Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 103

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che questa malvagia femina ha meritato.” E così dicendo, i cani, presa forte la giovane ne' fianchi, la fermarono, e il cavaliere sopragiunto smontò da cavallo; al quale Nastagio avvicinatosi disse: “Io non so chi tu ti se' che me così cognosci, ma tanto ti dico che gran viltà è d'un cavaliere armato volere uccidere una femina ignuda e averle i cani alle coste messi come se ella fosse una fiera salvatica: io per certo la difenderò quant'io potrò.” Il cavaliere allora disse: “Nastagio, io fui d'una medesima terra teco, e eri tu ancora piccol fanciullo quando io, il quale fui chiamato messer Guido degli Anastagia, era troppo più innamorato di costei che tu ora non se' di quella de' Traversari; e per la sua fierezza e crudeltà andò sì la mia sciagura, che io un dì con questo stocco, il quale tu mi vedi in mano, come disperato m'uccisi, e sono alle pene eternali dannato. Né stette poi guari tempo che costei, la qual della mia morte fu lieta oltre misura, morì, e per lo peccato della sua crudeltà e della letizia avuta de' miei tormenti, non pentendosene, come colei che non credeva in ciò aver peccato ma meritato, similmente fu e è dannata alle pene del Ninferno. Nel quale come ella discese, così ne fu e a lei e a me per pena dato, a lei di fuggirmi davanti e a me, che già cotanto l'amai, di seguitarla come mortal nemica, non come amata donna; e quante volte io la giungo, tante con questo stocco, col quale io uccisi me, uccido lei e aprola per ischiena, e quel cuor duro e freddo, nel qual mai né amor né pietà poterono entrare, con l'altre interiora insieme, sì come tu vedrai incontanente, le caccio di corpo e dolle mangiare a questi cani. Né sta poi grande spazio che ella, sì come la giustizia e la potenzia di Dio vuole, come se morta non fosse stata, risurge e da capo incomincia la dolorosa fugga, e i cani e io a seguitarla. E avviene che ogni venerdì in su questa ora io la giungo qui e qui ne fo lo strazio che vederai; e gli altri dì non credere che noi riposiamo, ma giungola in altri luoghi ne' quali ella crudelmente contro a me pensò o operò; e essendole d'amante divenuto nemico, come tu vedi, me la conviene in questa guisa tanti anni seguitar quanti mesi ella fu contro a me crudele. Adunque lasciami la divina giustizia mandare a essecuzione, né ti volere opporre a quello a che tu non potresti contrastare.” Nastagio, udendo queste parole, tutto timido divenuto e quasi non avendo pelo addosso che arricciato non fosse, tirandosi adietro e riguardando alla misera giovane, cominciò pauroso a aspettare quello che facesse il cavaliere; il quale, finito il suo ragionare, a guisa d'un cane rabbioso con lo stocco in mano corse addosso alla giovane, la quale inginocchiata e da' due mastini tenuta forte gli gridava mercé, e a quella con tutta sua forza diede per mezzo il petto e passolla dall'altra parte. Il qual colpo come la giovane ebbe ricevuto, così cadde boccone sempre piagnendo e gridando: e il cavaliere, messo mano a un coltello, quella aprì nelle reni, e fuori trattone il cuore e ogni altra cosa da torno, a' due mastini il gittò, li quali affamatissimi incontanente il mangiarono. Né stette guari che la giovane, quasi niuna di queste cose stata fosse, subitamente si levò in piè e cominciò a fuggire verso il mare, e i cani appresso di lei sempre lacerandola: e il cavaliere, rimontato a cavallo e ripreso il suo stocco, la cominciò a seguitare, e in picciola ora si dileguarono in maniera che più Nastagio non gli poté vedere. Il quale, avendo queste cose vedute, gran pezza stette tra pietoso e pauroso: e dopo alquanto gli venne nella mente questa cosa dovergli molto poter valere, poi che ogni venerdì avvenia; per che, segnato il luogo, a' suoi famigliari se ne tornò, e appresso, quando gli parve, mandato per più suoi parenti e amici, disse loro: “Voi m'avete lungo tempo stimolato che io d'amare questa mia nemica mi rimanga e ponga fine al mio spendere, e io son presto di farlo dove voi una grazia m'impetriate, la quale è questa: