Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 159

Testo di pubblico dominio

che a questo, essi non l'aveano mai potuto conducere che egli loro una volta desse mangiare. Per che un dì dolendosene, e essendo a ciò sopravenuto un lor compagno che aveva nome Nello, dipintore, diliberar tutti e tre di dover trovar modo da ugnersi il grifo alle spese di Calandrino. E senza troppo indugio darvi, avendo tra sé ordinato quello che a fare avessero, la seguente mattina appostato quando Calandrino di casa uscisse, non essendo egli guari andato, gli si fece incontro Nello e disse: “Buondì, Calandrino.” Calandrino gli rispose che Idio gli desse il buondì e 'l buono anno. Appresso questo Nello, rattenutosi un poco, lo 'ncominciò a guardar nel viso: a cui Calandrin disse: “Che guati tu?” E Nello disse a lui: “Haiti tu sentita stanotte cosa niuna? Tu non mi par desso.” Calandrino incontanente cominciò a dubitare e disse: “Oimè! come? che ti pare egli che io abbia?” Disse Nello: “Deh! io nol dico per ciò, ma tu mi pari tutto cambiato: fia forse altro”; e lasciollo andare. Calandrino tutto sospettoso, non sentendosi per ciò cosa del mondo, andò avanti; ma Buffalmacco, che guari non era lontano, vedendol partito da Nello, gli si fece incontro e salutatolo il domandò se egli si sentisse niente. Calandrino rispose: “Io non so, pur testé mi diceva Nello che io gli pareva tutto cambiato; potrebbe egli essere che io avessi nulla?” Disse Buffalmacco: “Sì, potrestù aver cavelle, non che nulla: tu par mezzo morto.” A Calandrino pareva già aver la febbre; e ecco Bruno sopravenire, e prima che altro dicesse disse: “Calandrino, che viso è quello? E' par che tu sie morto: che ti senti tu?” Calandrino, udendo ciascun di costoro così dire, per certissimo ebbe seco medesimo d'esser malato, e tutto sgomentato gli domandò: “Che fo?” Disse Bruno: “A me pare che tu te ne torni a casa e vaditene in su il letto e facciti ben coprire, e che tu mandi il segnal tuo al maestro Simone, che è così nostra cosa come tu sai. Egli ti dirà incontanente ciò che tu avrai a fare, e noi ne verrem teco e, se bisognerà far cosa niuna, noi la faremo.” E con loro aggiuntosi Nello, con Calandrino se ne tornarono a casa sua; e egli entratosene tutto affaticato nella camera disse alla moglie: “Vieni e cuoprimi bene, ché io mi sento un gran male.” Essendo adunque a giacer posto, il suo segnale per una fanticella mandò al maestro Simone, il quale allora a bottega stava in Mercato Vecchio alla 'nsegna del mellone; e Bruno disse a' compagni: “Voi vi rimarrete qui con lui, e io voglio andare a sapere che il medico dirà, e, se bisogno sarà, a menarloci.” Calandrino allora disse: “Deh! sì, compagno mio, vavvi e sappimi ridire come il fatto sta, ché io mi sento non so che dentro.” Bruno, andatose al maestro Simone, vi fu prima che la fanticella che il segno portava e ebbe informato maestro Simon del fatto; per che, venuta la fanticella e il maestro, veduto il segno, disse alla fanticella: “Vattene e dì a Calandrino che egli si tenga ben caldo, e io verrò a lui incontanente e dirogli ciò che egli ha e ciò che egli avrà a fare.” La fanticella così rapportò, né stette guari che il medico e Brun vennero; e postoglisi il medico a sedere allato, gl'incominciò a toccare il polso, e dopo alquanto, essendo ivi presente la moglie, disse: “Vedi, Calandrino, a parlarti come a amico, tu non hai altro male se non che tu se' pregno.” Come Calandrino udì questo, dolorosamente cominciò a gridare e a dire: “Oimè! Tessa, questo m'hai fatto tu, che non vuogli stare altro che di sopra: io il ti diceva bene!” La donna, che assai onesta persona era, udendo così dire al marito tutta di vergogna arrossò; e bassata la fronte senza risponder parola s'uscì della camera. Calandrino, continuando il suo ramarichio, diceva: “Oimè, tristo me, come farò io? come partorirò io questo figliuolo? onde uscirà egli? Ben veggo che io son morto per la rabbia di questa mia moglie, che tanto la faccia Idio trista quanto io voglio esser lieto; ma così fossi io sano