Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 115

Testo di pubblico dominio

tutta Italia son trapassate: e dove che elle poco conosciute fossero, in quella contrada quasi in niente erano dagli abitanti sapute; anzi, durandovi ancora la rozza onestà degli antichi, non che veduti avessero pappagalli ma di gran lunga la maggior parte mai uditi non gli avea ricordare. Contenti adunque i giovani d'aver la penna trovata, quella tolsero e, per non lasciare la cassetta vota, vedendo carboni in un canto della camera, di quegli la cassetta empierono; e richiusala e ogni cosa racconcia come trovata avevano, senza essere stati veduti, lieti se ne vennero con la penna e cominciarono a aspettare quello che frate Cipolla, in luogo della penna trovando carboni, dovesse dire. Gli uomini e le femine semplici che nella chiesa erano, udendo che veder dovevano la penna dell'agnol Gabriello dopo nona, detta la messa, si tornarono a casa; e dettolo l'un vicino all'altro e l'una comare all'altra, come desinato ebbero ogni uomo, tanti uomini e tante femine concorsono nel castello, che appena vi capeano, con disidero aspettando di veder questa penna. Frate Cipolla, avendo ben desinato e poi alquanto dormito, un poco dopo nona levatosi e sentendo la moltitudine grande esser venuta di contadini per dovere la penna vedere, mandò a Guccio Imbratta che là sù con le campanelle venisse e recasse le sue bisacce. Il quale, poi che con fatica dalla cucina e dalla Nuta si fu divelto, con le cose addimandate con fatica lassù n'andò: dove ansando giunto, per ciò che il ber dell'acqua gli avea molto fatto crescere il corpo, per comandamento di frate Cipolla andatone in su la porta della chiesa, forte incominciò le campanelle a sonare. Dove, poi che tutto il popolo fu ragunato, frate Cipolla, senza essersi avveduto che niuna sua cosa fosse stata mossa, cominciò la sua predica e in acconcio de' fatti suoi disse molte parole; e dovendo venire al mostrar della penna dell'agnol Gabriello, fatta prima con gran solennità la confessione, fece accender due torchi e soavemente sviluppando il zendado, avendosi prima tratto il cappuccio, fuori la cassetta ne trasse. E dette primieramente alcune parolette a laude e a commendazione dell'agnolo Gabriello e della sua reliquia, la cassetta aperse. La quale come piena di carboni vide, non sospicò che ciò Guccio Balena gli avesse fatto, per ciò che nol conosceva da tanto, né il maladisse del male aver guardato che altri ciò non facesse, ma bestemmiò tacitamente sé, che a lui la guardia delle sue cose aveva commessa, conoscendol, come faceva, negligente, disubidente, trascutato e smemorato. Ma non per tanto, senza mutar colore, alzato il viso e le mani al cielo, disse sì che da tutti fu udito: “O Idio, lodata sia sempre la tua potenzia!” Poi richiusa la cassetta e al popolo rivolto disse: “Signori e donne, voi dovete sapere che, essendo io ancora molto giovane, io fui mandato dal mio superiore in quelle parti dove apparisce il sole, e fummi commesso con espresso comandamento che io cercassi tanto che io trovassi i privilegi del Porcellana, li quali, ancora che a bollar niente costassero, molto più utili sono a altrui che a noi. Per la qual cosa messom'io in cammino, di Vinegia partendomi e andandomene per lo Borgo de' Greci e di quindi per lo reame del Garbo cavalcando e per Baldacca, pervenni in Parione, donde, non senza sete, dopo alquanto pervenni in Sardigna. Ma perché vi vo io tutti i paesi cerchi da me divisando? Io capitai, passato il Braccio di San Giorgio, in Truffia e in Buffia, paesi molto abitati e con gran popoli; e di quindi pervenni in terra di Menzogna, dove molti de' nostri frati e d'altre religioni trovai assai, li quali tutti il disagio andavan per l'amor di Dio schifando, poco dell'altrui fatiche curandosi dove la loro utilità vedessero seguitare, nulla altra moneta spendendo che senza conio per quei paesi: e quindi passai in terra d'Abruzzi, dove gli uomini e le femine vanno in zoccoli su pe' monti, rivestendo i porci delle lor busecchie