Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 107

Testo di pubblico dominio

“Ecco belle cose! ecco buona e santa donna che costei dee essere! ecco fede d'onesta donna, che mi sarei confessata da lei, sì spirital mi parea! e peggio, che essendo ella oggimai vecchia dà molto buono essemplo alle giovani! Che maladetta sia l'ora che ella nel mondo venne e ella altressì che viver si lascia, perfidissima e rea femina che ella dee essere, universal vergogna e vitupero di tutte le donne di questa terra: la quale, gittata via la sua onestà e la fede promessa al suo marito e l'onor di questo mondo, lui, che è così fatto uomo e così onorevole cittadino e che così ben la trattava, per un altro uomo non s'è vergognata di vituperare e se medesima insieme con lui. Se Dio mi salvi, di così fatte femine non si vorrebbe avere misericordia: elle si vorrebbero uccidere, elle si vorrebbon vive vive metter nel fuoco e farne cenere!” Poi, del suo amico ricordandosi, il quale ella sotto la cesta assai presso di quivi aveva, cominciò a pregar Pietro che s'andasse a letto, per ciò che tempo n'era. Pietro, che maggior voglia aveva di mangiare che di dormire, domandava pure se da cena cosa alcuna vi fosse, a cui la donna rispondeva: “Sì da cena ci ha! noi siamo molto usate di far da cena, quando tu non ci se'! Sì, che io sono la moglie d'Ercolano! Deh, ché non vai dormi per istasera? quanto farai meglio!” Avvenne che, essendo la sera certi lavoratori di Pietro venuti con certe cose dalla villa e avendo messi gli asini loro, senza dar lor bere, in una stalletta la quale allato alla loggetta era, l'un degli asini, che grandissima sete avea, tratto il capo del capestro era uscito della stalla e ogni cosa andava fiutando se forse trovasse dell'acqua; e così andando s'avenne per mei la cesta sotto la quale era il giovinetto. Il quale avendo, per ciò che carpone gli convenia stare, alquanto le dita dell'una mano stese in terra fuori della cesta, tanta fu la sua ventura, o sciagura che vogliam dire, che questo asino ve gii pose sù piede, laonde egli, grandissimo dolor sentendo, mise un grande strido. Il quale udendo Pietro si maravigliò e avvidesi ciò esser dentro alla casa; per che, uscito della camera e sentendo ancora costui ramaricarsi, non avendogli ancora l'asino levato il piè d'in su le dita ma premendol tuttavia forte, disse: “Chi è là?” e corso alla cesta e quella levata, vide il giovinetto, al quale, oltre al dolore avuto delle dita premute dal piè dell'asino, tutto di paura tremava che Pietro alcun male non gli facesse. Il quale essendo da Pietro riconosciuto, sì come colui a cui Pietro per le sue cattività era andato lungamente dietro, essendo da lui domandato: “Che fai tu qui?” niente a ciò gli rispose ma pregollo che per l'amor di Dio non gli dovesse far male. A cui Pietro disse: “Leva sù, non dubitare che io alcun mal ti faccia: ma dimmi come tu se' qui e perché.” Il giovinetto gli disse ogni cosa; il quale Pietro, non men lieto d'averlo trovato che la sua donna dolente, presolo per mano con seco nel menò nella camera nella quale la donna con la maggior paura del mondo l'aspettava. Alla quale Pietro postosi a seder di rimpetto disse: “Or tu maladicevi così testé la moglie d'Ercolano e dicevi che arder si vorrebbe e che ella era vergogna di tutte voi: come non dicevi di te medesima? o se di te dir non volevi, come ti sofferiva l'animo di dir di lei, sentendoti quello medesimo aver fatto che ella fatto avea? Certo niuna altra cosa vi t'induceva se non che voi siete tutte così fatte, e con l'altrui colpe guatate di ricoprire i vostri falli: che venir possa fuoco da cielo che tutte v'arda, generazion pessima che voi siete!” La donna, veggendo che egli nella prima giunta altro male che di parole fatto non l'avea e parendole conoscere lui tutto gongolare per ciò che per man tenea un così bel giovinetto, prese cuore e disse: “Io ne son molto certa che tu vorresti che fuoco venisse da cielo che tutte ci ardesse, sì come colui che se' così vago di noi come il can delle mazze; ma alla croce di Dio egli non ti verrà