Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 139

Testo di pubblico dominio

conosciuto lo 'nganno della donna, sì per quello e sì per lo vituperio che aver gli parea, subito divenne il più doloroso uomo che fosse mai; e per comandamento del vescovo rivestitosi, a patire gran penitenza del peccato commesso con buona guardia ne fu mandato alla casa. Volle il vescovo appresso sapere come questo fosse avvenuto, che egli quivi con la Ciutazza fosse a giacere andato. I giovani gli dissero ordinatamente ogni cosa; il che il vescovo udito, commendò molto la donna e i giovani altressi, che, senza volersi del sangue de' preti imbrattar le mani, lui sì come egli era degno avean trattato. Questo peccato gli fece il vescovo piagnere quaranta dì ma amore e isdegno gliele fecero piagnere più di quarantanove; senza che, poi a un gran tempo, egli non poteva mai andar per via che egli non fosse da' fanciulli mostrato a dito, li quali dicevano: “Vedi colui che giacque con la Ciutazza”; il che gli era sì gran noia, che egli ne fu quasi in su lo 'mpazzare. E in così fatta guisa la valente donna si tolse da dosso la noia dello impronto proposto, e la Ciutazza guadagnò la camiscia.– 5 Tre giovani traggono le brache a un giudice marchigiano in Firenze, mentre che egli, essendo al banco, teneva ragione. Fatto aveva Emilia fine al suo ragionamento, essendo stata la vedova donna commendata da tutti, quando la reina a Filostrato guardando disse:–A te viene ora il dover dire.– Per la qual cosa egli prestamente rispose sé essere apparecchiato, e cominciò: –Dilettose donne, il giovane che Elissa poco avanti nominò, cioè Maso del Saggio, mi farà lasciare stare una novella la quale io di dire intendeva, per dirne una di lui e d'alcuni suoi compagni: la quale ancora che disonesta non sia per ciò che vocaboli in essa s'usano che voi d'usar vi vergognate, nondimeno è ella tanto da ridere, che io la pur dirò. Come voi tutte potete avere udito, nella nostra città vegnono molto spesso rettori marchigiani, li quali generalmente sono uomini di povero cuore e di vita tanto strema e tanto misera, che altro non pare ogni lor fatto che una pidocchieria: e per questa loro innata miseria e avarizia menan seco e giudici e notari che paiono uomini levati più tosto dall'aratro o tratti dalla calzoleria, che delle scuole delle leggi. Ora, essendovene venuto uno per podestà, tra gli altri molti giudici che seco menò, ne menò uno il quale si facea chiamare messer Niccola da San Lepidio, il quale pareva più tosto un magnano che altro a vedere, e fu posto costui tra gli altri giudici a udire le quistion criminali. E come spesso avviene che, bene che i cittadini non abbiano a fare cosa del mondo a Palagio, pur talvolta vi vanno, avvenne che Maso del Saggio una mattina, cercando d'un suo amico, v'andò; e venutogli guardato là dove questo messer Niccola sedeva, parendogli che fosse un nuovo uccellone, tutto il venne considerando. E come che egli gli vedesse il vaio tutto affummicato in capo e un pennaiuolo a cintola e più lunga la gonnella che la guarnacca e assai altre cose tutte strane da ordinato e costumato uomo, tra queste una, ch'è più notabile che alcuna dell'altre al parer suo, ne gli vide, e ciò fu un paio di brache, le quali, sedendo egli e i panni per istrettezza standogli aperti dinanzi, vide che il fondo loro infino a mezza gamba gli agiugnea. Per che, senza star troppo a guardarle, lasciato quello che andava cercando, incominciò a far cerca nuova; e trovò due suoi compagni, de' quali l'uno aveva nome Ribi e l'altro Matteuzzo, uomini ciascun di loro non meno sollazzevoli che Maso, e disse loro: “Se vi cal di me, venite meco infino a Palagio, ché io vi voglio mostrare il più nuovo squasimodeo che voi vedeste mai.” E con loro andatisene in Palagio, mostrò loro questo giudice e le brache sue. Costoro dalla lungi cominciarono a ridere di questo fatto: e fattisi più vicini alle panche sopra le quali messer lo giudice stava, vider che sotto quelle panche molto leggiermente si