Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 134

Testo di pubblico dominio

gli disse: “Io son per fare un mio fatto per lo quale mi bisognan fiorini dugento d'oro, li quali io voglio che tu mi presti con quello utile che tu mi suogli prestar degli altri.” Guasparuolo disse che volentieri e di presente gli annoverò i denari. Ivi a pochi giorni Guasparuolo andò a Genova, come la donna aveva detto; per la qual cosa la donna mandò a Gulfardo che a lei dovesse venire e recare li dugento fiorin d'oro. Gulfardo, preso il compagno suo, se n'andò a casa della donna; e trovatala che l'aspettava, la prima cosa che fece, le mise in mano questi dugento fiorin d'oro, veggente il suo compagno, e sì le disse: “Madonna, tenete questi denari e daretegli a vostro marito quando sarà tornato.” La donna gli prese e non s'avide perché Gulfardo dicesse così, ma si credette che egli il facesse acciò che il compagno suo non s'accorgesse che egli a lei per via di prezzo gli desse; per che ella disse: “Io il farò volentieri ma io voglio veder quanti sono”; e versatigli sopra una tavola e trovatigli esser dugento, seco forte contenta gli ripose. E tornò a Gulfardo e, lui nella sua camera menato, non solamente quella notte ma molte altre, avanti che il marito tornasse da Genova, della sua persona gli sodisfece. Tornato Guasparuolo da Genova, di presente Gulfardo, avendo appostato che insieme con la moglie era, se n'andò a lui e in presenza di lei disse: “Guasparuolo, i denari, cioè li dugento fiorin d'oro che l'altrier mi prestasti, non m'ebber luogo, per ciò che io non potei fornir la bisogna per la quale gli presi: e per ciò io gli recai qui di presente alla donna tua e sì gliele diedi, e per ciò dannerai la mia ragione.” Guasparuolo, volto alla moglie, la domandò se avuti gli avea; ella, che quivi vedeva il testimonio, nol seppe negare ma disse: “Mai sì che io gli ebbi, né m'era ancor ricordata di dirloti.” Disse allora Guasparruolo: “Gulfardo, io son contento: andatevi pur con Dio, ché io acconcerò bene la vostra ragione.” Gulfardo partitosi, e la donna rimasa scornata diede al marito il disonesto prezzo della sua cattività: e così il sagace amante senza costo godé della sua avara donna. 2 Il prete da Varlungo si giace con monna Belcolore, lasciale pegno un suo tabarro; e accattato da lei un mortaio, il rimanda e fa domandare il tabarro lasciato per ricordanza: rendelo proverbiando la buona donna. Commendavano igualmente e gli uomini e le donne ciò che Gulfardo fatto aveva alla 'ngorda melanese, quando la reina a Panfilo voltatasi sorridendo gl'impose ch'el seguitasse; per la qual cosa Panfilo incominciò: –Belle donne, a me occorre di dire una novelletta contro a coloro li quali continuamente n'offendono senza poter da noi del pari essere offesi, cioè contro a' preti, li qual sopra le nostre mogli hanno bandita la croce, e par loro non altramenti aver guadagnato il perdono di colpa e di pena, quando una se ne posson metter sotto, che se d'Allessandria avessero il soldano menato legato a Vignone. Il che i secolari cattivelli non possono a lor fare, come che nelle madri, nelle sirocchie, nelle amiche e nelle figliuole con non meno ardore, che essi le lor mogli assaliscano, vendichin l'ire loro. E per ciò io intendo raccontarvi uno amorazzo contadino, più da ridere per la conclusione che lungo di parole, del quale ancora potrete per frutto cogliere che a' preti non sia sempre ogni cosa da credere. Dico adunque che a Varlungo, villa assai vicina di qui, come ciascuna di voi o sa o puote avere udito, fu un valente prete e gagliardo della persona ne' servigi delle donne, il quale, come che legger non sapesse troppo, pur con molte buone e sante parolozze la domenica a piè dell'olmo ricreava i suoi popolani; e meglio le lor donne, quando essi in alcuna parte andavano, che altro prete che prima vi fosse stato, visitava, portando loro della festa e dell'acqua benedetta e alcun moccolo di candela talvolta infino a casa, dando loro la sua benedizione. Ora avvenne che, tra l'altre sue popolane che