Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 68

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n'andò. E sentendo le donne e' cavalieri nel palagio del conte adunati per dovere andare a tavola, senza mutare abito, con questi suoi figlioletti in braccio salita in su la sala, tra uomo e uomo là se n'andò dove il conte vide, e gittataglisi a' piedi disse piagnendo: “Signor mio, io sono la tua sventurata sposa, la quale, per lasciar te tornare e stare in casa tua, lungamente andata son tapinando. Io ti richeggio per Dio che le condizion postemi per li due cavalieri che io ti mandai, tu le mi osservi: e ecco nelle mie braccia non un sol figliuolo di te, ma due, e ecco qui il tuo anello. Tempo è adunque che io debba da te sì come moglie esser ricevuta secondo la tua promessa.” Il conte udendo questo tutto misvenne e riconobbe l'anello e i figliuoli ancora, sì simili erano a lui; ma pur disse: “Come può questo essere intervenuto?” La contessa, con gran maraviglia del conte e di tutti gli altri che presenti erano, ordinatamente ciò che stato era e come raccontò; per la qual cosa il conte, conoscendo lei dire il vero e veggendo la sua perseveranza e il suo senno e appresso due così be' figlioletti, e per servar quello che promesso avea e per compiacere a tutti i suoi uomini e alle donne, che tutti pregavano che lei come sua legittima sposa dovesse omai raccogliere e onorare, pose giù la sua obstinata gravezza e in piè fece levar la contessa e lei abbracciò e basciò e per sua legittima moglie riconobbe, e quegli per suoi figliuoli. E fattala di vestimenti a lei convenevoli rivestire, con grandissimo piacere di quanti ve n'erano e di tutti gli altri suoi vassalli che ciò sentirono, fece non solamente tutto quel dì ma più altri grandissima festa; e da quel dì innanzi lei sempre come sua sposa e moglie onorando l'amò e sommamente ebbe cara.– 10 Alibech divien romita, a cui Rustico monaco insegna rimettere il diavolo in Inferno: poi, quindi tolta, diventa moglie di Neerbale. Dioneo, che diligentemente la novella della reina ascoltata avea, sentendo che, finita era e che a lui solo restava il dire, senza comandamento aspettare sorridendo cominciò a dire: –Graziose donne, voi non udiste forse mai dire come il diavolo si rimetta in Inferno; e per ciò, senza partirmi guari dall'effetto che voi tutto questo dì ragionato avete, io il vi vo' dire: forse ancora ne potrete guadagnar l'anima avendolo apparato, e potrete anche conoscere che, quantunque Amore i lieti palagi e le morbide camere più volentieri che le povere capanne abiti, non è egli per ciò che alcuna volta esso fra' folti boschi e fra le rigide alpi e nelle diserte spelunche non faccia le sue forze sentire: il perché comprender si può alla sua potenza essere ogni cosa subgetta. Adunque, venendo al fatto, dico che nella città di Capsa in Barberia fu già un ricchissimo uomo, il quale tra alcuni altri suoi figliuoli aveva una figlioletta bella e gentilesca, il cui nome fu Alibech. La quale, non essendo cristiana e udendo a molti cristiani che nella città erano molto commendare la cristiana fede e il servire a Dio, un dì ne domandò alcuno in che maniera e con meno impedimento a Dio si potesse servire. Il quale le rispose che coloro meglio a Dio servivano che più dalle cose del mondo fuggivano, come coloro facevano che nelle solitudini de' diserti di Tebaida andati se n'erano. La giovane, che semplicissima era e d'età forse di quattordici anni, non da ordinato disidero ma da un cotal fanciullesco appetito, senza altro farne a alcuna persona sentire, la seguente mattina a andare verso il diserto di Tebaida nascosamente tutta sola si mise; e con gran fatica di lei, durando l'appetito, dopo alcun dì a quelle solitudini pervenne, e veduta di lontano una casetta a quella n'andò, dove un santo uomo trovò sopra l'uscio, il quale, maravigliandosi di quivi vederla, la domandò quello che ella andasse cercando. La quale rispose che, spirata da Dio, andava cercando d'essere al suo servigio e ancora