Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 82

Testo di pubblico dominio

grande sciocchezza era porre ne' sogni alcuna fede, per ciò che o per soperchio di cibo o per mancamento di quello avvenieno, e esser tutti vani si vedeano ogni giorno; e appresso disse: “Se io fossi voluto andar dietro a' sogni, io non ci sarei venuto, non tanto per lo tuo quanto per uno che io altressì questa notte passata ne feci. Il qual fu che a me pareva essere in una bella e dilettevole selva e in quella andar cacciando e aver presa una cavriuola tanto bella e tanto piacevole quanto alcuna altra se ne vedesse giammai; e pareami che ella fosse più che la neve bianca e in brieve spazio divenisse sì mia dimestica, che punto da me non si partiva. Tuttavia a me pareva averla sì cara, che, acciò che da me non si partisse, le mi pareva nella gola aver messo un collar d'oro, e quella con una catena d'oro tener con le mani. E appresso questo mi pareva che, riposandosi questa cavriuola una volta e tenendomi il capo in seno, uscisse non so di che parte una veltra nera come carbone, affamata e spaventevole molto nell'apparenza, e verso me se ne venisse, alla quale niuna resistenza mi parea fare; per che egli mi pareva che ella mi mettesse il muso in seno nel sinistro lato e quello tanto rodesse, che al cuor perveniva, il quale pareva che ella mi strappasse per portarsel via. Di che io sentiva sì fatto dolore, che il mio sonno si ruppe, e desto con la mano subitamente corsi a cercarmi il lato se niente v'avessi; ma mal non trovandomivi, mi feci beffe di me stesso che cercato v'avea. Ma che vuol questo per ciò dire? De' così fatti e de' più spaventevoli assai n'ho già veduti, né per ciò cosa del mondo più né meno me n'è intervenuto; e per ciò lasciangli andare e pensiamo di darci buon tempo.” La giovane, per lo suo sogno assai spaventata, udendo questo divenne troppo più; ma, per non esser cagione d'alcuno sconforto a Gabriotto, quanto più poté la sua paura nascose. E come che con lui, abbracciandolo e basciandolo alcuna volta e da lui essendo abbracciata e basciata, si sollazzasse, suspicando e non sappiendo che, più che l'usato spesse volte il riguardava nel volto e tal volta per lo giardin riguardava se alcuna cosa nera vedesse venir d'alcuna parte. E in tal maniera dimorando, Gabriotto, gittato un gran sospiro, l'abbracciò e disse: “Oimè, anima mia, aiutami, ché io muoio”, e così detto ricadde in terra sopra l'erba del pratello. Il che veggendo la giovane e lui caduto ritirandosi in grembo, quasi piagnendo disse: “O signor mio dolce, o che ti senti tu?” Gabriotto non rispose, ma ansando forte e sudando tutto dopo non guari spazio passò della presente vita. Quanto questo fosse grave e noioso alla giovane che più che sé l'amava, ciascuna sel dee poter pensare. Ella il pianse assai e assai volte invano il chiamò; ma poi che pur s'accorse lui del tutto esser morto, avendolo per ogni parte del corpo cercato e in ciascuna trovandolo freddo, non sappiendo che far né che dirsi, così lagrimosa come era e piena d'angoscia andò la sua fante a chiamare, la quale di questo amor consapevole era, e la sua miseria e il suo dolore le dimostrò. E poi che miseramente insieme alquanto ebber pianto sopra il morto viso di Gabriotto, disse la giovane alla fante: “Poi che Idio m'ha tolto costui, io non intendo di più stare in vita; ma prima che io a uccidermi venga, vorre' io che noi prendessimo modo convenevole a servare il mio onore e il segreto amore tra noi stato, e che il corpo, del quale la graziosa anima s'è partita, fosse sepellito.” A cui la fante disse: “Figliuola mia, non dir di volerti uccidere, per ciò che, se tu l'hai qui perduto, uccidendoti anche nell'altro mondo il perderesti, per ciò che tu n'andresti in Inferno, là dove io son certa che la sua anima non è andata, per ciò che buon giovane fu; ma molto meglio è a confortarti e pensare d'aiutare con orazioni o con altro bene l'anima sua, se forse per alcun peccato commesso n'ha bisogno. Del sepellirlo è il modo