Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 116

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moltitudine ebbe con ammirazione reverentemente guardati, con grandissima calca tutti s'appressarono a frate Cipolla e, migliori offerte dando che usati non erano, che con essi gli dovesse toccare il pregava ciascuno. Per la qual cosa frate Cipolla, recatisi questi carboni in mano, sopra li lor camiscion bianchi e sopra i farsetti e sopra li veli delle donne cominciò a fare le maggior croci che vi capevano, affermando che tanto quanto essi scemavano a far quelle croci, poi ricrescevano nella cassetta, sì come egli molte volte aveva provato. E in cotal guisa, non senza sua grandissima utilità avendo tutti crociati i certaldesi, per presto accorgimento fece coloro rimanere scherniti, che lui, togliendogli la penna, avevan creduto schernire. Li quali stati alla sua predica e avendo udito il nuovo riparo preso da lui e quanto da lungi fatto si fosse e con che parole, avevan tanto riso, che eran creduti smascellare. E poi che partito si fu il vulgo, a lui andatisene, con la maggior festa del mondo ciò che fatto avevan gli discoprirono e appresso gli renderono la sua penna; la quale l'anno seguente gli valse non meno che quel giorno gli fosser valuti i carboni.– Conclusione Questa novella porse igualmente a tutta la brigata grandissimo piacere e sollazzo, e molto per tutti fu riso di fra Cipolla e massimamente del suo pellegrinaggio e delle reliquie così da lui vedute come recate; la quale la reina sentendo esser finita, e similmente la sua signoria, levata in piè, la corona si trasse e ridendo la mise in capo a Dioneo, e disse:–Tempo è, Dioneo, che tu alquanto pruovi che carico sia l'aver donne a reggere e a guidare: sii adunque re e sì fattamente ne reggi, che del tuo reggimento nella fine ci abbiamo a lodare.– Dioneo, presa la corona, ridendo rispose:–Assai volte già ne potete aver veduti, io dico delli re da scacchi, troppo più cari che io non sono; e per certo, se voi m'ubidiste come vero re si dee ubidire, io vi farei goder di quello senza il che per certo niuna festa compiutamente è lieta. Ma lasciamo star queste parole: io reggerò come io saprò.–E fattosi secondo il costume usato venire il siniscalco, ciò che a fare avesse quanto durasse la sua signoria ordinatamente gl'impose, e appresso disse:–Valorose donne, in diverse maniere ci s'è della umana industria e de' casi varii ragionato tanto, che, se donna Licisca non fosse poco avanti qui venuta, la quale con le sue parole m'ha trovata materia a' futuri ragionamenti di domane, io dubito che io non avessi gran pezza penato a trovar tema da ragionare. Ella, come voi udiste, disse che vicina non aveva che pulcella ne fosse andata a marito e sogiunse che ben sapeva quante e quali beffe le maritate ancora facessero a' mariti. Ma lasciando stare la prima parte, che è opera fanciullesca, reputo che la seconda debbia esser piacevole a ragionarne, e per ciò voglio che domane si dica, poi che donna Licisca data ce n'ha cagione, delle beffe le quali o per amore o per salvamento di loro le donne hanno già fatte a' lor mariti, senza essersene essi o avveduti o no.– Il ragionare di sì fatta materia pareva a alcuna delle donne che male a lor si convenisse, e pregavanlo che mutasse la proposta già detta; alle quali il re rispose:–Donne, io conosco ciò che io ho imposto non meno che facciate voi, e da imporlo non mi poté istorre quello che voi mi volete mostrare, pensando che il tempo è tale che, guardandosi e gli uomini e le donne d'operar disonestamente, ogni ragionare è conceduto. Or non sapete voi che, per la perversità di questa stagione, li giudici hanno lasciati i tribunali? le leggi, così le divine come le umane, tacciono? e ampia licenzia per conservar la vita è conceduta a ciascuno? Per che, se alquanto s'allarga la vostra onestà nel favellare, non per dover con l'opere mai alcuna cosa sconcia seguire ma per dar diletto a voi e a altrui, non veggio con che argomento da concedere vi possa nello avvenire riprendere