Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 91

Testo di pubblico dominio

giovani richesti che suoi amici erano, e fatto segretamente un legno armare con ogni cosa oportuna a battaglia navale, si misse in mare, attendendo il legno sopra il quale Efigenia trasportata doveva essere in Rodi al suo marito. La quale, dopo molto onore fatto dal padre di lei agli amici del marito, entrata in mare, verso Rodi dirizzaron la proda e andar via. Cimone, il quale non dormiva, il dì seguente col suo legno gli sopragiunse, e di 'n su la proda a quegli che sopra il legno d'Efigenia erano forte gridò: “Arrestatevi, calate le vele, o voi aspettate d'esser vinti e sommersi in mare.” Gli avversarii di Cimone avevano l'arme tratte sopra coverta e di difendersi s'apparecchiavano: per che Cimone, dopo le parole preso un rampicone di ferro, quello sopra la poppa de' rodiani, che via andavan forte, gittò e quella alla proda del suo legno per forza congiunse; e fiero come un leone, sanza altro seguito d'alcuno aspettare, sopra la nave de' rodiani saltò, quasi tutti per niente gli avesse; e spronandolo amore, con maravigliosa forza fra' nemici con un coltello in man si mise e or questo e or quello ferendo quasi pecore gli abbattea. Il che vedendo i rodiani, gittando in terra l'armi, quasi a una voce tutti si confessaron prigioni. Alli quali Cimon disse: “Giovani uomini, né vaghezza di preda né odio che io abbia contra di voi mi fece partir di Cipri a dovervi in mezzo mare con armata mano assalire. Quel che mi mosse è a me grandissima cosa a avere acquistata e a voi è assai leggiera a concederlami con pace: e ciò è Efigenia, da me sopra ogni altra cosa amata, la quale non potendo io avere dal padre di lei come amico e con pace, da voi come nemico e con l'armi m'ha costretto amore a acquistarla. E per ciò intendo io d'esserle quello che esserle dovea il vostro Pasimunda: datelami e andate con la grazia di Dio.” I giovani, li quali più forza che liberalità costrignea, piagnendo Efigenia a Cimon concedettono; il quale vedendola piagnere disse: “Nobile donna, non ti sconfortare; io sono il tuo Cimone, il quale per lungo amore t'ho molto meglio meritata d'avere che Pasimunda per promessa fede.” Tornossi adunque Cimone, lei già avendo sopra la sua nave fatta portare senza alcuna altra cosa toccare de' rodiani, a' suoi compagni, e loro lasciò andare. Cimone adunque, più che altro uomo contento dell'acquisto di così cara preda, poi che alquanto di tempo ebbe posto in dover lei piagnente racconsolare, diliberò co' suoi compagni non essere da tornare in Cipri al presente: per che, di pari diliberazion di tutti, verso Creti, dove quasi ciascuno e massimamente Cimone per antichi parentadi e novelli e per molta amistà si credevano insieme con Efigenia esser sicuri, dirizzaron la proda della lor nave. Ma la fortuna, la quale assai lietamente l'acquisto della donna avea conceduto a Cimone, non stabile, subitamente in tristo e amaro pianto mutò la inestimabile letizia dello innamorato giovane. Egli non erano ancora quatro ore compiute poi che Cimone li rodiani aveva lasciati, quando, sopravegnente la notte, la quale Cimone più piacevole che alcuna altra sentita giammai aspettava, con essa insieme surse un tempo fierissimo e tempestoso, il quale il cielo di nuvoli e 'l mare di pistilenziosi venti riempié; per la qual cosa né poteva alcun veder che si fare o dove andarsi, né ancora sopra la nave tenersi a dover fare alcun servigio. Quanto Cimone di ciò si dolesse non è da dimandare. Egli pareva che gl'iddii gli avessero conceduto il suo disio acciò che più noia gli fosse il morire, del quale senza esso prima si sarebbe poco curato. Dolevansi similmente i suoi compagni, ma sopra tutti si doleva Efigenia, forte piangendo e ogni percossa dell'onda temendo: e nel suo pianto aspramente maladiceva l'amor di Cimone e biasimava il suo ardire, affermando per niuna altra cosa quella tempestosa fortuna esser nata, se non perché gl'iddii non volevano che colui, il quale lei contra li lor piaceri voleva aver per isposa, potesse del suo presuntuoso disiderio godere, ma vedendo lei