Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 50

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dì morto il lor castaldo, di pari consentimento, apertosi tra tutte ciò che per adietro da tutte era stato fatto, con piacer di Masetto ordinarono che le genti circunstanti credettero che, per le loro orazioni e per li meriti del santo in cui intitolato era il monistero, a Masetto stato lungamente mutolo la favella fosse restituita; e lui castaldo fecero e per sì fatta maniera le sue fatiche partirono, che egli le poté comportare. Nelle quali, come che esso assai monachin generasse, pur sì discretamente procedette la cosa, che niente se ne sentì se non dopo la morte della badessa, essendo già Masetto presso che vecchio e disideroso di tornarsi ricco a casa sua; la qual cosa, saputa, di leggier gli fece venir fatto. Così adunque Masetto vecchio, padre e ricco, senza aver fatica di nutricare i figliuoli o spesa di quegli, per lo suo avvedimento avendo saputo la sua giovanezza bene adoperare, donde con una scure in collo partito s'era se ne tornò, affermando che così trattava Cristo chi gli poneva le corna sopra 'l cappello.– 2 Un pallafreniere giace con la moglie d'Agilulf re, di che Agilulf tacitamente s'accorge; truovalo e tondalo; il tonduto tutti gli altri tonde, e così scampa della mala ventura. Essendo la fine venuta della novella di Filostrato, della quale erano alcuna volta un poco le donne arrossate e alcuna altra se n'avean riso, piacque alla reina che Pampinea novellando seguisse: la quale con ridente viso incominciando disse: –Sono alcuni sì poco discreti nel voler pur mostrare di conoscere e di sentire quello che per loro non fa di sapere, che alcuna volta per questo, riprendendo i disaveduti difetti in altrui, si credono la lor vergogna scemare là dove essi l'acrescono in infinito: e che ciò sia vero nel suo contrario, mostrandovi l'astuzia d'un forse di minor valore tenuto che Masetto, nel senno d'un valoroso re, vaghe donne, intendo che per me vi sia dimostrato. Agilulf, re de' longobardi, sì come i suoi predecessori, in Pavia, città di Lombardia, avevan fatto, fermò il solio del suo regno, avendo presa per moglie Teudelinga, rimasa vedova d'Auttari, re stato similmente de' longobardi: la quale fu bellissima donna, savia e onesta molto ma male avventurata in amadore. E essendo alquanto per la vertù e per lo senno di questo re Agilulf le cose de' longobardi prospere e in quiete, adivenne che un pallafreniere della detta reina, uomo quanto a nazione di vilissima condizione ma per altro da troppo più che da così vil mestiere, e della persona bello e grande così come il re fosse, senza misura della reina s'innamorò. E per ciò che il suo basso stato non gli avea tolto che egli non conoscesse questo suo amore esser fuori d'ogni convenienza, sì come savio a niuna persona il palesava né eziandio a lei con gli occhi ardiva discoprirlo. E quantunque senza alcuna speranza vivesse di dover mai a lei piacere, pur seco si gloriava che in alta parte avesse allogati i suoi pensieri; e, come colui che tutto ardeva in amoroso fuoco, studiosamente faceva, oltre a ogni altro de' suoi compagni, ogni cosa la qual credeva che alla reina dovesse piacere. Per che intervenia che la reina, dovendo cavalcare, più volentieri il pallafreno da costui guardato cavalcava che alcuno altro: il che quando avveniva, costui in grandissima grazia sel reputava e mai dalla staffa non le si partiva, beato tenendosi qualora pure i panni toccar le poteva. Ma come noi veggiamo assai sovente avvenire, quando la speranza diventa minore tanto l'amor maggior farsi, così in questo povero pallafreniere avvenia, in tanto che gravissimo gli era il poter comportare il gran disio così nascoso come facea, non essendo da alcuna speranza atato; e più volte seco, da questo amor non potendo disciogliersi, diliberò di morire. E pensando seco del modo, prese per partito di volere questa morte per cosa per la quale apparisse lui morire per l'amore che alla reina aveva portato e portava: e questa cosa