chi le 'nsegnasse come servire gli si convenia. Il valente uomo, veggendola giovane e assai bella, temendo non il dimonio, se egli la ritenesse, lo 'ngannasse, le commendò la sua buona disposizione; e dandole alquanto da mangiare radici d'erbe e pomi salvatichi e datteri e bere acqua, le disse: “Figliuola mia, non guari lontan di qui è un santo uomo, il quale di ciò che tu vai cercando è molto migliore maestro che io non sono: a lui te n'andrai”; e misela nella via. E ella, pervenuta a lui e avute da lui queste medesime parole, andata più avanti, pervenne alla cella d'uno romito giovane, assai divota persona e buona, il cui nome era Rustico, e quella dimanda gli fece che agli altri aveva fatta. Il quale, per volere fare della sua fermezza una gran pruova, non come gli altri la mandò via o più avanti ma seco la ritenne nella sua cella: e venuta la notte, un lettuccio di frondi di palma le fece da una parte e sopra quello le disse si riposasse. Questo fatto, non preser guari d'indugio le tentazioni a dar battaglia alle forze di costui: il quale, trovandosi di gran lunga ingannato, da quelle senza troppi assalti voltò le spalle e rendessi per vinto; e lasciati stare dall'una delle parti i pensier santi e l'orazioni e le discipline, a recarsi per la memoria la giovanezza e la bellezza di costei incominciò, e oltre a questo a pensar che via e che modo egli dovesse con lei tenere, acciò che essa non s'accorgesse lui come uomo dissoluto pervenire a quello che egli di lei disiderava. E tentato primieramente con certe domande, lei non avere mai uomo conosciuto conobbe e così esser semplice come parea: per che s'avisò come, sotto spezie di servire a Dio, lei dovesse recare a' suoi piaceri. E primieramente con molte parole le mostrò quanto il diavolo fosse nemico di Domenedio, e appresso le diede a intendere che quel servigio che più si poteva far grato a Dio si era rimettere il diavolo in Inferno, nel quale Domenedio l'aveva dannato. La giovanetta il domandò come questo si facesse; alla quale Rustico disse: “Tu il saprai tosto, e perciò farai quello che a me far vedrai”; e cominciossi a spogliare quegli pochi vestimenti che avea e rimase tutto ignudo, e così ancora fece la fanciulla; e posesi ginocchione a guisa che adorar volesse e di rimpetto a sé fece star lei. E così stando, essendo Rustico più che mai nel suo disidero acceso per lo vederla così bella, venne la resurrezion della carne; la quale riguardando Alibech e maravigliatasi disse: “Rustico, quella che cosa è che io ti veggio che così si pigne in fuori, e non l'ho io?” “O figliuola mia, “ disse Rustico “questo è il diavolo di che io t'ho parlato; e vedi tu ora egli mi dà grandissima molestia, tanta che io appena la posso sofferire.” Allora disse la giovane: “Oh lodato sia Iddio, ché io veggio che io sto meglio che non stai tu, ché io non ho cotesto diavolo io.” Disse Rustico: “Tu di' vero, ma tu hai un'altra cosa che non l'ho io, e haila in iscambio di questo.” Disse Alibech: “O che?”. A cui Rustico disse: “Hai il ninferno; e dicoti che io mi credo che Idio t'abbia qui mandata per la salute dell'anima mia, per ciò che se questo diavolo pur mi darà questa noia, ove tu vogli aver di me tanta pietà e sofferire che io in inferno il rimetta, tu mi darai grandissima consolazione e a Dio farai grandissimo piacere e servigio, se tu per quello fare in queste parti venuta se', che tu di'.” La giovane di buona fede rispose: “O padre mio, poscia che io ho il ninferno, sia pure quando vi piacerà.” Disse allora Rustico: “Figliuola mia, benedetta sie tu! Andiamo dunque e rimettianlovi sì che egli poscia mi lasci stare.” E così detto, menata la giovane sopra uno de' lor letticelli, le 'nsegnò come star si dovesse a dovere incarcerare quel maladetto da Dio. La giovane, che mai più non aveva in inferno messo diavolo alcuno, per la prima volta sentì un poco di noia, per che ella disse a Rustico: “Per certo, padre mio, mala cosa dee essere questo diavolo e

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