Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 126

Testo di pubblico dominio

spesso la sua donna, tanto bene e sì a grado cominciò a servire Egano, che egli gli pose tanto amore, che senza lui niuna cosa sapeva fare; e non solamente di sé ma di tutte le sue cose gli aveva commesso il governo. Avvenne un giorno che, essendo andato Egano a uccellare e Anichino rimaso, madonna Beatrice, che dello amore di lui accorta non s'era ancora (e quantunque seco, lui e' suoi costumi guardando, più volte molto commendato l'avesse e piacessele), con lui si mise a giucare a scacchi; e Anichino, che di piacerle disiderava, assai acconciamente faccendolo, si lasciava vincere, di che la donna faceva maravigliosa festa. E essendosi da vedergli giucare tutte le femine della donna partite e soli giucando lasciatigli, Anichino gittò un grandissimo sospiro. La donna guardatolo disse: “Che avesti, Anichino? Duolti così che io ti vinco?” “Madonna, “ rispose Anichino “troppo maggior cosa che questa non è fu cagion del mio sospiro.” Disse allora la donna: “Deh! dilmi per quanto ben tu mi vuogli.” Quando Anichino si sentì scongiurare ‘per quanto ben tu mi vuogli’ a colei la quale egli sopra ogn'altra cosa amava, egli ne mandò fuori un troppo maggiore che non era stato il primo; per che la donna ancor da capo il ripregò che gli piacesse di dirle qual fosse la cagione de' suoi sospiri; alla quale Anichin disse: “Madonna, io temo forte che egli non vi sia noia se io il vi dico; e appresso dubito che voi a altra persona nol ridiciate.” A cui la donna disse: “Per certo egli non mi sarà grave: e renditi sicuro di questo, che cosa che tu mi dica, se non quanto ti piaccia, io non dirò mai a altrui.” Allora disse Anichino: “Poi che voi mi promettete così, e io il vi dirò”; e quasi colle lagrime in su gli occhi le disse chi egli era, quel che di lei aveva udito e dove e come di lei s'era innamorato e perché per servidor del marito di lei postosi: e appresso umilemente, se esser potesse, la pregò che le dovesse piacere d'aver pietà di lui, e in questo suo segreto e sì fervente disidero di compiacergli; e che, dove questo far non volesse, che ella, lasciandolo star nella forma nella qual si stava, fosse contenta che egli l'amasse. O singular dolcezza del sangue bolognese! quanto se' tu sempre stata da commendare in così fatti casi! Mai di lagrime né di sospir fosti vaga, e continuamente a' prieghi pieghevole e agli amorosi disiderii arrendevol fosti: se io avessi degne lode da commendarti, mai sazia non se ne vedrebbe la voce mia. La gentil donna, parlando Anichino, il riguardava; e, dando piena fede alle sue parole, con sì fatta forza ricevette per li prieghi di lui il suo amore nella mente, che essa altressì cominciò a sospirare, e dopo alcun sospiro rispose: “Anichino mio dolce, sta di buon cuore: né doni né promesse né vagheggiare di gentile uomo né di signore né d'alcuno altro, ché sono stata e sono ancor vagheggiata da molti, mai mi poté muovere l'animo mio tanto che io alcuno n'amassi; ma tu m'hai fatta in così poco spazio, come le tue parole durate sono, troppo più tua divenire che io non son mia. Io giudico che tu ottimamente abbi il mio amor guadagnato, e per ciò io il ti dono e sì ti prometto che io te ne farò godente avanti che questa notte che viene tutta trapassi. E acciò che questo abbia effetto, farai che in su la mezzanotte tu venghi alla camera mia: io lascerò l'uscio aperto, tu sai da qual parte del letto io dormo; verrai là e se io dormissi tanto mi tocca che io mi svegli, e io ti consolerò di così lungo disio come avuto hai. E acciò che tu questo creda, io ti voglio dare un bascio per arra”; e gittatogli il braccio in collo, amorosamente il basciò, e Anichin lei. Queste cose dette, Anichin lasciata la donna andò a fare alcune sue bisogne, aspettando con la maggior letizia del mondo che la notte sopravvenisse. Egano tornò da uccellare, e come cenato ebbe, essendo stanco, s'andò a dormire, e la donna appresso, e, come promesso