Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 177

Testo di pubblico dominio

cavaliere. Venuta era la Fiammetta al fin della sua novella, e commendata era stata molto la virile magnificenzia del re Carlo, quantunque alcuna, che quivi era ghibellina, commendar nol volesse; quando Pampinea, avendogliele il re imposto, incominciò: –Niun discreto, raguardevoli donne, sarebbe che non dicesse ciò che voi dite del buon re Carlo, se non costei che gli vuol mal per altro; ma per ciò che a me va per la memoria una cosa non meno commendevole forse che questa, fatta da un suo avversario in una nostra giovane fiorentina, quella mi piace di raccontarvi. Nel tempo che i franceschi di Cicilia furon cacciati, era in Palermo un nostro fiorentino speziale, chiamato Bernardo Puccini, ricchissimo uomo, il quale d'una sua donna, senza più, aveva una figliuola bellissima e già da marito. E essendo il re Pietro di Raona signor della isola divenuto, faceva in Palermo maravigliosa festa co' suoi baroni; nella qual festa, armeggiando egli alla catalana, avvenne che la figliuola di Bernardo, il cui nome era Lisa, da una finestra dove ella era con altre donne, il vide correndo egli e sì maravigliosamente le piacque, che, una volta e altra poi riguardandolo di lui ferventemente s'innamorò. E cessata la festa e ella in casa del padre standosi, a niun'altra cosa poteva pensare se non a questo suo magnifico e alto amore; e quello che intorno a ciò più l'offendeva era il cognoscimento della sua infima condizione, il quale niuna speranza appena le lasciava pigliare di lieto fine: ma non per tanto da amare il re indietro si voleva tirare e per paura di maggior noia a manifestar non l'ardiva. Il re di questa cosa non s'era accorto né si curava: di che ella, oltre a quello che si potesse estimare, portava intollerabile dolore. Per la qual cosa avvenne che, crescendo in lei amor continuamente e una malinconia sopr'altra agiugnendosi, la bella giovane più non potendo infermò, e evidentemente di giorno in giorno come la neve al sole si consumava. Il padre di lei e la madre, dolorosi di questo accidente, con conforti continui e con medici e con medicine in ciò che si poteva l'atavano; ma niente era, per ciò che ella, sì come del suo amore disperata, aveva eletto di più non volere vivere. Ora avvenne che, offerendole il padre di lei ogni suo piacere, le venne in pensiero, se acconciamente potesse, di volere il suo amore e il suo proponimento, prima che morisse, fare al re sentire; e per ciò un dì il pregò che egli le facesse venire Minuccio d'Arezzo. Era in que' tempi Minuccio tenuto un finissimo cantatore e sonatore e volentieri dal re Pietro veduto, il quale Bernardo avvisò che la Lisa volesse per udirlo alquanto e sonare e cantare: per che fattogliele dire, egli, che piacevole uomo era, incontanente a lei venne e, poi che alquanto con amorevoli parole confortata l'ebbe, con una sua viuola dolcemente sonò alcuna stampita e cantò appresso alcuna canzone, le quali allo amor della giovane erano fuoco e fiamma là dove egli la credea consolare. Appresso questo disse la giovane che a lui solo alquante parole voleva dire; per che partitosi ciascun altro, ella gli disse: “Minuccio, io ho eletto te per fidissimo guardatore d'un mio segreto, sperando primieramente che tu quello a niuna persona, se non a colui che io ti dirò, debbi manifestar già mai, e appresso che in quello che per te si possa tu mi debbi aiutare: così ti priego. Dei adunque sapere, Minuccio mio, che il giorno che il nostro signore re Pietro fece la gran festa della sua essaltazione, mel venne, armeggiando egli, in sì forte punto veduto, che dello amor di lui mi s'accese un fuoco nell'anima che al partito m'ha recata che tu mi vedi; e conoscendo io quanto male il mio amore a un re si convenga e non potendolo non che cacciare ma diminuire e egli essendomi oltre modo grave a comportare, ho per minor doglia eletto di voler morire; e così farò. È il vero che io fieramente n'andrei sconsolata, se prima egli nol sapesse: e non sappiendo per cui potergli questa mia disposizion fargli sentire