Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 161

Testo di pubblico dominio

quella cotal cosa richiede si sappi per colui che parlar ne vuole debitamente eleggere. E per ciò, se io riguardo quello per che noi siam qui, che per aver festa e buon tempo e non per altro ci siamo, stimo che ogni cosa che festa e piacer possa porgere qui abbia e luogo e tempo debito; e benché mille volte ragionato ne fosse, altro che dilettar non debbia altrettanto parlandone. Per la qual cosa, posto che assai volte de' fatti di Calandrino detto si sia tra noi, riguardando, sì come poco avanti disse Filostrato, che essi son tutti piacevoli, ardirò oltre alle dette dirvene una novella: la quale, se io dalla verità del fatto mi fossi scostare voluta o volessi, avrei ben saputo e saprei sotto altri nomi comporla e raccontarla; ma per ciò che il partirsi dalla verità delle cose state nel novellare è gran diminuire di diletto negl'intendenti, in propria forma, dalla ragion di sopra detta aiutata, la vi dirò. Niccolò Cornacchini fu nostro cittadino e ricco uomo: e tra l'altre sue possessioni una bella n'ebbe in Camerata, sopra la quale fece fare uno orrevole e bello casamento e con Bruno e con Buffalmacco che tutto gliele dipignessero si convenne; li quali, per ciò che il lavorio era molto, seco aggiunsero e Nello e Calandrino e cominciarono a lavorare. Dove, benché alcuna camera fornita di letto e dell'altre cose oportune fosse e una fante vecchia dimorasse sì come guardiana del luogo, per ciò che altra famiglia non v'era, era usato un figliuolo del detto Niccolò, che avea nome Filippo, sì come giovane e senza moglie, di menar talvolta alcuna femina a suo diletto e tenervela un dì o due e poscia mandarla via. Ora tra l'altre volte avvenne che egli ve ne menò una che aveva nome la Niccolosa, la quale un tristo, che era chiamato il Mangione, a sua posta tenendola in una casa da Camaldoli, prestava a vettura. Aveva costei bella persona e era ben vestita e secondo sua pari assai costumata e ben parlante; e essendo ella un dì di meriggio della camera uscita in un guarnel bianco e co' capelli ravolti al capo e a un pozzo che nella corte era del casamento lavandosi le mani e 'l viso, avvenne che Calandrino quivi venne per acqua e dimesticamente la salutò. Ella, rispostogli, il cominciò a guatare più perché Calandrino le pareva un nuovo uomo che per altra vaghezza. Calandrino cominciò a guatar lei, e parendogli bella cominciò a trovar sue cagioni e non tornava a' compagni con l'acqua: ma non conoscendola niuna cosa ardiva di dirle. Ella, che avveduta s'era del guatar di costui, per uccellarlo, alcuna volta guardava lui, alcun sospiretto gittando; per la qual cosa Calandrino subitamente di lei s'imbardò, né prima si partì della corte che ella fu da Filippo nella camera richiamata. Calandrino, tornato a lavorare, altro che soffiar non facea; di che Bruno accortosi, per ciò che molto gli poneva mente alle mani, sì come quegli che gran diletto prendeva de' fatti suoi, disse: “Che diavolo hai tu, sozio Calandrino? Tu non fai altro che soffiare.” A cui Calandrino disse: “Sozio, se io avessi chi m'aiutasse, io starei bene.” “Come?” disse Bruno. A cui Calandrin disse: “E' non si vuol dire a persona: egli è una giovane qua giù, che è più bella che una lammia, la quale è sì forte innamorata di me, che ti parrebbe un gran fatto: io me ne avvidi testé quando io andai per l'acqua.” “Oimè!” disse Bruno “guarda che ella non sia la moglie di Filippo.” Disse Calandrino: “Io il credo, per ciò che egli la chiamò, e ella se n'andò a lui nella camera; ma che vuol per ciò dir questo? Io la fregherei a Cristo di così fatte cose, non che a Filippo. Io ti vo' dire il vero, sozio: ella mi piace tanto, che io nol ti potrei dire.” Disse allora Bruno: “Sozio, io ti spierò chi ella è; e se ella è la moglie di Filippo, io acconcerò i fatti tuoi in due parole, per ciò che ella è molto mia dimestica. Ma come farem noi che Buffalmacco nol sappia? Io non le posso mai favellare ch'e' non sia meco.” Disse Calandrino: “Di