Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 165

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troppo più belle che queste non sono e uno storione a messer Corso Donati, le quali non bastandogli per voler dar mangiare a certi gentili uomini, m'ha fatte comperare quest'altre due: non vi verrai tu?” Rispose Ciacco: “Ben sai che io vi verrò.” E quando tempo gli parve, a casa messer Corso se ne andò e trovollo con alcuni suoi vicini che ancora non era andato a desinare; al quale egli, essendo da lui domandato che andasse faccendo, rispose: “Messere, io vengo a desinar con voi e con la vostra brigata.” A cui messer Corso disse: “Tu sie 'l ben venuto: e per ciò che egli è tempo, andianne.” Postisi adunque a tavola, primieramente ebbero del cece e della sorra, e appresso del pesce d'Arno fritto, senza più. Ciacco, accortosi dello 'nganno di Biondello e in sé non poco turbatosene, propose di dovernel pagare; né passar molti dì che egli in lui si scontrò, il qual già molti aveva fatti rider di questa beffa. Biondello, vedutolo, il salutò e ridendo il domandò chenti fossero state le lamprede di messer Corso; a cui Ciacco rispondendo disse: “ Avanti che otto giorni passino tu il saprai molto meglio dir di me.” E senza mettere indugio al fatto, partitosi da Biondello, con un saccente barattier si convenne del prezzo; e datogli un bottaccio di vetro il menò vicino della loggia de' Cavicciuli e mostrogli in quella un cavaliere chiamato messer Filippo Argenti, uom grande e nerboruto e forte, sdegnoso, iracundo e bizzarro più che altro, e dissegli: “Tu te n'andrai a lui con questo fiasco in mano e dira'gli così: ‘Messere, a voi mi manda Biondello, e mandavi pregando che vi piaccia d'arubinargli questo fiasco del vostro buon vin vermiglio, ch'e' si vuole alquanto sollazzar con suoi zanzeri’; e sta bene accorto che egli non ti ponesse le mani addosso, per ciò che egli ti darebbe il mal dì, e avresti guasti i fatti miei.” Disse il barattiere: “Ho io a dire altro?” Disse Ciacco: “No, va pure; e come tu hai questo detto, torna qui a me col fiasco, e io ti pagherò.” Mossosi adunque il barattiere fece a messer Filippo l'ambasciata. Messer Filippo, udito costui, come colui che piccola levatura avea, avvisando che Biondello, il quale egli conosceva, si facesse beffe di lui, tutto tinto nel viso dicendo: “Che ‘arrubinatemi’ e che ‘zanzeri’ son questi? che nel malanno metta Idio te e lui!” si levò in piè e distese il braccio per pigliar con la mano il barattiere; ma il barattiere, come colui che attento stava, fu presto e fuggì via e per altra parte ritornò a Ciacco, il quale ogni cosa veduta avea, e dissegli ciò che messer Filippo aveva detto. Ciacco contento pagò il barattiere, e non riposò mai che egli ebbe ritrovato Biondello, al quale egli disse: “Fostù a questa pezza dalla loggia de' Cavicciuli?” Rispose Biondello: “Mai no; perché me ne domandi tu?” Disse Ciacco: “Per ciò che io ti so dire che messer Filippo ti fa cercare, non so quel ch'e' si vuole.” Disse allora Biondello: “Bene, io vo verso là, io gli farò motto.” Partitosi Biondello, Ciacco gli andò appresso per vedere come il fatto andasse. Messer Filippo, non avendo potuto giugnere il barattiere, era rimaso fieramente turbato e tutto in se medesimo si rodea, non potendo dalle parole dette dal barattiere cosa del mondo trarre altro, se non che Biondello, a instanzia di cui che sia, si facesse beffe di lui; e in questo che egli così si rodeva, e Biondel venne. Il quale come egli vide, fattoglisi incontro, gli diè nel viso un gran punzone. “Oimè! messer, “ disse Biondel “che è questo?” Messer Filippo, presolo per li capelli e stracciatagli la cuffia in capo e gittato il cappuccio per terra e dandogli tuttavia forte, diceva: “Traditore, tu il vedrai bene ciò che questo è: che ‘arrubinatemi’ e che ‘zanzari’ mi mandi tu dicendo a me? paioti io fanciullo da dovere essere uccellato?” E così dicendo con le pugna, le quali aveva che parevan di ferro, tutto il viso gli ruppe