Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 149

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facevano, più persone domandò di lor condizione; e udendo da tutti costoro essere poveri uomini e dipintori, gli entrò nel capo non dover potere essere che essi dovessero così lietamente vivere della lor povertà, ma s'avisò, per ciò che udito aveva che astuti uomini erano, che d'alcuna altra parte non saputa dagli uomini dovesser trarre profetti grandissimi; e per ciò gli venne in disidero di volersi, se esso potesse, con ammenduni, o con l'uno almeno, dimesticare; e vennegli fatto di prender dimestichezza con Bruno. E Bruno, conoscendolo in poche di volte che con lui stato era questo medico essere uno animale, cominciò di lui a avere il più bel tempo del mondo con sue nuove novelle; e il medico similemente cominciò di lui a prendere maraviglioso piacere. E avendolo alcuna volta seco invitato a desinare e per questo credendosi dimesticamente con lui poter ragionare, gli disse la maraviglia che egli si faceva di lui e di Buffalmacco, che essendo poveri uomini così lietamente viveano; e pregollo che gl'insegnasse come faceano. Bruno, udendo il medico e parendogli la dimanda dell'altre sue sciocche e dissipite, cominciò a ridere e pensò di rispondergli secondo che alla sua pecoraggine si convenia, e disse: “Maestro, io nol direi a molte persone come noi facciamo, ma di dirlo a voi, perché siete amico e so che a altrui nol direte, non mi guarderò. Egli è vero che il mio compagno e io viviamo così lietamente e così bene come vi pare e più; né di nostra arte né d'altro frutto, che noi d'alcune possessioni traiamo, avremmo da poter pagar pur l'acqua che noi logoriamo. Né voglio per ciò che voi crediate che noi andiamo a imbolare, ma noi andiamo in corso, e di questo ogni cosa che a noi è di diletto o di bisogno, senza alcun danno d'altrui, tutto traiamo: e da questo viene il nostro viver lieto che voi vedete.” Il medico, udendo questo e senza saper che si fosse credendolo, si maravigliò molto e subitamente entrò in disidero caldissimo di sapere che cosa fosse l'andare in corso, affermandogli che per certo mai a niuna persona il direbbe. “Omè!” disse Bruno “maestro, che mi domandate voi? Egli è troppo gran segreto quello che voi volete sapere, e è cosa da disfarmi e da cacciarmi del mondo, anzi da farmi mettere in bocca del lucifero da San Gallo, se altri il risapesse: ma sì è grande l'amor che io porto alla vostra qualitativa mellonaggine da Legnaia e alla fidanza la quale ho in voi, che io non posso negarvi cosa che voi vogliate; e per ciò io il vi dirò con questo patto, che voi per la croce a Montesone mi giurerete che mai, come promesso avete, a niuno il direte.” Il maestro affermò che non farebbe. “Dovete adunque, “ disse Bruno “maestro mio dolciato, sapere che egli non è ancora guari che in questa città fu un gran maestro in nigromantia il quale ebbe nome Michele Scotto, per ciò che di Scozia era, e da molti gentili uomini, de' quali pochi oggi son vivi, ricevette grandissimo onore; e volendosi di qui partire, a instanzia de' prieghi loro ci lasciò due suoi sufficienti discepoli, a' quali impose che a ogni piacere di questi cotali gentili uomini, che onorato l'aveano, fossero sempre presti. Costoro adunque servivano i predetti gentili uomini di certi loro innamoramenti e d'altre cosette liberamente; poi, piacendo loro la città e i costumi degli uomini, ci si disposero a voler sempre stare e preserci di grandi e di strette amistà con alcuni, senza guardare chi essi fossero, più gentili che non gentili o più ricchi che poveri, solamente che uomini fossero conformi a' lor costumi. E per compiacere a questi così fatti loro amici ordinarono una brigata forse di venticinque uomini, li quali due volte almeno il mese insieme si dovessero ritrovare in alcun luogo da loro ordinato: e quivi essendo, ciascuno a costoro il suo disidero dice, e essi prestamente per quella notte il forniscono. Co' quali due avendo Buffalmacco e io singulare amistà e dimestichezza, da