prima morire egli appresso miseramente morisse. Con così fatti lamenti e con maggiori, non sappiendo che farsi i marinari, divenendo ognora il vento più forte, senza sapere conoscere dove s'andassero, vicini all'isola di Rodi pervennero; né conoscendo per ciò che Rodi si fosse quella, con ogni ingegno, per campar le persone, si sforzarono di dovere in essa pigliar terra se si potesse. Alla qual cosa la fortuna fu favorevole e lor perdusse in un piccolo seno di mare, nel quale poco avanti a loro li rodiani stati da Cimon lasciati erano con la lor nave pervenuti; né prima s'accorsero sé avere all'isola di Rodi afferrato che, surgendo l'aurora e alquanto rendendo il cielo più chiaro, si videro forse per una tratta d'arco vicini alla nave il giorno davanti da lor lasciata. Della qual cosa Cimone senza modo dolente, temendo non gli avvenisse quello che gli avvenne, comandò che ogni forza si mettesse a uscir quindi, e poi dove alla fortuna piacesse gli trasportasse, per ciò che in alcuna parte peggio che quivi esser non poteano. Le forze si misero grandi a dovere di quindi uscire ma invano: il vento potentissimo poggiava in contrario, in tanto che, non che essi del picciol seno uscir potessero, ma, o volessero o no, gli sospinse alla terra. Alla quale come pervennero, dalli marinari rodiani della lor nave discesi furono riconosciuti; de' quali prestamente alcun corse a una villa ivi vicina dove i nobili giovani rodiani n'erano andati, e loro narrò quivi Cimone con Efigenia sopra la lor nave per fortuna, sì come loro, essere arrivati. Costoro udendo questo lietissimi, presi molti degli uomini della villa, prestamente furono al mare; e Cimone, che già co' suoi disceso aveva preso consiglio di fuggire in alcuna selva vicina, insieme tutti con Efigenia furon presi e alla villa menati; e di quindi, venuto dalla città Lisimaco, appo il quale quello anno era il sommo maestrato de' rodiani, con grandissima compagnia d'uomini d'arme, Cimone e' suoi compagni tutti ne menò in prigione, sì come Pasimunda, al quale le novelle eran venute, aveva, col senato di Rodi dolendosi, ordinato. In così fatta guisa il misero e innamorato Cimone perdé la sua Efigenia poco davanti da lui guadagnata, senza altro averle tolto che alcun bascio. Efigenia da molte nobili donne di Rodi fu ricevuta e riconfortata sì del dolore avuto della sua presura e sì della fatica sostenuta del turbato mare; e appo quelle stette infino al giorno diterminato alle sue nozze. A Cimone e a' suoi compagni, per la libertà il dì davanti data a' giovani rodiani, fu donata la vita, la qual Pasimunda a suo poter sollecitava di far lor torre, e a prigion perpetua fur dannati: nella quale, come si può credere, dolorosi stavano e senza speranza mai d'alcun piacere. Ma Pasimunda quanto poteva l'apprestamento sollecitava delle future nozze. La fortuna, quasi pentuta della subita iniuria fatta a Cimone, nuovo accidente produsse per la sua salute. Aveva Pasimunda un fratello minor di tempo di lui ma non di virtù, il quale avea nome Ormisda, stato in lungo trattato di dover torre per moglie una nobile giovane e bella della città, e era chiamata Cassandrea, la quale Lisimaco sommamente amava; e erasi il matrimonio per diversi accidenti più volte frastornato. Ora veggendosi Pasimunda per dovere con grandissima festa celebrare le sue nozze, pensò ottimamente esser fatto se in questa medesima festa, per non tornare più alle spese e al festeggiare, egli potesse fare che Ormisda similmente menasse moglie: per che co' parenti di Cassandrea rincominciò le parole e perdussele a effetto; e insieme egli e 'l fratello con loro diliberarono che quello medesimo dì che Pasimunda menasse Efigenia, quello Ormisda menasse Cassandrea. La qual cosa sentendo Lisimaco, oltre modo gli dispiacque, per ciò che si vedeva della sua speranza privare, nella quale portava che, se Ormisda non la prendesse, fermamente doverla avere

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Argomenti: lungo amore,    piccolo seno,    nuovo accidente,    uomo contento,    lungo trattato

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