Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 166

Testo di pubblico dominio

detto per lei, come che gli uomini un cotal proverbio usino: “Buon cavallo e mal cavallo vuole sprone, e buona femina e mala femina vuol bastone”. Le quali parole chi volesse sollazzevolemente interpretare, di leggier si concederebbe da tutte così esser vero; ma pur vogliendole moralmente intendere, dico che è da concedere. Son naturalmente le femine tutte labili e inchinevoli, e per ciò a correggere la iniquità di quelle che troppo fuori de' termini posti loro si lasciano andare si conviene il baston che le punisca; e a sostentar la vertù dell'altre, ché trascorrer non si lascino, si conviene il bastone che le sostenga e che le spaventi. Ma lasciando ora stare il predicare, a quel venendo che di dire ho nell'animo, dico. Che essendo già quasi per tutto il mondo l'altissima fama del miracoloso senno di Salamone discorsa per l'universo e il suo esser di quello liberalissimo mostratore a chiunque per esperienza ne voleva certezza, molti di diverse parti del mondo a lui per loro strettissimi e ardui bisogni concorrevano per consiglio; e tra gli altri che a ciò andavano, si partì un giovane, il cui nome fu Melisso, nobile e ricco molto, della città di Laiazzo, là onde egli era e dove egli abitava. E verso Ierusalem cavalcando, avvenne che uscendo d'Antiocia con un altro giovane chiamato Giosefo, il qual quel medesimo cammin teneva che faceva esso, cavalcò per alquanto spazio; e, come costume è de' camminanti, con lui cominciò a entrare in ragionamenti. Avendo Melisso già da Giosefo di sua condizione e donde fosse saputo, dove egli andasse e perché il domandò; al quale Giosefo disse che a Salamone andava per aver consiglio da lui che via tener dovesse con una sua moglie più che altra femina ritrosa e perversa, la quale egli né con prieghi né con lusinghe né in alcuna altra guisa dalle sue ritrosie ritrar poteva; e appresso lui similmente donde fosse e dove andasse e perché domandò. Al quale Melisso rispose: “Io son di Laiazzo, e sì come tu hai una disgrazia, così n'ho io un'altra; io son ricco giovane e spendo il mio in metter tavola e onorare i miei cittadini, e è nuova e strana cosa a pensare che per tutto questo io non posso trovare uomo che ben mi voglia; e per ciò io vado dove tu vai, per aver consiglio come addivenir possa che io amato sia.” Camminarono adunque i due compagni insieme, e in Ierusalem pervenuti, per introdotto d'un de' baroni di Salomone, davanti dal lui furon messi; al quale brievemente Melisso disse la sua bisogna; a cui Salamone rispose: “Ama.” E detto questo, prestamente Melisso fu messo fuori, e Giosefo disse quello per che v'era; al quale Salamone nulla altro rispose se non: “Va al Ponte all'Oca”; il che detto, similmente Giosefo fu senza indugio dalla presenza del re levato, e ritrovò Melisso il quale l'aspettava e dissegli ciò che per risposta aveva avuto. Li quali, a queste parole pensando e non potendo d'esse comprendere né intendimento né frutto alcuno per la loro bisogna, quasi scornati a ritornarsi indietro entrarono in cammino. E poi che alquante giornate camminati furono, pervennero a un fiume sopra il quale era un bel ponte; e per ciò che una gran carovana di some sopra muli e sopra cavalli passavano, gli convenne sofferir di passar tanto che quelle passate fossero. E essendo già quasi che tutte passate, per ventura v'ebbe un mulo il quale adombrò, sì come sovente gli veggiam fare, né volea per alcuna maniera avanti passare: per la qual cosa un mulattiere, presa una stecca, prima assai temperatamente lo 'ncominciò a battere perché 'l passasse. Ma il mulo, ora da questa parte della via e ora da quella attraversandosi e talvolta indietro tornando, per niun partito passar volea: per la qual cosa il mulattiere oltre modo adirato gl'incominciò con la stecca a dare i maggior colpi del mondo, ora nella testa e ora ne' fianchi e ora sopra la groppa; ma tutto era nulla. Per che Melisso e Giosefo, li quali questa cosa