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Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 64

Testo di pubblico dominio

che puote una mia pari, che a un così fatto uomo, come voi siete, sia convenevole?” A cui l'abate disse: “Madonna, voi potete non meno adoperar per me che sia quello che io mi metto a far per voi, per ciò che, sì come io mi dispongo a far quello che vostro bene e vostra consolazion dee essere, così voi potete far quello che fia salute e scampo della vita mia.” Disse allora la donna: “Se così è, io sono apparecchiata.” “Adunque” disse l'abate “mi donerete voi il vostro amore e faretemi contento di voi, per la quale io ardo tutto e mi consumo.” La donna, udendo questo, tutta sbigottita rispose: “Oimè, padre mio, che è ciò che voi domandate? Io mi credeva che voi foste un santo: or conviensi egli a' santi uomini di richieder le donne, che a lor vanno per consiglio, di così fatte cose?” A cui l'abate disse: “Anima mia bella, non vi maravigliate, ché per questo la santità non diventa minore, per ciò che ella dimora nell'anima e quello che io vi domando è peccato del corpo. Ma che che si sia, tanta forza ha avuta la vostra vaga bellezza, che amore mi costrigne a così fare; e dicovi che voi della vostra bellezza più che altra donna gloriar vi potete, pensando che ella piaccia a' santi, che sono usi di vedere quelle del cielo. E oltre a questo, come che io sia abate, io sono uomo come gli altri e, come voi vedete, io non sono ancor vecchio. E non vi dee questo esser grave a dover fare, anzi il dovete disiderare, per ciò che, mentre che Ferondo starà in Purgatoro, io vi darò, faccendovi la notte compagnia, quella consolazione che vi dovrebbe dare egli; né mai di questo persona alcuna s'accorgerà, credendo ciascun di me quello, e più, che voi poco avante ne credavate. Non rifiutate la grazia che Dio vi manda, ché assai sono di quelle che quello disiderano che voi potete avere e avrete, se savia crederete al mio consiglio. Oltre a questo, io ho di belli gioielli e di cari, li quali io non intendo che d'altra persona sieno che vostra. Fate adunque, dolce speranza mia, per me quello che io fo per voi volentieri.” La donna teneva il viso basso, né sapeva come negarlo, e il concedergliele non le pareva far bene: per che l'abate, veggendola averlo ascoltato e dare indugio alla risposta, parendogliele avere già mezza convertita, con molte altre parole alle prime continuandosi, avanti che egli ristesse, l'ebbe nel capo messo che questo fosse ben fatto: per che essa vergognosamente disse sé essere apparecchiata a ogni suo comando, ma prima non poter che Ferondo andato fosse in Purgatoro. A cui l'abate contentissimo disse: “E noi faremo che egli v'andrà incontanente; farete pure che domane o l'altro dì egli qua con meco se ne venga a dimorare”; e detto questo, postole celatamente in mano un bellissimo anello, la licenziò. La donna, lieta del dono e attendendo d'aver degli altri, alle compagne tornata maravigliose cose cominciò a raccontare della santità dell'abate e con loro a casa se ne tornò. Ivi a pochi dì Ferondo se n'andò alla badia; il quale come l'abate vide, così s'avisò di mandarlo in Purgatoro. E ritrovata una polvere di maravigliosa vertù, la quale nelle parti di Levante avuta avea da un gran prencipe (il quale affermava quella solersi usare per lo Veglio della Montagna quando alcun voleva dormendo mandare nel suo Paradiso o trarlone, e che ella, più e men data, senza alcuna lesione faceva per sì fatta maniera più e men dormire colui che la prendeva, che, mentre la sua vertù durava, non avrebbe mai detto colui in sé aver vita) e di questa tanta presane che a far dormir tre giorni sufficiente fosse, e in un bicchier di vino non ben chiaro ancora nella sua cella, senza avvedersene Ferondo, gliele diè bere: e lui appresso menò nel chiostro e con più altri de' suoi monaci di lui cominciarono e delle sue sciocchezze a pigliar diletto. Il quale non durò guari che, lavorando la polvere, a costui venne un sonno subito e fiero nella