presto qui in questo giardino, il che niuna persona saprà giammai, per ciò che niun sa che egli mai ci venisse; e se così non vuogli, mettianlo qui fuori del giardino e lascianlo stare: egli sarà domattina trovato e portatone a casa sua e fatto sepellire da' suoi parenti.” La giovane, quantunque piena fosse d'amaritudine e continuamente piagnesse, pure ascoltava i consigli della sua fante; e alla prima parte non accordatasi, rispose alla seconda dicendo: “Già Dio non voglia che così caro giovane e cotanto da me amato e mio marito io sofferi che a guisa d'un cane sia sepellito o nella strada in terra lasciato. Egli ha avute le mie lagrime e in quanto io potrò egli avrà quelle de' suoi parenti, e già per l'animo mi va quello che noi abbiamo in ciò a fare.” E prestamente per una pezza di drappo di seta, la quale aveva in un suo forziere, la mandò; e venuta quella e in terra distesala, sù il corpo di Gabriotto vi posero, e postagli la testa sopra uno origliere e con molte lagrime chiusigli gli occhi e la bocca e fattagli una ghirlanda di rose e tutto da torno delle rose che colte avevano empiutolo, disse alla fante: “Di qui alla porta della sua casa ha poca via; e per ciò tu e io, così come acconcio l'abbiamo, quivi il porteremo e dinanzi a essa il porremo. Egli non andrà guari di tempo che giorno fia e sarà ricolto; e come che questo a' suoi niuna consolazion sia, pure a me, nelle cui braccia egli è morto, sarà un piacere.” E così detto, da capo con abondantissime lagrime sopra il viso gli si gittò e per lungo spazio pianse; la qual molto dalla fante sollecitata, per ciò che il giorno se ne veniva, dirizzatasi, quello anello medesimo col quale da Gabriotto era stata sposata del dito suo trattosi, il mise nel dito di lui, con pianto dicendo: “Caro mio signore, se la tua anima ora le mie lagrime vede e niuno conoscimento o sentimento dopo la partita di quella rimane a' corpi, ricevi benignamente l'ultimo dono di colei la qual tu vivendo cotanto amasti”; e questo detto, tramortita adosso gli ricadde. E dopo alquanto risentita e levatasi, con la fante insieme preso il drappo sopra il quale il corpo giaceva, con quello del giardino uscirono e verso la casa di lui si dirizzaro. E così andando, per caso avvenne che dalla famiglia del podestà, che per caso andava a quella ora per alcuno accidente, furon trovate e prese col morto corpo. L'Andreuola, più di morte che di vita disiderosa, conosciuta la famiglia della signoria, francamente disse: “Io conosco chi voi siete e so che il volermi fuggire niente monterebbe; io son presta di venir con voi davanti alla signoria e che ciò sia di raccontarle; ma niuno di voi sia ardito di toccarmi, se io obediente vi sono, né da questo corpo alcuna cosa rimuovere, se da me non vuole essere accusato”; per che, sanza essere da alcun tocca, con tutto il corpo di Gabriotto n'andò in palagio. La qual cosa il podestà sentendo, si levò e, lei nella camera avendo, di ciò che intervenuto era s'informò; e fatto da certi medici riguardare se con veleno o altramenti fosse stato il buono uomo ucciso, tutti affermarono del no, ma che alcuna posta vicina al cuore gli s'era rotta, che affogato l'avea. Il quale, ciò udendo e sentendo costei in piccola cosa esser nocente, s'ingegnò di mostrar di donarle quello che vender non le potea, e disse, dove ella a' suoi piaceri acconsentir si volesse, la libererebbe. Ma non valendo quelle parole, oltre a ogni convenevolezza volle usar la forza: ma l'Andreuola, da sdegno accesa e divenuta fortissima, virilmente si difese, lui con villane parole e altiere ributtando indietro. Ma venuto il dì chiaro e queste cose essendo a messer Negro contate, dolente a morte con molti de' suoi amici a palagio n'andò, e quivi d'ogni cosa dal podestà informato, dolendosi domandò che la figliuola gli fosse renduta. Il podestà, volendosi prima accusare egli della forza che fare l'avea voluta che egli da lei accusato fosse, lodando prima la giovane e la sua

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