fatto. Ma volentieri farei un poco ragione con esso teco per sapere di che tu ti ramarichi: e certo io starei pur bene se tu alla moglie d'Ercolano mi volessi agguagliare, la quale è una vecchia picchiapetto spigolistra e ha da lui ciò che ella vuole, e tienla cara come si dee tener moglie, il che a me non avviene. Ché, posto che io sia da te ben vestita e ben calzata, tu sai bene come io sto d'altro e quanto tempo egli ha che tu non giacesti con meco; e io vorrei innanzi andar con gli stracci indosso e scalza e esser ben trattata da te nel letto, che aver tutte queste cose trattandomi come tu mi tratti. E intendi sanamente, Pietro, che io son femina come l'altre e ho voglia di quel che l'altre, sì che, perché io me ne procacci, non avendone da te, non è da dirmene male: almeno ti fo io cotanto d'onore, che io non mi pongo né con ragazzi né con tignosi.” Pietro s'avide che le parole non eran per venir meno in tutta notte; per che, come colui che poco di lei curava, disse: “Or non più, donna: di questo ti contenterò io bene; farai tu gran cortesia di fare che noi abbiamo da cena qualche cosa, ché mi pare che questo garzone altressì, ben com'io, non abbia ancor cenato.” “Certo no, “ disse la donna “che egli non ha ancor cenato; ché quando tu nella tua malora venisti ci ponavam noi a tavola per cenare.” “Or va dunque, “ disse Pietro “fa che noi ceniamo, e appresso io disporrò di questa cosa in guisa che tu non t'avrai che ramaricare.” La donna levata sù, udendo il marito contento, prestamente fatta rimetter la tavola, fece venir la cena la quale apparecchiata avea, e insieme col suo cattivo marito e col giovane lietamente cenò. Dopo la cena quello che Pietro si divisasse a sodisfacimento di tutti e tre m'è uscito di mente; so io ben cotanto, che la mattina vegnente infino in su la Piazza fu il giovane, non assai certo qual più stato si fosse la notte o moglie o marito, accompagnato. Per che così vi vo' dire, donne mie care, che chi te la fa, fagliele; e se tu non puoi, tienloti a mente fin che tu possa, acciò che quale asino dà in parete tal riceva.– Conclusione Essendo adunque la novella di Dioneo finita, meno per vergogna dalle donne risa che per poco diletto, e la reina conoscendo che il fine del suo ragionamento era venuto, levatasi in piè e trattasi la corona dello alloro, quella piacevolmente mise in capo a Elissa dicendole:–A voi, madonna, sta omai il comandare.– Elissa, ricevuto l'onore, sì come per adietro era stato fatto così fece ella: ché dato col siniscalco primieramente ordine a ciò che bisogno facea per lo tempo della sua signoria, con contentamento della brigata disse:–Noi abbiamo già molte volte udito che con be' motti o con risposte pronte o con avvedimenti presti molti hanno già saputo con debito morso rintuzzare gli altrui denti o i sopravegnenti pericoli cacciar via; e per ciò che la materia è bella e può essere utile, voglio che domane con l'aiuto di Dio infra questi termini si ragioni, cioè di chi, con alcun leggiadro motto tentato, si riscotesse, o con pronta risposta o avvedimento fuggì perdita o pericolo o scorno.– Questo fu commendato molto da tutti: per la qual cosa la reina levatasi in piè loro tutti infino all'ora della cena licenziò. L'onesta brigata, vedendo la reina levata, tutta si dirizzò, e, secondo il modo usato, ciascuno a quello che più diletto gli era si diede. Ma essendo già di cantar le cicale ristate, fatto ogn'uom richiamare, a cena andarono; la quale con lieta festa fornita, a cantare e a sonare tutti si diedero. E avendo già con volere della reina Emilia una danza presa, a Dioneo fu comandato che cantasse una canzone. Il quale prestamente cominciò Monna Aldruda, levate la coda, Ché buone novelle vi reco. Di che tutte le donne cominciarono a ridere, e massimamente la reina, la quale gli comandò che quella lasciasse e dicessene un'altra. Disse Dioneo:–Madonna, se

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Argomenti: mattina vegnente,    onorevole cittadino,    cattivo marito,    leggiadro motto

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