avea, lasciò l'uscio della camera aperto. Al quale, all'ora che detta gli era stata, Anichin venne e pianamente entrato nella camera e l'uscio riserrato dentro dal canto donde la donna dormiva se n'andò e, postale la mano in sul petto, lei non dormente trovò. La quale come sentì Anichino esser venuto, presa la sua mano con amendune le sue e tenendol forte, volgendosi per lo letto tanto fece, che Egano che dormiva destò; al quale ella disse: “Io non ti volli iersera dir cosa niuna, per ciò che tu mi parevi stanco; ma dimmi, se Dio ti salvi, Egano, quale hai tu per lo migliore famigliare e più leale e per colui che più t'ami, di quegli che tu in casa hai?” Rispose Egano: “Che è ciò, donna, di che tu mi domandi? nol conosci tu? Io non ho né ebbi mai alcuno di cui io tanto mi fidassi o fidi o ami, quant'io mi fido e amo Anichino; ma perché me ne domandi tu?” Anichino, sentendo desto Egano e udendo di sé ragionare, aveva più volte a sé tirata la mano per andarsene, temendo forte non la donna il volesse ingannare; ma ella l'aveva sì tenuto e teneva, che egli non s'era potuto partire né poteva. La donna rispose a Egano e disse: “Io il ti dirò. Io mi credeva che fosse ciò che tu di' e che egli più fede che alcuno altro ti portasse: ma me ha egli sgannata, per ciò che, quando tu andasti oggi a uccellare, egli rimase qui e, quando tempo gli parve, non si vergogna di richiedermi che io dovessi a' suoi piaceri acconsentirmi; e io, acciò che questa cosa non mi bisognasse con troppe pruove mostrarti e per farlati toccare e vedere, risposi che io era contenta e che stanotte, passata mezzanotte, io andrei nel giardino nostro e a piè del pino l'aspetterei. Ora io per me non intendo d'andarvi; ma se vuogli la fedeltà del tuo famiglio cognoscere, tu puoi leggiermente, mettendoti indosso una delle guarnacche mie e in capo un velo, e andare laggiuso a aspettare se egli vi verrà, ché son certa del sì.” Egano udendo questo disse: “Per certo io il convengo vedere”; e levatosi, come meglio seppe al buio si mise una guarnacca della donna e un velo in capo e andossene nel giardino e appiè d'un pino cominciò a attendere Anichino. La donna, come sentì lui levato e uscito della camera, così si levò e l'uscio di quella dentro serrò. Anichino, il quale la maggior paura che avesse mai avuta avea e che quanto potuto avea s'era sforzato d'uscire delle mani della donna e centomilia volte lei e il suo amore e sé, che fidato se n'era, avea maladetto, sentendo ciò che alla fine aveva fatto fu il più contento uomo che fosse mai; e essendo la donna tornata nel letto, com'ella volle con lei si spogliò, e insieme presero piacere e gioia per un buono spazio di tempo. Poi, non parendo alla donna che Anichino dovesse più stare, il fece levar suso e rivestire e sì gli disse: “Bocca mia dolce, tu prenderai un buon bastone e andra'tene al giardino e faccendo sembianti d'avermi richesta per tentarmi, come se io fossi dessa, dirai villania a Egano e sonera'mel bene col bastone, per ciò che di questo ne seguirà maraviglioso diletto e piacere.” Anichino levatosi e nel giardino andatosene con un pezzo di saligastro in mano, come fu presso al pino e Egano il vide venire, così levatosi come con grandissima festa riceverlo volesse, gli si faceva incontro; al quale Anichin disse: “Ahi malvagia femina, dunque ci se' venuta e hai creduto che io volessi o voglia al mio signore far questo fallo? Tu sii la mal venuta per le mille volte!”, e alzato il bastone lo incominciò a sonare. Egano, udendo questo e veggendo il bastone, senza dir parola cominciò a fuggire, e Anichino appresso sempre dicendo: “Via, che Dio vi metta in malanno, rea femina, ché io il dirò domattina a Egano per certo.” Egano, avendone avute parecchi delle buone, come più tosto poté se ne tornò alla camera; il quale la donna domandò se Anichin fosse al giardin venuto. Egano disse: “Così non fosse egli, per ciò che, credendo esso che io fossi te, m'ha con un

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