loro in cotal brigata fummo messi e siamo. E dicovi così che, qualora egli avvien che noi insieme ci raccogliamo, è maravigliosa cosa a vedere i capoletti intorno alla sala dove mangiamo e le tavole messe alla reale e la quantità de' nobili e belli servidori, così femine come maschi, al piacer di ciascuno che è di tal compagnia, e i bacini, gli orciuoli, i fiaschi e le coppe e l'altro vasellamento d'oro e d'argento, ne' quali noi mangiamo e beamo; e oltre a questo le molte e varie vivande, secondo che ciascun disidera, che recate ci sono davanti ciascheduna a suo tempo. Io non vi potrei mai divisare chenti e quanti sieno i dolci suoni d'infiniti strumenti e i canti pieni di melodia che vi s'odono, né vi potrei dire quanta sia la cera che vi s'arde a queste cene né quanti sieno i confetti che vi si consumano e come sieno preziosi i vini che vi si beono. E non vorrei, zucca mia da sale, che voi credeste che noi stessomo là in questo abito o con questi panni che ci vedete: egli non ve ne è niuno sì cattivo che non vi paresse uno imperadore, sì siamo di cari vestimenti e di belle cose ornati. Ma sopra tutti gli altri piaceri che vi sono si è quello delle belle donne, le quali subitamente, pur che l'uom voglia, di tutto il mondo vi son recate. Voi vedreste quivi la donna de' barbanicchi, la reina de' baschi, la moglie del soldano, la 'mperadrice d'Osbech, la ciancianfera di Norrueca, la semistante di Berlinzone e la scalpedera di Narsia. Che vi vo io annoverando? E' vi sono tutte le reine del mondo, io dico infino alla schinchimurra del Presto Giovanni; or vedete oggimai voi! Dove, poi che hanno bevuto e confettato, fatta una danza o due, ciascuna con colui a cui stanza v'è fatta venire se ne va nella sua camera. E sappiate che quelle camere paiono un paradiso a vedere, tanto son belle, e sono non meno odorifere che sieno i bossoli dalle spezie della bottega vostra, quando voi fate pestare il comino; e havvi letti che vi parrebber più belli che quello del doge di Vinegia, e in quegli a riposar se ne vanno. Or che menar di calcole e di tirar le casse a sé, per fare il panno serrato, faccian le tessitrici, lascerò io pensar pur a voi! Ma tra gli altri che meglio stanno, secondo il parer mio, siam Buffalmacco e io, per ciò che Buffalmacco le più delle volte vi fa venir per sé la reina di Francia e io per me quella d'Inghilterra, le quali son due pur le più belle donne del mondo; e sì abbiamo saputo fare, che elle non hanno altro occhio in capo che noi. Per che da voi medesimo pensar potete se noi possiamo e dobbiamo vivere e andare più che gli altri uomini lieti, pensando che noi abbiamo l'amore di due così fatte reine: senza che, quando noi vogliamo un mille o un dumilia fiorini da loro, noi non gli abbiamo. E questa cosa chiamiam noi volgarmente l'andare in corso: per ciò che sì come i corsari tolgono la roba d'ogni uomo, e così facciam noi: se non che di tanto siamo differenti da loro, che eglino mai non la rendono e noi la rendiamo, come adoperata l'abbiamo. Ora avete, maestro mio da bene, inteso ciò che noi diciamo l'andare in corso; ma quanto questo voglia esser segreto, voi il vi potete vedere, e per ciò più nol vi dico né ve priego.” Il maestro, la cui scienza non si stendeva forse più oltre che il medicare i fanciulli del lattime, diede tanta fede alle parole di Bruno quanta si saria convenuta a qualunque verità; e in tanto disiderio s'accese di volere essere in questa brigata ricevuto, quanto di qualunque altra cosa più disiderabile si potesse essere acceso. Per la qual cosa a Bruno rispose che fermamente maraviglia non era se lieti andavano, e a gran pena si temperò in riservarsi di richiederlo che essere il vi facesse infino a tanto che, con più onor fattogli, gli potesse con più fidanza porgere i prieghi suoi. Avendoselo adunque riservato, cominciò più a continuare con lui l'usanza e a averlo da sera e da mattina a mangiar seco e a mostrargli smisurato amore; e era sì grande e sì continua

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