medesime; e poco più là trovai gente che portano il pan nelle mazze e 'l vin nelle sacca: da' quali alle montagne de' Bachi pervenni, dove tutte l'acque corrono alla 'ngiù. E in brieve tanto andai adentro, che io pervenni mei infino in India Pastinaca, là dove io vi giuro per l'abito che io porto addosso che io vidi volare i pennati, cosa incredibile a chi non gli avesse veduti; ma di ciò non mi lasci mentire Maso del Saggio, il quale gran mercatante io trovai là, che schiacciava noci e vendeva gusci a ritaglio. Ma non potendo quello che io andava cercando trovare, per ciò che da indi in là si va per acqua, indietro tornandomene, arrivai in quelle sante terre dove l'anno di state vi vale il pan freddo quatro denari e il caldo v'è per niente. E quivi trovai il venerabile padre messer Nonmiblasmete Sevoipiace, degnissimo patriarca di Ierusalem. Il quale, per reverenzia dell'abito che io ho sempre portato del baron messer santo Antonio, volle che io vedessi tutte le sante reliquie le quali egli appresso di sé aveva; e furon tante che, se io ve le volessi tutte contare, io non ne verrei a capo in parecchie miglia, ma pure, per non lasciarvi sconsolate, ve ne dirò alquante. Egli primieramente mi mostrò il dito dello Spirito Santo così intero e saldo come fu mai, e il ciuffetto del serafino che apparve a san Francesco, e una dell'unghie de' gherubini, e una delle coste del Verbum-caro-fatti-alle-finestre e de' vestimenti della santa Fé catolica, e alquanti de' raggi della stella che apparve a' tre Magi in Oriente, e una ampolla del sudore di san Michele quando combatté col diavole, e la mascella della Morte di san Lazzero e altre. E per ciò che io liberamente gli feci copia delle piagge di Monte Morello in volgare e d'alquanti capitoli del Caprezio, li quali egli lungamente era andati cercando, mi fece egli partefice delle sue sante reliquie: e donommi uno de' denti della Santa Croce e in una ampoletta alquanto del suono delle campane del tempio di Salomone e la penna dell'agnol Gabriello, della quale già detto v'ho, e l'un de' zoccoli di san Gherardo da Villamagna (il quale io, non ha molto, a Firenze donai a Gherardo di Bonsi, il quale in lui ha grandissima divozione) e diedemi de' carboni co' quali fu il beatissimo martire san Lorenzo arrostito; le quali cose io tutte di qua con meco divotamente le recai, e holle tutte. È il vero che il mio maggiore non ha mai sofferto che io l'abbia mostrate infino a tanto che certificato non s'è se desse sono o no; ma ora che per certi miracoli fatti da esse e per lettere ricevute dal Patriarca fatto n'è certo, m'ha conceduta licenzia che io le mostri; ma io, temendo di fidarle altrui, sempre le porto meco. Vera cosa è che io porto la penna dell'agnol Gabriello, acciò che non si guasti, in una cassetta e i carboni co' quali fu arrostito san Lorenzo in un'altra; le quali son sì simiglianti l'una all'altra, che spesse volte mi vien presa l'una per l'altra, e al presente m'è avvenuto: per ciò che, credendomi io qui avere arrecata la cassetta dove era la penna, io ho arrecata quella dove sono i carboni. Il quale io non reputo che stato sia errore, anzi mi pare esser certo che volontà sia stata di Dio e che Egli stesso la cassetta de' carboni ponesse nelle mie mani ricordandom'io pur testé che la festa di san Lorenzo sia di qui a due dì. E per ciò, volendo Idio che io col mostrarvi i carboni co' quali esso fu arrostito, raccenda nelle vostre anime la divozione che in lui aver dovete, non la penna che io voleva, ma i benedetti carboni spenti dall'omor di quel santissimo corpo mi fé pigliare. E per ciò, figliuoli benedetti, trarretevi i cappucci e qua divotamente v'appresserete a vedergli. Ma prima voglio che voi sappiate che chiunque da questi carboni in segno di croce è tocco, tutto quello anno può viver sicuro che fuoco nol cocerà che non si senta.” E poi che così detto ebbe, cantando una laude di san Lorenzo, aperse la cassetta e mostrò i carboni; li quali poi che alquanto la stolta

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