come io non sono, ché io mi leverei e dare' le tante busse, che io la romperei tutta, avvegna che egli mi stea molto bene, ché io non la doveva mai lasciar salir di sopra. Ma per certo, se io scampo di questa, ella se ne potrà ben prima morir di voglia.” Bruno e Buffalmacco e Nello avevano sì gran voglia di ridere che scoppiavano, udendo le parole di Calandrino, ma pur se ne tenevano; ma il maestro Scimmione rideva sì squaccheratamente, che tutti i denti gli si sarebber potuti trarre. Ma pure, a lungo andare, raccomandandosi Calandrino al medico e pregandolo che in questo gli dovesse dar consiglio e aiuto, gli disse il maestro: “Calandrino, io non voglio che tu ti sgomenti, ché, lodato sia Idio, noi ci siamo sì tosto accorti del fatto, che con poca fatica e in pochi dì ti dilibererò; ma conviensi un poco spendere.” Disse Calandrino: “Oimè! maestro mio, sì, per l'amor di Dio. Io ho qui da dugento lire di che io volea comperare un podere: se tutti bisognano, tutti gli togliete, pur che io non abbia a partorire, ché io non so come io mi facessi; ché io odo fare alle femine un sì gran romore quando son per partorire, con tutto che elle abbiano buon cotal grande donde farlo, che io credo, se io avessi quel dolore, che io mi morrei prima che io partorissi.” Disse il medico: “Non aver pensiero. Io ti farò fare una certa bevanda stillata molto buona e molto piacevole a bere, che in tre mattine risolverà ogni cosa, e rimarrai più sano che pesce; ma farai che tu sii poscia savio e più non incappi in queste sciocchezze. Ora ci bisogna per quella acqua tre paia di buon capponi e grossi, e per altre cose che bisognano darai a un di costoro cinque lire di piccioli, che le comperi, e fara'mi ogni cosa recare alla bottega; e io al nome di Dio domattina ti manderò di quel beveraggio stillato, e comincera'ne a bere un buon bicchier grande per volta.” Calandrino, udito questo, disse: “Maestro mio, ciò siane in voi”; e date cinque lire a Bruno e denari per tre paia di capponi, il pregò che in suo servigio in queste cose durasse fatica. Il medico, partitosi, gli fece fare un poco di chiarea e mandogliele. Bruno, comperati i capponi e altre cose necessarie al godere, insieme col medico e co' compagni suoi se gli mangiò. Calandrino bevé tre mattine della chiarea; e il medico venne da lui, e i suoi compagni, e toccatogli il polso gli disse: “Calandrino, tu se' guerito senza fallo; e però sicuramente oggimai va a fare ogni tuo fatto, né per questo star più in casa.” Calandrino lieto, levatosi, s'andò a fare i fatti suoi, lodando molto, ovunque con persona a parlar s'avveniva, la bella cura che di lui il maestro Simone aveva fatta, d'averlo fatto in tre dì senza alcuna pena spregnare; e Bruno e Buffalmacco e Nello rimaser contenti d'aver con ingegni saputa schernire l'avarizia di Calandrino, quantunque monna Tessa, avvedendosene, molto col marito ne brontolasse.– 4 Cecco di messer Fortarrigo giuoca a Bonconvento ogni sua cosa e i denari di Cecco di messere Angiolieri; e in camiscia correndogli dietro e dicendo che rubato l'avea, il fa pigliare a' villani; e i panni di lui si veste e monta sopra il pallafreno, e lui, venendosene, lascia in camiscia. Con grandissime risa di tutta la brigata erano state ascoltate le parole da Calandrin dette della sua moglie; ma tacendosi Filostrato, Neifile, sì come la reina volle, incominciò. –Valorose donne, se egli non fosse più malagevole agli uomini il mostrare altrui il senno e la vertù loro, che sia la sciocchezza e 'l vizio, invano si faticherebber molti in por freno alle lor parole: e questo v'ha assai manifestato la stoltizia di Calandrino, al quale di niuna necessità era, a voler guerire del male che la sua semplicità gli faceva accredere che egli avesse, i segreti diletti della sua donna in publico adimostrare. La qual cosa una a sé contraria nella mente me n'ha recata: cioè come la

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Argomenti: troppo indugio,    mercato vecchio,    acqua tre

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