propose di voler che tal fosse, che egli in essa tentasse la sua fortuna in potere o tutto o parte aver del suo disidero. Né si fece a voler dir parole alla reina o a voler per lettere far sentire il suo amore, ché sapeva che invano o direbbe o scriverebbe, ma a voler provare se per ingegno con la reina giacer potesse; né altro ingegno né via c'era se non trovar modo come egli in persona del re, il quale sapea che del continuo con lei non giacea, potesse a lei pervenire e nella sua camera entrare. Per che, acciò che vedesse in che maniera e in che abito il re, quando a lei andava, andasse, più volte di notte in una gran sala del palagio del re, la quale in mezzo era tra la camera del re e quella della reina, si nascose: e intra l'altre una notte vide il re uscire della sua camera inviluppato in un gran mantello e aver dall'una mano un torchietto acceso e dall'altra una bacchetta, e andare alla camera della reina e senza dire alcuna cosa percuotere una volta o due l'uscio della camera con quella bacchetta e incontanente essergli aperto e toltogli di mano il torchietto. La qual cosa veduta, e similmente vedutolo ritornare, pensò di così dover fare egli altressì: e trovato modo d'avere un mantello simile a quello che al re veduto avea e un torchietto e una mazzuola, e prima in una stufa lavatosi bene acciò che non forse l'odor del letame la reina noiasse o la facesse accorgere dello inganno, con queste cose, come usato era, nella gran sala si nascose. E sentendo che già per tutto si dormia e tempo parendogli o di dovere al suo disiderio dare effetto o di far via con alta cagione alla bramata morte, fatto con la pietra e con l'acciaio che seco portato avea un poco di fuoco, il suo torchietto accese e chiuso e avviluppato nel mantello se n'andò all'uscio della camera e due volte il percosse con la bacchetta. La camera da una cameriera tutta sonnacchiosa fu aperta e il lume preso e occultato: laonde egli, senza alcuna cosa dire, dentro alla cortina trapassato e posato il mantello, se n'entrò nel letto nel quale la reina dormiva. Egli disiderosamente in braccio recatalasi, mostrandosi turbato, per ciò che costume del re esser sapea che quando turbato era niuna cosa voleva udire, senza dire alcuna cosa o senza essere a lui detta più volte carnalmente la reina cognobbe. E come che grave gli paresse il partire, pur temendo non la troppo stanza gli fosse cagione di volgere l'avuto diletto in tristizia, si levò e ripreso il suo mantello e il lume, senza alcuna cosa dire, se n'andò e come più tosto poté si tornò al letto suo. Nel quale appena ancora esser potea, quando il re, levatosi, alla camera andò della reina, di che ella si maravigliò forte; e essendo egli nel letto entrato e lietamente salutatala, ella, dalla sua letizia preso ardire, disse: “O signor mio, questa che novità è stanotte? voi vi partite pur testé da me e oltre l'usato modo di me avete preso piacere, e così tosto da capo ritornate? Guardate ciò che voi fate.” Il re, udendo queste parole, subitamente presunse la reina da similitudine di costumi e di persona essere stata ingannata, ma come savio subitamente pensò, poi vide la reina accorta non se ne era né alcuno altro, di non volernela fare accorgere: il che molti sciocchi non avrebbon fatto ma avrebbon detto: “Io non ci fui io: chi fu colui che ci fu? come andò? chi ci venne?” Di che molte cose nate sarebbono, per le quali egli avrebbe a torto contristata la donna e datale materia di disiderare altra volta quello che già sentito avea: e quello che tacendo niuna vergogna gli poteva tornare, parlando s'arebbe vitupero recato. Risposele adunque il re, più nella mente che nel viso o che nelle parole turbato: “Donna, non vi sembro io uomo da poterci altra volta essere stato e ancora appresso questa tornarci?” A cui la donna rispose: “Signor mio, sì; ma tuttavia io vi priego che voi guardiate alla vostra salute.” Allora il re disse: “E egli mi piace di seguire il vostro consiglio, e questa volta senza darvi più

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