tutto il suo male esser cagione; e seco pensò di non lasciargliene portare impunità. Mostrò adunque Sicurano d'aver molto cara questa novella, e artatamente prese con costui una stretta dimestichezza, tanto che per gli suoi conforti Ambruogiuolo, finita la fiera, con essolui e con ogni sua cosa se n'andò in Alessandria, dove Sicurano gli fece fare un fondaco e misegli in mano de' suoi denari assai: per che egli, util grande veggendosi, vi dimorava volentieri. Sicurano, sollecito a voler della sua innocenzia far chiaro Bernabò, mai non riposò infino a tanto che con opera d'alcuni gran mercatanti genovesi che in Alessandria erano, nuove cagioni trovando, non l'ebbe fatto venire: il quale, in assai povero stato essendo, alcun suo amico tacitamente fece ricevere, infino che tempo gli paresse a quel fare che di fare intendea. Aveva già Sicurano fatta raccontare a Ambruogiuolo la novella davanti al soldano e fattone al soldano prender piacere; ma poi che vide quivi Bernabò, pensando che alla bisogna non era da dare indugio, preso tempo convenevole, dal soldano impetrò che davanti venir si facesse Ambruogiuolo e Bernabò, e in presenzia di Bernabò, se agevolmente fare non si potesse, con severità da Ambruogiuolo si traesse il vero come stato fosse quello di che egli della moglie di Bernabò si vantava. Per la qual cosa, Ambruogiuolo e Bernalbò venuti, il soldano in presenzia di molti con rigido viso a Ambruogiuol comandò che il vero dicesse come a Bernabò vinti avesse cinquemilia fiorin d'oro: e quivi era presente Sicurano, in cui Ambruogiuolo più avea di fidanza, il quale con viso troppo più turbato gli minacciava gravissimi tormenti se nol dicesse. Per che Ambruogiuolo, da una parte e d'altra spaventato, e ancora alquanto costretto, in presenzia di Bernabò e di molti altri, niuna pena più aspettandone che la restituzione di fiorini cinquemilia d'oro e delle cose, chiaramente, come stato era il fatto, narrò ogni cosa. E avendo Ambruogiuol detto, Sicurano, quasi essecutore del soldano, in quello rivolto a Bernabò disse: “E tu che facesti per questa bugia alla tua donna?” A cui Bernabò rispose: “Io, vinto dall'ira della perdita de' miei denari e dall'onta della vergogna che mi parea avere ricevuta dalla mia donna, la feci a un mio famigliare uccidere; e, secondo che egli mi rapportò, ella fu prestamente divorata da molti lupi.” Queste cose così nella presenzia del soldan dette e da lui tutte udite e intese, non sappiendo egli ancora a che Sicurano, che questo ordinato avea e domandato, volesse riuscire, gli disse Sicurano: “Signor mio, assai chiaramente potete conoscere quanto quella buona donna gloriar si possa d'amante e di marito: ché l'amante a un'ora lei priva d'onor con bugie guastando la fama sua e diserta il marito di lei; e il marito, più credulo alle altrui falsità che alla verità da lui per lunga esperienza potuta conoscere, la fa uccidere e mangiare a' lupi; e oltre a questo, è tanto il bene e l'amore che l'amico e il marito le porta, che, con lei lungamente dimorati, niun la conosce. Ma per ciò che voi ottimamente conoscete quello che ciascun di costoro ha meritato, ove voi mi vogliate di spezial grazia fare di punire lo 'ngannatore e perdonare allo 'ngannato, io la farò qui in vostra e in lor presenza venire.” Il soldano, disposto in questa cosa di volere in tutto compiacere a Sicurano, disse che gli piacea e che facesse la donna venire. Maravigliavasi forte Bernabò, il quale lei per fermo morta credea; e Ambruogiuolo, già del suo male indovino, di peggio avea paura che di pagar denari, né sapea che si sperare o che più temere, perché quivi la donna venisse, ma più con maraviglia la sua venuta aspettava. Fatta adunque la concession dal soldano a Sicurano, esso, piagnendo e inginocchion dinanzi al soldano gittatosi, quasi a un'ora la maschil voce e il più non volere maschio parere si partì, e disse: “Signor mio, io sono la misera sventurata Zinevra, sei anni andata tapinando in forma d'uom per lo mondo, da questo traditor d'Ambruogiuolo falsamente e reamente vituperata, e da questo crudele e iniquo uomo data a uccidere a un suo fante e a mangiare a' lupi.” E stracciando i panni dinanzi e mostrando il petto, sé esser femina e al soldano e a ciascuno altro fece palese, rivolgendosi poi a Ambruogiuolo ingiuriosamente domandandolo quando mai, secondo che egli avanti si vantava, con lei giaciuto fosse; il quale, già riconoscendola e per vergogna quasi mutolo divenuto, niente dicea. Il soldano, il quale sempre per uomo avuta l'avea, questo vedendo e udendo venne in tanta maraviglia, che più volte quello che egli vedeva e udiva credette più tosto esser sogno che vero. Ma pur, poi che la maraviglia cessò, la verità conoscendo, con somma laude la vita e la constanzia e i costumi e la virtù della Ginevra, infino allora stata Sicuran chiamata, commendò. E fattile venire onorevolissimi vestimenti feminili e donne che compagnia le tenessero, secondo la dimanda fatta da lei a Bernabò perdonò la meritata morte. Il quale, riconosciutala, a' piedi di lei si gittò piagnendo e domandò perdonanza, la quale ella, quantunque egli mal degno ne fosse, benignamente gli diede, e in piede il fece levare teneramente sì come suo marito abbracciandolo. Il soldano appresso comandò che incontanente Ambruogiuolo in alcuno alto luogo nella città fosse al sole legato a un palo e unto di mele, né quindi mai, infino a tanto che per se medesimo non cadesse, levato fosse; e così fu fatto. Appresso questo comandò che ciò che d'Ambruogiuolo stato era fosse alla donna donato, che non era sì poco che oltre a diecemilia dobbre non valesse: e egli, fatta apprestare una bellissima festa, in quella Bernabò come marito di madonna Zinevra e madonna Zinevra sì come valorosissima donna onorò, e donolle che in gioie e che in vasellamenti d'oro e d'ariento e che in denari, quello che valse meglio d'altre diecemilia dobbre. E fatto loro apprestare un legno, poi che fatta fu la festa, gli licenziò di potersi tornare

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