che venerdì che viene voi facciate sì che messer Paolo Traversari e la moglie e la figliuola e tutte le donne lor parenti, e altre chi vi piacerà, qui sieno a desinar meco. Quello per che io questo voglia, voi il vedrete allora.” A costor parve questa assai piccola cosa a dover fare; e a Ravenna tornati, quando tempo fu, coloro invitarono li quali Nastagio voleva, e come che dura cosa fosse il potervi menare la giovane da Nastagio amata, pur v'andò con l'altre insieme. Nastagio fece magnificamente apprestar da mangiare e fece le tavole mettere sotto i pini dintorno a quel luogo dove veduto aveva lo strazio della crudel donna; e fatti metter gli uomini e le donne a tavola, sì ordinò, che appunto la giovane amata da lui fu posta a seder di rimpetto al luogo dove doveva il fatto intervenire. Essendo adunque già venuta l'ultima vivanda, e il romor disperato della cacciata giovane da tutti fu cominciato a udire. Di che maravigliandosi forte ciascuno e domandando che ciò fosse e niuno sappiendol dire, levatisi tutti diritti e riguardando che ciò potesse essere, videro la dolente giovane e 'l cavaliere e' cani; né guari stette che essi tutti furon quivi tra loro. Il romore fu fatto grande e a' cani e al cavaliere, e molti per aiutare la giovane si fecero innanzi; ma il cavaliere, parlando loro come a Nastagio aveva parlato, non solamente gli fece indietro tirare ma tutti gli spaventò e riempié di maraviglia; e faccendo quello che altra volta aveva fatto, quante donne v'aveva (ché ve ne aveva assai che parenti erano state e della dolente giovane e del cavaliere e che si ricordavano dell'amore e della morte di lui) tutte così miseramente piagnevano come se a se medesime quello avesser veduto fare. La qual cosa al suo termine fornita, e andata via la donna e 'l cavaliere, mise costoro che ciò veduto aveano in molti e varii ragionamenti. Ma tra gli altri che più di spavento ebbero, fu la crudel giovane da Nastagio amata, la quale ogni cosa distintamente veduta avea e udita e conosciuto che a sé più che a altra persona che vi fosse queste cose toccavano, ricordandosi della crudeltà sempre da lei usata verso Nastagio; per che già le parea fuggire dinanzi da lui adirato e avere i mastini a' fianchi. E tanta fu la paura che di questo le nacque, che, acciò che questo a lei non avvenisse, prima tempo non si vide, il quale quella medesima sera prestato le fu, che ella, avendo l'odio in amor tramutato, una sua fida cameriera segretamente a Nastagio mandò, la quale da parte di lei il pregò che gli dovesse piacere d'andare a lei, per ciò che ella era presta di far tutto ciò che fosse piacer di lui. Alla qual Nastagio fece rispondere che questo gli era a grado molto, ma che, dove le piacesse, con onor di lei voleva il suo piacere, e questo era sposandola per moglie. La giovane, la qual sapeva che da altrui che da lei rimaso non era che moglie di Nastagio stata non fosse, gli fece risponder che le piacea. Per che, essendo ella medesima la messaggera, al padre e alla madre disse che era contenta d'essere sposa di Nastagio, di che essi furon contenti molto. E la domenica seguente Nastagio sposatala e fatte le sue nozze, con lei più tempo lietamente visse. E non fu questa paura cagione solamente di questo bene, anzi sì tutte le ravignane donne paurose ne divennero, che sempre poi troppo più arrendevoli a' piaceri degli uomini furono che prima state non erano.– 9 Federigo degli Alberighi ama e non è amato, e in cortesia spendendo si consuma e rimangli un sol falcone, il quale, non avendo altro, dà a mangiare alla sua donna venutagli a casa; la qual, ciò sappiendo, mutata d'animo, il prende per marito e fallo ricco. Era già di parlar ristata Filomena, quando la reina, avendo veduto che più niuno a dover dire, se non Dioneo per lo suo privilegio, v'era rimaso, con lieto viso disse: –A me omai appartiene di ragionare; e io, carissime donne, da una novella simile in

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Argomenti: lungo tempo,    grande spazio,    presa forte,    cane rabbioso,    tenuta forte

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