Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 28

Testo di pubblico dominio

se alzare potesse il coperchio, ma invano si faticava: per che da grave dolor vinto, venendo meno cadde sopra il morto corpo dell'arcivescovo; e chi allora veduti gli avesse malagevolmente avrebbe conosciuto chi più si fosse morto, o l'arcivescovo o egli. Ma poi che in sé fu ritornato, dirottissimamente cominciò a piagnere, veggendosi quivi senza dubbio all'un de' due fini dover pervenire: o in quella arca, non venendovi alcuni più a aprirla, di fame e di puzzo tra' vermini del morto corpo convenirlo morire, o vegnendovi alcuni e trovandovi lui dentro, sì come ladro dovere essere appiccato. E in così fatti pensieri e doloroso molto stando, sentì per la chiesa andar genti e parlar molte persone, le quali, sì come gli avvisava, quello andavano a fare che esso co' suoi compagni avean già fatto: di che la paura gli crebbe forte. Ma poi che costoro ebbero l'arca aperta e puntellata, in quistion caddero chi vi dovesse entrare, e niuno il voleva fare; pur dopo lunga tencione un prete disse: “Che paura avete voi? credete voi che egli vi manuchi? Li morti non mangian gli uomini: io v'entrerò dentro io.” E così detto, posto il petto sopra l'orlo dell'arca, volse il capo in fuori e dentro mandò le gambe per doversi giuso calare. Andreuccio, questo vedendo, in piè levatosi prese il prete per l'una delle gambe e fé sembiante di volerlo giù tirare. La qual cosa sentendo il prete mise uno strido grandissimo e presto dell'arca si gittò fuori; della qual cosa tutti gli altri spaventati, lasciata l'arca aperta, non altramente a fuggir cominciarono che se da centomilia diavoli fosser perseguitati. La qual cosa veggendo Andreuccio, lieto oltre a quello che sperava, subito si gittò fuori e per quella via onde era venuto se ne uscì della chiesa; e già avvicinandosi al giorno, con quello anello in dito andando all'avventura, pervenne alla marina e quindi al suo albergo si abbatté; dove li suoi compagni e l'albergatore trovò tutta la notte stati in sollecitudine de' fatti suoi. A' quali ciò che avvenuto gli era raccontato, parve per lo consiglio dell'oste loro che costui incontanente si dovesse di Napoli partire; la qual cosa egli fece prestamente e a Perugia tornossi, avendo il suo investito in uno anello, dove per comperare cavalli era andato. 6 Madama Beritola, con due cavriuoli sopra una isola trovata, avendo due figliuoli perduti, ne va in Lunigiana; quivi l'un de' figliuoli col signore di lei si pone e con la figliuola di lui giace e è messo in prigione: Cicilia ribellata al re Carlo e il figliuolo riconosciuto dalla madre, sposa la figliuola del suo signore e il suo fratel ritrova e in grande stato ritornano. Avevan le donne parimente e' giovani riso molto de' casi d'Andreuccio dalla Fiammetta narrati, quando Emilia, sentendo la novella finita, per comandamento della reina così cominciò: –Gravi cose e noiose sono i movimenti varii della fortuna, de' quali però che quante volte alcuna cosa si parla, tante è un destare delle nostre menti, le quali leggiermente s'adormentano nelle sue lusinghe, giudico mai rincrescer non dover l'ascoltare e a' felici e agli sventurati, in quanto li primi rende avvisati e i secondi consola. E per ciò, quantunque gran cose dette ne sieno avanti, io intendo di raccontarvene una novella non meno vera che pietosa: la quale ancora che lieto fine avesse, fu tanta e sì lunga l'amaritudine, che appena che io possa credere che mai da letizia seguita si radolcisse. Carissime donne, voi dovete sapere che appresso la morte di Federigo secondo imperadore fu re di Cicilia coronato Manfredi, appo il quale in grandissimo stato fu un gentile uomo di Napoli chiamato Arrighetto Capece, il qual per moglie avea una bella e gentil donna similmente napoletana, chiamata madama Beritola Caracciola. Il quale Arrighetto, avendo il governo dell'isola nelle mani, sentendo che il re Carlo primo aveva a Benevento vinto e ucciso Manfredi, e tutto il Regno a lui si rivolgea, avendo poca sicurtà della