prima gli eran piaciute, una sopra tutte ne gli piacque, che aveva nome monna Belcolore, moglie d'un lavoratore che si facea chiamare Bentivegna del Mazzo; la qual nel vero era pure una piacevole e fresca foresozza, brunazza e ben tarchiata e atta a meglio saper macinar che alcuna altra; e oltre a ciò era quella che meglio sapeva sonare il cembalo e cantare L'acqua corre la borrana e menar la ridda e il ballonchio, quando bisogno faceva, che vicina che ella avesse, con bel moccichino e gente in mano. Per le quali cose messer lo prete ne 'nvaghì sì forte, che egli ne menava smanie e tutto il dì andava aiato per poterla vedere; e quando la domenica mattina la sentiva in chiesa, diceva un Kyrie e un Sanctus sforzandosi ben di mostrarsi un gran maestro di canto, che pareva uno asino che ragghiasse, dove, quando non la vi vedea, si passava assai leggiermente; ma pur sapeva sì fare, che Bentivegna del Mazzo non se ne avvedeva, né ancora vicina che egli avesse. E per poter più avere la dimestichezza di monna Belcolore, a otta a otta la presentava: e quando le mandava un mazzuol d'agli freschi, ch'egli aveva i più belli della contrada in un suo orto che egli lavorava a sue mani, e quando un canestruccio di baccelli e talora un mazzuolo di cipolle malige o di scalogni; e, quando si vedeva tempo, guatatala un poco in cagnesco, per amorevolezza la rimorchiava, e ella cotal salvatichetta, faccendo vista di non avvedersene, andava pure oltre in contegno; per che messer lo prete non ne poteva venire a capo. Ora avvenne un dì che, andando il prete di fitto meriggio per la contrada or qua or là zazeato, scontrò Bentivegna del Mazzo con uno asino pien di cose innanzi, e fattogli motto il domandò dove egli andava. A cui Bentivegna rispose: “Gnaffé, sere, in buona verità io vo infino a città per alcuna mia vicenda: e porto queste cose a ser Bonaccorri da Ginestreto, ché m'aiuti di non so che m'ha fatto richiedere per una comparigione del parentorio per lo pericolator suo il giudice del dificio.” Il prete lieto disse: “Ben fai, figliuole; or va con la mia benedizione e torna tosto; e se ti venisse veduto Lapuccio o Naldino, non t'esca di mente di dir loro che mi rechino quelle combine per li coreggiati miei.” Bentivegna disse che sarebbe fatto; e venendosene verso Firenze, si pensò il prete che ora era tempo d'andare alla Belcolore e di provar sua ventura; e messasi la via tra' piedi non ristette sì fu a casa di lei; e entrato dentro disse: “Dio ci mandi bene: chi è di qua?” La Belcolore, che era andata in balco, udendol disse: “O sere, voi siate il ben venuto: che andate voi zaconato per questo caldo?” Il prete rispose: “Se Dio mi dea bene, che io mi veniva a star con teco un pezzo, per ciò che io trovai l'uom tuo che andava a città.” La Belcolore, scesa giù, si pose a sedere e cominciò a nettare sementa di cavolini che il marito avea poco innanzi trebbiati. Il prete le cominciò a dire: “Bene, Belcolore, de'mi tu far sempre mai morire a questo modo?” La Belcolore cominciò a ridere e a dire: “O che ve fo io?” Disse il prete: “Non mi fai nulla ma tu non mi lasci fare a te quel che io vorrei e che Idio comandò.” Disse la Belcolore: “Deh! andante andate: o fanno i preti così fatte cose?” Il prete rispose: “Sì facciam noi meglio che gli altri uomini: o perché no? E dicoti più, che noi facciamo vie miglior lavorio; e sai perché? perché noi maciniamo a raccolta: ma in verità bene a tuo uopo, se tu stai cheta e lascimi fare.” Disse la Belcolore: “O che bene a mio uopo potrebbe esser questo? ché siete tutti quanti più scarsi che 'l fistolo.” Allora il prete disse: “Io non so, chiedi pur tu: o vuogli un paio di scarpette o vuogli un frenello o vuogli una bella fetta di stame o ciò che tu vuogli.” Disse la Belcolore: “Frate, bene sta! Io me n'ho di coteste cose; ma se voi mi volete cotanto bene, ché non mi fate voi un servigio, e io farò ciò che voi

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Argomenti: disonesto prezzo,    prete lieto

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