alcuno. Oltre a questo la nostra brigata, dal primo dì infino a questa ora stata onestissima, per cosa che detta ci si sia non mi pare che in atto alcuno si sia maculata né si maculerà con l'aiuto di Dio. Appresso, chi è colui che non conosca la vostra onestà? La quale non che i ragionamenti sollazzevoli ma il terrore della morte non credo che potesse smagare. E a dirvi il vero, chi sapesse che voi vi cessaste da queste ciance ragionare alcuna volta forse suspicherebbe che voi in ciò foste colpevoli, e per ciò ragionare non ne voleste. Senza che voi mi fareste un bello onore, essendo io stato ubidente a tutti, e ora, avendomi vostro re fatto, mi voleste la legge porre in mano, e di quello non dire che io avessi imposto. Lasciate adunque questa suspizione più atta a' cattivi animi che a' nostri, e con la buona ventura pensi ciascuna di dirla bella.–Quando le donne ebbero udito questo, dissero che così fosse come gli piacesse: per che il re per infino a ora di cena di fare il suo piacere diede licenzia a ciascuno. Era ancora il sole molto alto, per ciò che il ragionamento era stato brieve: per che, essendosi Dioneo con gli altri giovani messo a giucare a tavole, Elissa, chiamate l'altre donne da una parte, disse:–Poi che noi fummo qui, ho io disiderato di menarvi in parte assai vicina di questo luogo, dove io non credo che mai alcuna fosse di voi, e chiamavisi la Valle delle Donne, né ancora vidi tempo da potervi quivi menare se non oggi, sì è alto ancora il sole: e per ciò, se di venirvi vi piace, io non dubito punto che quando vi sarete non siate contentissime d'esservi state.– Le donne risposono che erano apparecchiate; e chiamata una delle lor fanti, senza farne alcuna cosa sentire a' giovani, si misero in via: né guari più d'un miglio furono andate, che alla Valle delle Donne pervennero. Dentro dalla quale per una via assai stretta, dall'una delle parti della qual è un chiarissimo fiumicello, entrarono, e viderla tanto bella e tanto dilettevole, e spezialmente in quel tempo che era il caldo grande, quanto più si potesse divisare. E secondo che alcuna di lor poi mi ridisse, il piano, che nella valle era, così era ritondo come se a sesta fosse stato fatto, quantunque artificio della natura e non manual paresse: e era di giro poco più che un mezzo miglio, intorniato di sei montagnette di non troppa altezza, e in su la sommità di ciascuna si vedeva un palagio quasi in forma fatto d'un bel castelletto. Le piagge delle quali montagnette così digradando giuso verso il pian discendevano, come ne' teatri veggiamo dalla lor sommità i gradi infino all'infimo venire successivamente ordinati, sempre ristrignendo il cerchio loro. E erano queste piagge, quante alla piaga del mezzogiorno ne riguardavano, tutte di vigne, d'ulivi, di mandorli, di ciriegi, di fichi e d'altre maniere assai d'albori fruttiferi piene senza spanna perdersene. Quelle le quali il carro di tramontana guardava, tutte eran boschetti di querciuoli, di frassini e d'altri arberi verdissimi e ritti quanto più esser poteano. Il piano appresso, senza aver più entrate che quella donde le donne venute v'erano, era pieno d'abeti, di cipressi, d'allori e d'alcun pini sì ben composti e sì bene ordinati, come se qualunque è di ciò il migliore artefice gli avesse piantati: e fra essi poco sole o niente, allora che egli era alto, entrava infino al suolo, il quale era tutto un prato d'erba minutissima e piena di fiori porporini e d'altri. E oltre a questo, quel che non meno di diletto che altro porgeva era un fiumicello il quale d'una delle valli, che due di quelle montagnette dividea, cadeva giù per balzi di pietra viva, e cadendo faceva un romore a udire assai dilettevole, e sprizzando pareva da lungi ariento vivo che d'alcuna cosa premuta minutamente sprizzasse; e come giù al piccol pian pervenia, così quivi in un bel canaletto raccolta infino al mezzo del piano velocissima discorreva, e ivi faceva un piccol laghetto, quale talvolta per modo di vivaio fanno ne' lor

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