corta fede de' ciciliani, non volendo subdito divenire del nemico del suo signore, di fuggire s'apparecchiava. Ma questo da' ciciliani conosciuto, subitamente egli e molti altri amici e servidori del re Manfredi furono per prigioni dati al re Carlo e la possessione dell'isola appresso. Madama Beritola in tanto mutamento di cose, non sappiendo che d'Arrighetto si fosse e sempre di quello che era avvenuto temendo, per tema di vergogna, ogni sua cosa lasciata, con un suo figliuolo d'età forse d'otto anni, chiamato Giuffredi, e gravida e povera montata sopra una barchetta se ne fuggì a Lipari, e quivi partorì un altro figliuol maschio, il quale nominò lo Scacciato; e presa una balia, con tutti sopra un legnetto montò per tornarsene a Napoli a' suoi parenti. Ma altramenti avvenne che il suo avviso; per ciò che per forza di vento il legno, che a Napoli andar dovea, fu trasportato all'isola di Ponzo, dove, entrati in un picciol seno di mare, cominciarono a attender tempo al lor viaggio. Madama Beritola, come gli altri smontata in su l'isola e sopra quella un luogo solitario e rimoto trovato, quivi a dolersi del suo Arrighetto si mise tutta sola. E questa maniera ciascun giorno tenendo, avvenne che, essendo ella al suo dolersi occupata, senza che alcuno o marinaro o altri se n'acorgesse, una galea di corsari sopravenne, la quale tutti a man salva gli prese e andò via. Madama Beritola, finito il suo diurno lamento, tornata al lito per rivedere i figliuoli, come usata era di fare, niuna persona vi trovò; di che prima si maravigliò e poi, subitamente di quello che avvenuto era sospettando, gli occhi infra 'l mar sospinse e vide la galea, non molto ancora allungata, dietro tirarsi il legnetto: per la qual cosa ottimamente cognobbe, sì come il marito, aver perduti i figliuoli. E povera e sola e abbandonata, senza saper dove mai alcuno doversene ritrovare, quivi vedendosi, tramortita il marito e' figliuoli chiamando cadde in su il lito. Quivi non era chi con acqua fredda o con altro argomento le smarrite forze rivocasse, per che a bell'agio poterono gli spiriti andar vagando dove lor piacque: ma poi che nel misero corpo le partite forze insieme con le lagrime e col pianto tornate furono, lungamente chiamò i figliuoli e molto per ogni caverna gli andò cercando. Ma poi che la sua fatica conobbe vana e vide la notte sopravenire, sperando e non sappiendo che, di se medesima alquanto divenne sollecita, e dal lito partitasi in quella caverna, dove di piagnere e di dolersi era usa, si ritornò. E poi che la notte con molta paura e con dolore inestimabile fu passata e il dì nuovo venuto e già l'ora della terza valicata, essa, che la sera davanti cenato non avea, da fame constretta a pascer l'erbe si diede; e, pasciuta come poté, piangendo a varii pensieri della sua futura vita si diede. Ne' quali mentre ella dimorava, vide venire una cavriuola e entrare ivi vicino in una caverna e dopo alquanto uscirne e per lo bosco andarsene: per che ella, levatasi, là entrò donde uscita era la cavriuola, e videvi due cavriuoli forse il dì medesimo nati, li quali le parevano la più dolce cosa del mondo e la più vezzosa; e non essendolesi ancora del nuovo parto rasciutto il latte del petto, quegli teneramente prese e al petto gli si pose. Li quali, non rifiutando il servigio, così lei poppavano come la madre avrebber fatto; e d'allora innanzi dalla madre a lei niuna distinzion fecero. Per che, parendo alla gentil donna avere nel diserto luogo alcuna compagnia trovata, l'erbe pascendo e bevendo l'acqua e tante volte piagnendo quante del marito e de' figliuoli e della sua preterita vita si ricordava, quivi è a vivere e a morire s'era disposta, non meno dimestica della cavriuola divenuta che de' figliuoli. E così dimorando la gentil donna divenuta fiera, avvenne dopo più mesi che per fortuna similmente quivi arrivò uno legnetto di pisani dove ella prima era arrivata, e più giorni vi dimorò. Era sopra quel legno un gentile uomo chiamato Currado de'

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