Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 127

Testo di pubblico dominio

bastone tutto rotto e dettami la maggior villania che mai si dicesse a niuna cattiva femina: e per certo io mi maravigliava forte di lui che egli con animo di far cosa che mi fosse vergogna t'avesse quelle parole dette; ma per ciò che così lieta e festante ti vede, ti volle provare.” Allora disse la donna: “Lodato sia Idio che egli ha me provata con parole e te con fatti; e credo che egli possa dire che io porti con più pazienzia le parole che tu i fatti non fai. Ma poi che tanta fede ti porta, si vuole aver caro e fargli onore.” Egano disse: “Per certo tu di' il vero.” E da questo prendendo argomento, era in opinione d'avere la più leal donna e il più fedel servidore che mai avesse alcun gentile uomo; per la qual cosa, come che poi più volte con Anichino e egli e la donna ridesser di questo fatto, Anichino e la donna ebbero assai agio di quello per avventura avuto non avrebbeno a far di quello che loro era diletto e piacere, mentre a Anichin piacque dimorar con Egano in Bologna.– 8 Un diviene geloso della moglie, e ella, legandosi uno spago al dito la notte, sente il suo amante venire a lei; il marito se n'accorge, e mentre seguita l'amante la donna mette in luogo di sé nel letto un'altra femina, la quale il marito batte e tagliale le trecce, e poi va per li fratelli di lei; li quali, trovando ciò non esser vero, gli dicono villania. Stranamente pareva a tutti madonna Beatrice essere stata maliziosa in beffare il suo marito, e ciascuno affermava dovere essere stata la paura d'Anichino grandissima quando tenuto forte dalla donna l'udì dire che egli d'amore l'aveva richesta. Ma poi che il re vide Filomena tacersi, verso Neifile voltosi disse:–Dite voi–; la qual, sorridendo prima un poco, cominciò: –Belle donne, gran peso mi resta se io vorrò con una bella novella contentarvi, come quelle che davanti hanno detto contentate v'hanno; del quale con l'aiuto di Dio io spero assai bene scaricarmi. Dovete dunque sapere che nella nostra città fu già un ricchissimo mercatante chiamato Arriguccio Berlinghieri, il quale scioccamente, sì come ancora oggi fanno tutto 'l dì i mercatanti, pensò di volere ingentilire per moglie; e prese una giovane gentil donna male a lui convenientesi, il cui nome fu monna Sismonda. La quale, per ciò che egli, sì come i mercatanti fanno, andava molto da torno e poco con lei dimorava, s'innamorò d'un giovane chiamato Ruberto, il quale lungamente vagheggiata l'avea. E avendo presa sua dimestichezza e quella forse men discretamente usando, per ciò che sommamente le dilettava, avvenne, o che Arriguccio alcuna cosa ne sentisse o come che s'andasse, egli ne diventò il più geloso uomo del mondo e lascionne stare l'andar da torno e ogn'altro suo fatto e quasi tutta la suo sollicitudine aveva posta in guardar ben costei, né mai adormentato si sarebbe se lei primieramente non avesse sentita entrar nel letto: per la qual cosa la donna sentiva gravissimo dolore, per ciò che in guisa niuna col suo Ruberto esser poteva. Or pure, avendo molti pensieri avuti a dover trovare alcun modo d'esser con essolui e molto ancora da lui essendone sollicitata, le venne pensato di tener questa maniera: che, con ciò fosse cosa che la sua camera fosse lungo la via e ella si fosse molte volte accorta che Arriguccio assai a adormentarsi penasse ma poi dormiva saldissimo, avvisò di dover far venire Ruberto in su la mezzanotte all'uscio della casa e d'andargli a aprire e a starsi alquanto con essolui mentre il marito dormiva forte. E a fare che ella il sentisse quando venuto fosse, in guisa che persona non se ne accorgesse, divisò di mandare uno spaghetto fuori della finestra della camera, il quale con l'un de' capi vicino alla terra aggiugnesse, e l'altro capo mandatol basso infin sopra 'l palco e conducendolo al letto suo, quello sotto i panni mettere, e quando essa nel letto fosse, legallosi al dito grosso del piede; e appresso mandato questo a dire a Ruberto, gl'impose