testa, tale che stando ancora in piè s'adormentò e adormentato cadde. L'abate mostrando di turbarsi dell'accidente, fattolo scignere e fatta recare acqua fredda e gittargliele nel viso e molti suoi altri argomenti fatti fare, quasi da alcuna fumosità di stomaco o d'altro che occupato l'avesse gli volesse la smarrita vita e 'l sentimento rivocare, veggendo l'abate e' monaci che per tutto questo egli non si risentiva, toccandogli il polso e niun sentimento trovandogli, tutti per constante ebbero ch'e' fosse morto: per che, mandatolo a dire alla moglie e a' parenti di lui, tutti quivi prestamente vennero; e avendolo la moglie con le sue parenti alquanto pianto, così vestito come era il fece l'abate mettere in uno avello. La donna si tornò a casa, e da un piccol fanciullin che di lui aveva disse che non intendeva partirsi giammai; e così rimasasi nella casa il figliuolo e la ricchezza che stata era di Ferondo cominciò a governare. L'abate con un monaco bolognese, di cui egli molto si confidava e che quel dì quivi da Bologna era venuto, levatosi la notte, tacitamente Ferondo trassero della sepoltura e lui in una tomba, nella quale alcun lume non si vedea e che per prigione de' monaci che fallissero era stata fatta, nel portarono; e trattigli i suoi vestimenti, a guisa di monaco vestitolo sopra un fascio di paglia il posero e lasciaronlo stare tanto che egli si risentisse. In questo mezzo il monaco bolognese, dallo abate informato di quello che avesse a fare, senza saperne alcuna altra persona niuna cosa, cominciò a attender che Ferondo si risentisse. L'abate il dì seguente con alcun de' suoi monaci per modo di visitazione se n'andò a casa della donna, la quale di nero vestita e tribolata trovò: e confortatala alquanto pianamente la richiese della promessa. La donna, veggendosi libera e senza lo 'mpaccio di Ferondo o d'altrui, avendogli veduto in dito un altro bello anello, disse che era apparecchiata, e con lui compose che la seguente notte v'andasse. Per che, venuta la notte, l'abate, travestito de' panni di Ferondo e dal suo monaco accompagnato, v'andò e con lei infino al matutino con grandissimo diletto e piacere si giacque e poi si ritornò alla badia, quel cammino per così fatto servigio faccendo assai sovente. E da alcuni e nell'andare e nel tornare alcuna volta essendo scontrato, fu creduto ch'e' fosse Ferondo che andasse per quella contrada penitenza faccendo, e poi molte novelle tralla gente grossa della villa contatone, e alla moglie ancora, che ben sapeva ciò che era, più volte fu detto. Il monaco bolognese, risentito Ferondo e quivi trovandosi senza sapere dove si fosse, entrato dentro con una voce orribile, con certe verghe in mano, presolo, gli diede una gran battitura. Ferondo, piangendo e gridando, non faceva altro che domandare: “Dove sono io?” A cui il monaco rispose: “Tu se' in Purgatoro.” “Come?” disse Ferondo “Dunque son io morto?” Disse il monaco: “Mai sì”; per che Ferondo se stesso e la sua donna e 'l suo figliuolo cominciò a piagnere, le più nuove cose del mondo dicendo. Al quale il monaco portò alquanto da mangiare e da bere; il che veggendo Ferondo disse: “O mangiano i morti?” Disse il monaco: “Sì, e questo che io ti reco è ciò che la donna che fu tua mandò stamane alla chiesa a far dir messe per l'anima tua, il che Domenedio vuole che qui rappresentato ti sia.” Disse allora Ferondo: “Domine, dalle il buono anno! Io le voleva ben gran bene anzi che io morissi, tanto che io me la teneva tutta notte in braccio e non faceva altro che basciarla e anche faceva altro quando voglia me ne veniva”; e poi, gran voglia avendone, cominciò a mangiare e a bere, e non parendogli il vino troppo buono, disse: “Domine falla trista! ché ella non diede al prete del vino della botte di lungo il muro.” Ma poi che mangiato ebbe, il monaco da capo il riprese e con quelle medesime verghe gli diede una gran battitura. A cui Ferondo, avendo gridato assai, disse: “Deh, questo perché mi fai tu?” Disse il

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