Buffalmacco non mi curo io, ma guardianci di Nello, ché egli è parente della Tessa e guasterebbeci ogni cosa.” Disse Bruno: “Ben di'.” Or sapeva Bruno chi costei era, sì come colui che veduta l'avea venire, e anche Filippo gliel'avea detto; per che, essendosi Calandrino un poco dal lavorio partito e andato per vederla, Bruno disse ogni cosa a Nello e a Buffalmacco, e insieme tacitamente ordinarono quello che far gli dovessero di questo suo innamoramento. E come egli ritornato fu, disse Bruno pianamente: “Vedestila?” Rispose Calandrino: “Oimè, sì, ella m'ha morto!” Disse Bruno: “Io voglio andare a vedere se ella è quella che io credo; e se così sarà, lascia poscia far me.” Sceso adunque Bruno giuso e trovato Filippo e costei, ordinatamente disse loro chi era Calandrino e quello che egli aveva lor detto, e con loro ordinò quello che ciascun di loro dovesse fare e dire per aver festa e piacere dello innamoramento di Calandrino; e a Calandrino tornatosene disse: “Bene è dessa: e per ciò si vuol questa cosa molto saviamente fare, per ciò che, se Filippo se n'avedesse, tutta l'acqua d'Arno non ci laverebbe. Ma che vuoi tu che io le dica da tua parte se egli avvien che io le favelli?” Rispose Calandrino: “Gnaffé! tu sì le dirai in prima in prima che io le voglio mille moggia di quel buon bene da impregnare, e poscia che io son suo servigiale e se ella vuol nulla: ha'mi bene inteso?” Disse Bruno: “Sì, lascia far me.” Venuta l'ora della cena e costoro, avendo lasciata opera e giù nella corte discesi, essendovi Filippo e la Niccolosa, alquanto in servigio di Calandrino ivi si posero a stare; dove Calandrino cominciò a guardare la Niccolosa e a fare i più nuovi atti del mondo, tali e tanti, che se ne sarebbe avveduto un cieco. Ella, d'altra parte, ogni cosa faceva per la quale credesse bene accenderlo e secondo la informazione avuta da Bruno, il miglior tempo del mondo prendendo de' modi di Calandrino. Filippo con Buffalmacco e con gli altri faceva vista di ragionare e di non avvedersi di questo fatto. Ma pur dopo alquanto, con grandissima noia di Calandrino, si partirono; e venendose verso Firenze disse Bruno a Calandrino: “Ben ti dico che tu la fai struggere come ghiaccio a sole: per lo corpo di Dio, se tu ci rechi la ribeba tua e canti un poco con essa di quelle tue canzoni innamorate, tu la farai gittare a terra delle finestre per venire a te.” Disse Calandrino: “Parti, sozio? parti che io la rechi?” “Sì” rispose Bruno. A cui Calandrino disse: “Tu non mi credevi oggi, quando io il ti diceva: per certo, sozio, io m'aveggio che io so meglio che altro uomo far ciò che io voglio. Chi avrebbe saputo, altri che io, far così tosto innamorare una così fatta donna come è costei? A buon'otta l'avrebber saputo far questi giovani di tromba marina, che tutto il dì vanno in giù e in sù, e in mille anni non saprebbero accozzare tre man di noccioli! Ora io vorrò che tu mi vegghi un poco con la ribeba: vedrai bel giuoco! E intendi sanamente che io non son vecchio come io ti paio: ella se ne è bene accorta ella; ma altramenti ne la farò io accorgere se io le pongo la branca adosso, per lo verace corpo di Cristo, ché io le farò giuoco che ella mi verrà dietro come va la pazza al figliuolo.” “Oh!” disse Bruno “tu te la griferai: e' mi par pur vederti morderle con cotesti tuoi denti fatti a bischeri quella sua bocca vermigliuzza e quelle sue gote che paion due rose e poscia manicarlati tutta quanta.” Calandrino udendo queste parole gli pareva essere a' fatti, e andava cantando e saltando tanto lieto, che non capeva nel cuoio. Ma l'altro dì, recata la ribeba, con gran diletto di tutta la brigata cantò più canzoni con essa; e in brieve in tanta sosta entrò dello spesso veder costei, che egli non lavorava punto, ma mille volte il dì ora alla finestra, ora alla porta e ora nella corte correva per veder costei, la quale, astutamente

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Argomenti: bello casamento,    nuovo uomo,    verace corpo

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