stavano a vedere, sovente dicevano al mulattiere: “Deh, cattivo, che farai? vuoil tu uccidere? perché non t'ingegni tu di menarlo bene e pianamente? Egli verrà più tosto che a bastonarlo come tu fai.” A' quali il mulattier rispose: “Voi conoscete i vostri cavalli, e io conosco il mio mulo: lasciate far me con lui”; e questo detto rincominciò a bastonarlo, e tante d'una parte e d'altra ne gli diè, che il mulo passò avanti, sì che il mulattiere vinse la pruova. Essendo adunque i due giovani per partirsi, domandò Giosefo un buono uomo, il quale a capo del ponte sedeva, come quivi si chiamasse; al quale il buono uomo rispose: “Messer, qui si chiama il Ponte all'Oca.” Il che come Giosefo ebbe udito, così si ricordò delle parole di Salamone e disse verso Melisso: “Or ti dico io, compagno, che il consiglio datomi da Salamone potrebbe esser buono e vero, per ciò che assai manifestamente conosco che io non sapeva battere la donna mia: ma questo mulattiere m'ha mostrato quello che io abbia a fare.” Quindi, dopo alquanti dì divenuti a Antiocia, ritenne Giosefo Melisso seco a riposarsi alcun dì; e essendo assai ferialmente dalla donna ricevuto, le disse che così facesse far da cena come Melisso divisasse; il quale, poi vide che a Giosefo piaceva, in poche parole se ne dilivrò. La donna, sì come per lo passato era usata, non come Melisso divisato avea, ma quasi tutto il contrario fece. Il che Giosefo vedendo, turbato disse: “Non ti fu egli detto in che maniera tu facessi questa cena fare?” La donna, rivoltasi con orgoglio, disse: “Ora che vuol dir questo? deh! ché non ceni, se tu vuoi cenare? Se mi fu detto altramenti, a me parve da far così; se ti piace, sì ti piaccia; se non, sì te ne sta.” Maravigliossi Melisso della risposta della donna e biasimolla assai: Giosefo, udendo questo, disse: “Donna, ancor se' tu quel che tu suogli, ma credimi che io ti farò mutar modo”; e a Melisso rivolto disse: “Amico, tosto vedremo chente sia stato il consiglio di Salamone; ma io ti priego non ti sia grave lo stare a vedere e di reputare per un giuco quello che io farò. E acciò che tu non m'impedischi, ricorditi della risposta che ci fece il mulattiere quando del suo mulo c'increbbe.” Al quale Melisso disse: “Io sono in casa tua, dove dal tuo piacere io non intendo di mutarmi.” Giosefo, trovato un baston tondo d'un querciuolo giovane, se n'andò in camera, dove la donna, per istizza da tavola levatasi, brontolando se n'era andata; e presala per le trecce, la si gittò a' piedi e cominciolla fieramente a battere con questo bastone. La donna cominciò prima a gridare e poi a minacciare; ma veggendo che per tutto ciò Giosefo non ristava, già tutta rotta cominciò a chieder mercé per Dio che egli non l'uccidesse, dicendo oltre a ciò di mai dal suo piacer non partirsi. Giosefo per tutto questo non rifinava, anzi con più furia l'una volta che l'altra, or per lo costato, ora per l'anche e ora su per le spalle battendola forte, l'andava le costure ritrovando, né prima ristette che egli fu stanco: e in brieve niuno osso né alcuna parte rimase nel dosso della buona donna, che macerata non fosse. E questo fatto, ne venne a Melisso e dissegli: “Doman vedrem che pruova avrà fatto il consiglio del «Va al Ponte all'Oca»”; e riposatosi alquanto e poi lavatesi le mani, con Melisso cenò, e quando fu tempo s'andarono a diposare. La donna cattivella a gran fatica si levò di terra e in su il letto si gittò, dove, come poté il meglio, riposatasi, la mattina vegnente per tempissimo levatasi fé domandar Giosefo quello che voleva si facesse da desinare. Egli, di ciò insieme ridendosi con Melisso, il divisò; e poi, quando fu ora, tornati, ottimamente ogni cosa e secondo l'ordine dato trovaron fatta: per la qual cosa il consiglio prima da lor male inteso sommamente lodarono. E dopo alquanti dì partitosi Melisso da Giosefo e tornato a casa sua, a alcun, che savio uomo era, disse ciò che da Salamone avuto avea; il quale gli disse:

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