che, quando venisse, dovesse lo spago tirare, e ella, se il marito dormisse, il lascerebbe andare e andrebbegli a aprire; e se egli non dormisse, ella il terrebbe fermo e tirerebbelo a sé, acciò che egli non aspettasse. La qual cosa piacque a Ruberto: e assai volte andatovi, alcuna gli venne fatto d'esser con lei e alcuna no. Ultimamente, continuando costoro questo artificio così fatto, avvenne una notte che, dormendo la donna e Arriguccio stendendo il piè per lo letto, gli venne questo spago trovato; per che, postavi la mano e trovatolo al dito della donna legato, disse seco stesso: “Questo dee essere qualche inganno.” E avvedutosi poi che lo spago usciva fuori per la finestra, l'ebbe per fermo: per che, pianamente tagliatolo dal dito della donna, al suo il legò e stette attento per vedere quel che questo volesse dire. Né stette guari che Ruberto venne e tirato lo spago, come usato era, Arriguccio si sentì; e non avendoselo ben saputo legare, e Ruberto, avendo tirato forte e essendogli lo spago in man venuto, intese di doversi aspettare; e così fece. Arriguccio, levatosi prestamente e prese sue armi, corse all'uscio per dover vedere chi fosse costui e per fargli male. Ora era Arriguccio, con tutto che fosse mercatante, un fiero uomo e un forte; e giunto all'uscio e non aprendolo soavemente come soleva far la donna, e Ruberto che aspettava, sentendolo, s'avvisò esser ciò che era, cioè che colui che l'uscio apriva fosse Arriguccio: per che prestamente cominciò a fuggire, e Arriguccio a seguitarlo. Ultimamente, avendo Ruberto un gran pezzo fuggito e colui non cessando di seguitarlo, essendo altressì Ruberto armato, tirò fuori la spada e rivolsesi, e incominciarono l'uno a volere offendere e l'altro a difendersi. La donna, come Arriguccio aprì la camera svegliatasi e trovatosi tagliato lo spago dal dito, incontanente s'accorse che il suo inganno era scoperto: e sentendo Arriguccio esser corso dietro a Ruberto, prestamente levatasi, avvisandosi ciò che doveva potere avvenire, chiamò la fante sua, la quale ogni cosa sapeva, e tanto la predicò, che ella in persona di sé nel suo letto la mise, pregandola che senza farsi conoscere quelle busse pazientemente ricevesse che Arriguccio le desse, per ciò che ella ne le renderebbe sì fatto merito, che ella non avrebbe cagione donde dolersi. E spento il lume che nella camera ardeva, di quella s'uscì e nascosa in una parte della casa cominciò a aspettare quello che dovesse avvenire. Essendo tra Arriguccio e Ruberto la zuffa, i vicini della contrada sentendola e levatisi cominciarono loro a dir male, e Arriguccio, per tema di non esser conosciuto, senza aver potuto sapere chi il giovane si fosse o d'alcuna cosa offenderlo, adirato e di mal talento, lasciatolo stare, se ne tornò verso la casa sua; e pervenuto nella camera adiratamente cominciò a dire: “Ove se' tu, rea femina? Tu hai spento il lume perché io non ti truovi, ma tu l'hai fallita!” E andatosene al letto, credendosi la moglie pigliare, prese la fante, e quanto egli poté menare le mani e' piedi tante pugna e tanti calci le diede, tanto che tutto il viso l'amaccò; e ultimamente le tagliò i capegli, sempre dicendole la maggior villania che mai a cattiva femina si dicesse. La fante piagneva forte, come colei che aveva di che; e ancora che ella alcuna volta dicesse “Oimè! mercé per Dio!”, o “Non più!”, era sì la voce dal pianto rotta e Arriguccio impedito dal suo furore, che discerner non poteva più quella esser d'un'altra femina che della moglie. Battutala adunque di santa ragione e tagliatile i capelli, come dicemmo, disse: “Malvagia femina, io non intendo di toccarti altramenti, ma io andrò per li tuoi fratelli e dirò loro le tue buone opere, e appresso che essi vengan per te e faccianne quello che essi credono che loro onor fia e menintene: ché per certo in questa casa non starai tu mai più.” E così detto, uscito della camera, la serrò di fuori e andò tutto sol via. Come monna Sismonda, che ogni cosa

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