più acconciamente che per te, a te commettere la voglio e priegoti che non rifiuti di farlo; e quando fatto l'avrai, assapere mel facci, acciò che io consolata morendo mi sviluppi da queste pene”; e questo detto piagnendo si tacque. Maravigliossi Minuccio dell'altezza dello animo di costei e del suo fiero proponimento e increbbenegli forte; e subitamente nello animo corsogli come onestamente la poteva servire, le disse: “Lisa, io t'obligo la mia fede, della quale vivi sicura che mai ingannata non ti troverrai; e appresso commendandoti di sì alta impresa, come è aver l'animo posto a così gran re, t'offero il mio aiuto, col quale io spero, dove tu confortar ti vogli, sì adoperare, che avanti che passi il terzo giorno ti credo recar novelle che sommamente ti saran care; e per non perder tempo, voglio andare a cominciare.” La Lisa, di ciò da capo pregatol molto e promessogli di confortarsi, disse che s'andasse con Dio. Minuccio partitosi, ritrovò un Mico da Siena, assai buon dicitore in rima a quei tempi, e con prieghi lo strinse a far la canzonetta che segue: Muoviti, Amore, e vattene a Messere, e contagli le pene ch'io sostegno; digli ch'a morte vegno, celando per temenza il mio volere. Merzede, Amore, a man giunte ti chiamo, ch'a Messer vadi là dove dimora. Dì che sovente lui disio e amo, sì dolcemente lo cor m'innamora; e per lo foco ond'io tutta m'infiamo temo morire, e già non saccio l'ora ch'i' parta da sì grave pena dura, la qual sostegno per lui disiando, temendo e vergognando: deh! il mal mio, per Dio, fagli assapere. Poi che di lui, Amor, fu' innamorata, non mi donasti ardir quanto temenza che io potessi sola una fiata lo mio voler dimostrare in parvenza a quegli che mi tien tanto affannata; così morendo, il morir m'è gravenza! Forse che non gli saria spiacenza, se el sapesse quanta pena i' sento, s'a me dato ardimento avesse in fargli mio stato sapere. Poi che 'n piacere non ti fu, Amore, ch'a me donassi tanta sicuranza, ch'a Messer far savessi lo mio core, lasso, per messo mai o per sembianza, mercé ti chero, dolce mio signore, che vadi a lui e donagli membranza del giorno ch'io il vidi a scudo e lanza con altri cavalieri arme portare: presilo a riguardare innamorata sì, che 'l mio cor pere. Le quali parole Minuccio prestamente intonò d'un suono soave e pietoso sì come la materia di quelle richiedeva, e il terzo dì se n'andò a corte, essendo ancora il re Pietro a mangiare; dal quale gli fu detto che egli alcuna cosa cantasse con la sua viuola. Laonde egli cominciò sì dolcemente sonando a cantar questo suono, che quanti nella real sala n'erano parevano uomini adombrati, sì tutti stavano taciti e sospesi a ascoltare, e il re per poco più che gli altri. E avendo Minuccio il suo canto fornito, il re il domandò donde questo venisse che mai più non gliele pareva avere udito. “Monsignore, “ rispose Minuccio “e' non sono ancora tre giorni che le parole si fecero e 'l suono”; il quale, avendo il re domandato per cui, rispose: “Io non l'oso scovrir se non a voi.” Il re, disideroso d'udirlo, levate le tavole nella camera sel fé venire, dove Minuccio ordinatamente ogni cosa udita gli raccontò; di che il re fece gran festa e commendò la giovane assa' e disse che di sì valorosa giovane si voleva aver compassione; e per ciò andasse da sua parte a lei e la confortasse e le dicesse che senza fallo quel giorno in sul vespro la verrebbe a visitare. Minuccio, lietissimo di portare così piacevole novella, alla giovane senza ristare con la sua viuola n'andò; e con lei sola parlando ogni cosa stata raccontò e poi la canzon cantò con la sua viuola. Di questo fu la giovane tanto lieta e tanto contenta, che evidentemente senza alcuno indugio apparver segni grandissimi della sua sanità; e con disidero, senza sapere o presummere alcun della casa che ciò si fosse, cominciò a aspettare il vespro nel quale il suo signor

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Argomenti: alcuno indugio,    bella giovane,    terzo giorno,    fiero proponimento,    piacevole uomo

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