né gli lasciò in capo capello che ben gli volesse; e, convoltolo per lo fango, tutti i panni indosso gli stracciò; e sì a questo fatto si studiava, che pure una volta dalla prima innanzi non gli poté Biondello dire una parola né domandare perché questo gli facesse. Aveva egli bene inteso dello ‘arrubinatemi’ e de' ‘zanzeri’, ma non sapeva che ciò si volesse dire. Alla fine, avendol messer Filippo ben battuto e essendogli molti dintorno, alla maggior fatica del mondo gliele trasser di mano così rabbuffato e malconcio com'era; e dissergli perché messer Filippo questo avea fatto, riprendendolo di ciò che mandato gli aveva dicendo, e dicendogli che egli doveva bene oggimai cognoscere messer Filippo e che egli non era uomo da motteggiar con lui. Biondello piagnendo si scusava e diceva che mai a messer Filippo non aveva mandato per vino; ma poi che un poco si fu rimesso in assetto, tristo e dolente se ne tornò a casa, avvisando questa essere stata opera di Ciacco. E poi che dopo molti dì, partiti i lividori del viso, cominciò di casa a uscire, avvenne che Ciacco il trovò e ridendo il domandò: “Biondello, chente ti parve il vino di messer Filippo?” Rispose Biondello: “Tali fosser parute a te le lamprede di messer Corso!” Allora disse Ciacco: “A te sta oramai: qualora tu mi vuogli così ben dare da mangiare come facesti, io darò a te così ben da ber come avesti.” Biondello, che conosceva che contro a Ciacco egli poteva più aver mala voglia che opera, pregò Idio della pace sua e da indi innanzi si guardò di mai più beffarlo.– 9 Due giovani domandan consiglio a Salamone, l'uno come possa essere amato, l'altro come gastigare debba la moglie ritrosa: all'un risponde che ami e all'altro che vada al Ponte all'Oca. Niuno altro che la reina, volendo il privilegio servare a Dioneo, restava a dover novellare; la qual, poi che le donne ebbero assai riso dello sventurato Biondello, lieta cominciò così a parlare: –Amabili donne, se con sana mente sarà riguardato l'ordine delle cose, assai leggermente si conoscerà tutta la universal moltitudine delle femine dalla natura e da' costumi e dalle leggi essere agli uomini sottomessa e secondo la discrezione di quegli convenirsi reggere e governare, e però, a ciascuna che quiete, consolazione e riposo vuole con quegli uomini avere a' quali s'appartiene, dee essere umile, paziente e ubidente oltre all'essere onesta, il che è sommo e spezial tesoro di ciascuna savia. E quando a questo le leggi, le quali il ben comune riguardano in tutte le cose, non ci ammaestrassono, e l'usanza, o costume che vogliamo dire, le cui forze son grandissime e reverende, la natura assai apertamente cel mostra, la quale ci ha fatte ne' corpi dilicate e morbide, negli animi timide e paurose, nelle menti benigne e pietose, e hacci date le corporali forze leggieri, le voci piacevoli e i movimenti de' membri soavi: cose tutte testificanti noi avere dell'altrui governo bisogno. E chi ha bisogno d'essere aiutato e governato, ogni ragion vuol lui dovere essere obediente e subgetto e reverente al governator suo: e cui abbiam noi governatori e aiutatori se non gli uomini? Dunque agli uomini dobbiamo, sommamente onorandoli, soggiacere; e qual da questo si parte, estimo che degnissima sia non solamente di riprension grave ma d'aspro gastigamento. E a così fatta considerazione, come che altra volta avuta l'abbia, pur poco fa mi ricondusse ciò che Pampinea della ritrosa moglie di Talano raccontò, alla quale Idio quello gastigamento mandò che il marito dare non aveva saputo; e per ciò nel mio giudicio cape tutte quelle esser degne, come già dissi, di rigido e aspro gastigamento che dall'esser piacevoli, benivole e pieghevoli, come la natura, l'usanza e le leggi voglion, si partono. Per che m'agrada di raccontarvi un consiglio renduto da Salomone, sì come utile medicina a guerire quelle che così son fatte da cotal male; il quale niuna che di tal medicina degna non sia reputi ciò esser

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