poteva andare, e oltre a ciò videro rotta l'asse sopra la quale messer lo giudicio teneva i piedi, tanto che a grande agio vi si poteva mettere la mano e 'l braccio. E allora Maso disse a' compagni: “Io voglio che noi gli traiamo quelle brache del tutto, per ciò che si può troppo bene.” Aveva già ciascun de' compagni veduto come: per che, fra sé ordinato che dovessero fare e dire, la seguente mattina vi ritornarono: e essendo la corte molto piena d'uomini, Matteuzzo, che persona non se ne avvide, entrò sotto il banco e andossene a punto sotto il luogo dove il giudice teneva i piedi. Maso, dall'un de' lati accostatosi a messer lo giudice, il prese per lo lembo della guarnacca; e Ribi accostatosi dall'altro e fatto il simigliante, incominciò Maso a dire: “Messer, o messere: io vi priego per Dio che, innanzi che cotesto ladroncello, che v'è costì dallato, vada altrove, che voi mi facciate rendere un mio paio d'uose le quali egli m'ha imbolate, e dice pur di no; e io il vidi, non è ancora un mese, che le faceva risolare.” Ribi dall'altra parte gridava forte: “Messere, non gli credete, ché egli è un ghiottoncello; e perché egli sa che io son venuto a richiamarmi di lui d'una valigia la quale egli m'ha imbolata, è egli testé venuto e dice dell'uose, che io m'aveva in casa infin vie l'altrieri; e se voi non mi credeste, io vi posso dare per testimonia la trecca mia da lato e la Grassa ventraiuola e uno che va ricogliendo la spazzatura da Santa Maria a Verzaia, che 'l vide quando egli tornava di villa.” Maso d'altra parte non lasciava dire a Ribi, anzi gridava, e Ribi gridava ancora. E mentre che il giudice stava ritto e loro più vicino per intendergli meglio, Matteuzzo, preso tempo, mise la mano per lo rotto dell'asse e pigliò il fondo delle brache del giudice e tirò giù forte: le brache ne venner giuso incontanente, per ciò che il giudice era magro e sgroppato. Il quale, questo fatto sentendo e non sappiendo che ciò si fosse, volendosi tirare i panni dinanzi e ricoprirsi e porsi a sedere, Maso dall'un lato e Ribi dall'altro pur tenendolo e gridando forte: “Messer, voi fate villania a non farmi ragione e non volermi udire e volervene andare altrove; di così piccola cosa, come questa è, non si dà libello in questa terra”, e tanto in queste parole il tennero per li panni, che quanti nella corte n'erano s'accorsero essergli state tratte le brache. Ma Matteuzzo, poi che alquanto tenute l'ebbe, lasciatele, se ne uscì fuori e andossene senza esser veduto. Ribi, parendogli avere assai fatto, disse: “Io fo boto a Dio d'aiutarmene al sindacato!” E Maso d'altra parte, lasciatagli la guarnacca, disse: “No, io ci pur verrò tante volte, che io non vi troverò così impacciato come voi siete paruto stamane”, e l'uno in qua e l'altro in là, come più tosto poterono, si partirono. Messer lo giudice, tirate in sù le brache in presenza d'ogni uomo, come se da dormir si levasse, accorgendosi pure allora del fatto, domandò dove fossero andati quegli che dell'uose e della valigia avevan quistione; ma non ritrovandosi, cominciò a giurare per le budella di Dio che e' gli conveniva cognoscere e saper se egli s'usava a Firenze di trarre le brache a' giudici quando sedevano al banco della ragione. Il podestà d'altra parte, sentitolo, fece un grande schiamazzio: poi per suoi amici mostratogli che questo non gli era fatto se non per mostrargli che i fiorentin conoscevano che, dove egli doveva aver menati giudici, egli aveva menati becconi per averne miglior mercato, per lo migliore si tacque, né più avanti andò la cosa per quella volta.– 6 Bruno e Buffalmacco imbolano un porco a Calandrino; fannogli fare la sperienza da ritrovarlo con galle di gengiovo e con vernaccia, e a lui ne danno due, l'una dopo l'altra, di quelle del cane confettate in aloè, e pare che l'abbia avuto egli stesso: fannolo ricomperare, se egli non vuole che alla moglie il dicano. Non ebbe prima la novella di Filostrato fine, della quale molto si rise,

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