Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 192

Testo di pubblico dominio

febricitanti, che sia malvagio? Chi non sa che il fuoco è utilissimo, anzi necessario a' mortali? direm noi, per ciò che egli arde le case e le ville e le città, che sia malvagio? L'arme similmente la salute difendon di coloro che pacificamente di viver disiderano, e anche uccidon gli uomini molte volte, non per malizia di loro, ma di coloro che malvagiamente l'adoperano. Niuna corrotta mente intese mai sanamente parola: e così come le oneste a quella non giovano, così quelle che tanto oneste non sono la ben disposta non posson contaminare, se non come il loto i solari raggi o le terrene brutture le bellezze del cielo. Quali libri, quali parole, quali lettere son più sante, più degne, più reverende che quelle della divina Scrittura? E sì sono egli stati assai che, quelle perversamente intendendo, sé e altrui a perdizione hanno tratto. Ciascuna cosa in se medesima è buona a alcuna cosa, e male adoperata può essere nociva di molte; e così dico delle mie novelle. Chi vorrà da quelle malvagio consiglio e malvagia operazion trarre, elle nol vieteranno a alcuno, se forse in sé l'hanno, e torte e tirate fieno a averlo: e chi utilità e frutto ne vorrà, elle nol negheranno, né sarà mai che altro che utile e oneste sien dette o tenute, se a que' tempi o a quelle persone si leggeranno per cui e pe' quali state son raccontate. Chi ha a dir paternostri o a fare il migliaccio o la torta al suo divoto, lascile stare; elle non correranno di dietro a niuna a farsi leggere, benché e le pinzochere altressì dicono e anche fanno delle cosette otta per vicenda! Saranno similmente di quelle che diranno qui esserne alcune che, non essendoci, sarebbe stato assai meglio. Concedasi: ma io non pote' né doveva scrivere se non le raccontate, e per ciò esse che le dissero le dovevan dir belle e io l'avrei scritte belle. Ma se pur prosuppor si volesse che io fossi stato di quelle e lo 'nventore e lo scrittore, che non fui, dico che io non mi vergognerei che tutte belle non fossero, per ciò che maestro alcun non si truova, da Dio in fuori, che ogni cosa faccia bene e compiutamente; e Carlo Magno, che fu il primo facitor di paladini, non ne seppe tanti creare che esso di lor soli potesse fare oste. Conviene nella moltitudine delle cose diverse qualità di cose trovarsi. Niun campo fu mai sì ben coltivato, che in esso o ortica o triboli o alcun pruno non si trovasse mescolato tra l'erbe migliori. Senza che, a avere a favellare a semplici giovinette, come voi il più siete, sciocchezza sarebbe stata l'andar cercando e faticandosi in trovar cose molte esquisite, e gran cura porre di molto misuratamente parlare. Tuttavia chi va tra queste leggendo, lasci star quelle che pungono e quelle che dilettano legga: elle, per non ingannare alcuna persona, tutte nella fronte portan segnato quello che esse dentro dal loro seno nascose tengono. E ancora, credo, sarà tal che dirà che ce ne son di troppo lunghe; alle quali ancora dico che chi ha altra cosa a fare, follia fa a queste leggere, eziandio se brievi fossero. E come che molto tempo passato sia da poi che io a scriver cominciai infino a questa ora che io al fine vengo della mia fatica, non m'è per ciò uscito di mente me avere questo mio affanno offerto all'oziose e non all'altre: e a chi per tempo passar legge, niuna cosa puote esser lunga, se ella quel fa per che egli l'adopera. Le cose brievi si convengon molto meglio agli studianti, li quali non per passare ma per utilmente adoperare il tempo faticano, che a voi donne, alle quali tanto del tempo avanza quanto negli amorosi piaceri non ispendete. E oltre a questo, per ciò che né a Atene né a Bologna o a Parigi alcuna di voi non va a studiare, più distesamente parlar vi si conviene che a quegli che hanno negli studii gl'ingegni assottigliati. Né dubito punto che non sien di quelle ancor che diranno le cose dette esser troppe, piene e di motti e di ciance, e mal convenirsi a un uomo pesato e grave aver così fattamente scritto. A queste son io tenuto di render grazie e rendo, per ciò che da buon zelo movendosi tenere sono della mia fama. Ma così alla loro opposizion vo' rispondere. Io confesso d'esser pesato e molte volte de' miei dì essere stato; e per ciò, parlando a quelle che pesato non m'hanno, affermo che io non son grave, anzi son io sì lieve, che io sto a galla nell'acqua; e considerato che le prediche fatte da' frati per rimorder delle lor colpe gli uomini, il più oggi piene di motti e di ciance e di scede, estimai che quegli medesimi non stesser male nelle mie novelle, scritte per cacciar la malinconia delle femine. Tuttavia, se troppo per questo ridessero, il lamento di Germia, la passione del Salvatore e il ramarichio della Magdalena ne le potrà agevolmente guerire. E chi starà in pensiero che ancor di quelle non si truovino che diranno che io abbia mala lingua e velenosa, per ciò che in alcun luogo scrivo il ver de' frati? A queste che così diranno si vuol perdonare, per ciò che non è da credere che altro che giusta cagione le muova, per ciò che i frati son buone persone e fuggono il disagio per l'amor di Dio e macinano a raccolta e nol ridicono; e se non che di tutti un poco vien del caprino, troppo sarebbe più piacevole il piato loro. Confesso nondimeno le cose di questo mondo non avere stabilità alcuna ma sempre essere in mutamento, e così potrebbe della mia lingua essere intervenuto; la quale, non credendo io al mio giudicio, il quale a mio potere io fuggo nelle mie cose, non ha guari mi disse una mia vicina che io l'aveva la migliore e la più dolce del mondo: e in verità, quando questo fu, egli erano poche a scrivere delle soprascritte novelle. E per ciò che animosamente ragionan quelle cotali, voglio che quello che è detto basti lor per risposta. E lasciando omai a ciascheduna e dire e credere come le pare, tempo è da por fine alle parole, Colui umilmente ringraziando che dopo sì lunga fatica col suo aiuto n'ha al disiderato fine condotto. E voi, piacevoli donne, con la sua grazia in pace vi rimanete, di me ricordandovi, se a alcuna forse alcuna cosa giova l'averle lette. QUI FINISCE LA DECIMA E ULTIMA GIORNATA DEL LIBRO CHIAMATO DECAMERON COGNOMINATO PRENCIPE GALEOTTO.

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Argomenti: malvagio consiglio

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