Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 168

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e sorridendo disse:– Signor mio, gran carico ti resta, sì come è l'avere il mio difetto e degli altri che il luogo hanno tenuto che tu tieni, essendo tu l'ultimo, a emendare: di che Idio ti presti grazia, come a me l'ha prestato di farti re.– Panfilo, lietamente l'onor ricevuto, rispose:–La vostra virtù e degli altri miei subditi farà sì, che io, come gli altri sono stati, sarò da lodare–; e secondo il costume de' suoi predecessori col siniscalco delle cose oportune avendo disposto, alle donne aspettanti si rivolse e disse:– Innamorate donne, la discrezion d'Emilia, nostra reina stata questo giorno, per dare alcun riposo alle vostre forze arbitrio vi diè di ragionare ciò che più vi piacesse; per che, già riposati essendo, giudico che sia bene il ritornare alla legge usata, e per ciò voglio che domane ciascuna di voi pensi di ragionare sopra questo, cioè: di chi liberalmente o vero magnificamente alcuna cosa operasse intorno a' fatti d'amore o d'altra cosa. Queste cose e dicendo e faccendo senza alcun dubbio gli animi vostri ben disposti a valorosamente adoperare accenderà: ché la vita nostra, che altro che brieve esser non può nel mortal corpo, si perpetuerà nella laudevole fama; il che ciascuno che al ventre solamente, a guisa che le bestie fanno, non serve, dee non solamente desiderare ma con ogni studio cercare e operare.– La tema piacque alla lieta brigata, la quale con licenzia del nuovo re tutta levatasi da sedere, agli usati diletti si diede, ciascuno secondo quello a che più dal desidero era tirato; e così fecero insino all'ora della cena. Alla quale con festa venuti, e serviti diligentemente e con ordine, dopo la fine di quella si levarono a' balli costumati, e forse mille canzonette più sollazzevoli di parole che di canto maestrevoli avendo cantate, comandò il re a Neifile che una ne cantasse a suo nome; la quale con voce chiara e lieta così piacevolemente e senza indugio incominciò: Io mi son giovinetta, e volentieri m'allegro e canto en la stagion novella, merzé d'amore e de' dolci pensieri. Io vo pe' verdi prati riguardando i bianchi fiori e' gialli e i vermigli, le rose in su le spini e' bianchi gigli, e tutti quanti gli vo somigliando al viso di colui che me amando ha presa e terrà sempre, come quella ch'altro non ha in disio che' suoi piaceri. De' quai quand'io ne truovo alcun che sia, al mio parer, ben simile di lui, il colgo e bascio e parlomi con lui: e com'io so, così l'anima mia tututta gli apro e ciò che 'l cor disia: quindi con altri il metto in ghirlandella legato co' miei crin biondi e leggieri. E quel piacer che di natura il fiore agli occhi porge, quel simil mel dona che s'io vedessi la propia persona che m'ha accesa del suo dolce amore: quel che mi faccia più il suo odore esprimer nol potrei con la favella, ma i sospir ne son testimon veri. Li quai non escon già mai del mio petto, come dell'altre donne, aspri né gravi, ma se ne vengon fuor caldi e soavi e al mio amor sen vanno nel conspetto: il qual, come gli sente, a dar diletto di sé a me si move e viene in quella ch'i' son per dir: «Deh! vien, ch'i' non disperi.» Assai fu e dal re e da tutte le donne comendata la canzonetta di Neifile; appresso alla quale, per ciò che già molta notte andata n'era, comandò il re che ciascuno per infino al giorno s'andasse a riposare. Assai fu e dal re e da tutte le donne comendata la canzonetta di Neifile; appresso alla quale, per ciò che già molta notte andata n'era, comandò il re che ciascuno per infino al giorno s'andasse a riposare. Decima giornata FINISCE LA NONA GIORNATA DEL DECAMERON: INCOMINCIA LA DECIMA E ULTIMA, NELLA QUALE, SOTTO IL REGGIMENTO DI PANFILO, SI RAGIONA DI CHI LIBERALMENTE O VERO MAGNIFICAMENTE ALCUNA COSA OPERASSE INTORNO A' FATTI D'AMORE O D'ALTRA COSA. Introduzione Ancora eran vermigli certi nuvoletti nell'occidente, essendo già quegli dello oriente nelle loro estremità simili a oro lucentissimi divenuti per li solari raggi che molto loro avvicinandosi li ferieno, quando Panfilo, levatosi, le donne e' suoi compagni fece chiamare. E venuti tutti, con loro insieme diliberato del dove andar potessero al lor diletto, con lento passo si mise innanzi accompagnato da Filomena e da Fiammetta, tutti gli altri apresso seguendogli; e molte cose della loro futura vita insieme parlando e dicendo e rispondendo, per lungo spazio s'andaron diportando; e data una volta assai lunga, cominciando il sole già troppo a riscaldare, al palagio si ritornarono. E quivi dintorno alla chiara fonte, fatti risciacquare i bicchieri, chi volle alquanto bevve, e poi fra le piacevoli ombre del giardino infino a ora di mangiare s'andarono sollazzando. E poi ch'ebber mangiato e dormito, come far soleano, dove al re piacque si ragunarono, e quivi il primo ragionamento comandò il re a Neifile; la quale lietamente così cominciò. 1 Un cavaliere serve al re di Spagna; pargli male esser guiderdonato, per che il re con esperienzia certissima gli mostra non esser colpa di lui ma della sua malvagia fortuna, altamente donandogli poi. –Grandissima grazia, onorabili donne, reputar mi debbo che il nostro re me a tanta cosa, come è a raccontar della magnificenzia, m'abbia preposta: la quale, come il sole è di tutto il cielo bellezza e ornamento, è chiarezza e lume di ciascun'altra virtù. Dironne adunque una novelletta assai leggiadra, al mio parere, la quale ramemorarsi per certo non potrà esser se non utile. Dovete adunque sapere che, tra gli altri valorosi cavalieri che da gran tempo in qua sono stati nella nostra città, fu un di quegli, e forse il più da bene, messer Ruggieri de' Figiovanni; il quale, essendo e ricco e di grande animo e veggendo che, considerata la qualità del vivere e de' costumi di Toscana, egli in quella dimorando poco o niente potrebbe del suo valor dimostrare, prese per partito di volere un tempo essere appresso a Anfonso re di Spagna, la fama del valore del quale quella di ciascun altro signor trapassava a que' tempi; e assai onorevolemente in arme e in cavalli e in compagnia a lui se n'andò in Ispagna, e graziosamente fu dal re ricevuto. Quivi adunque dimorando messer Ruggieri, e splendidamente vivendo e in fatti d'arme maravigliose cose faccendo, assai tosto si fece per valoroso cognoscere. E essendovi già buon tempo dimorato, molto alle maniere del re riguardando, gli parve che esso ora a uno e ora a un altro donasse castella e città e baronie assai poco discretamente, sì come dandole a chi nol valea; e per ciò che a lui, che da quello che egli era si teneva, niente era donato, estimò che molto ne diminuisse la fama sua: per che di partirsi diliberò e al re domandò commiato. Il re gliele concedette, e donogli una delle miglior mule che mai si cavalcasse e la più bella, la quale per lo lungo camino che a fare avea fu cara a messere Ruggieri. Appresso questo, commise il re a un suo discreto famigliare che, per quella maniera che miglior gli paresse, s'ingegnasse di cavalcare con messer Ruggieri in guisa che egli non paresse dal re mandato e ogni cosa che egli dicesse di lui raccogliesse sì che ridire gliele sapesse; e l'altra mattina appresso gli comandasse che egli indietro al re tornasse. Il famigliare, stato attento, come messer Ruggieri uscì della terra, così assai acconciamente con lui si fu accompagnato, dandogli a vedere che esso veniva verso Italia. Cavalcando adunque messer Ruggieri sopra la mula dal re datagli e costui d'una cosa e d'altra parlando, essendo vicino a ora di terza, disse: “Io credo che sia ben fatto che noi diamo stalla a queste bestie.” E entrati in una stalla, tutte l'altre fuor che la mula stallarono; per che cavalcando avanti, stando sempre lo scudiere attento alle parole del cavaliere, vennero a un fiume e quivi, abeverando le lor bestie, la mula stallò nel fiume; il che veggendo messer Ruggieri disse: “Deh! dolente ti faccia Dio, bestia, ché tu se' fatta come il signore che a me ti

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